venerdì 16 luglio 2021
L'artista tedesco protagonista di due personali a Palazzo Grimani e alla Fondazione Vedova. Ultraottantenne, riscopre il piacere di un colore che celebra la vita anche quando rappresenta il teschio
Un'immagine dell’allestimento di Georg Baselitz “Vedova accendi la luce” a Venzia

Un'immagine dell’allestimento di Georg Baselitz “Vedova accendi la luce” a Venzia - Vittorio Pavan

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I grandi artisti conoscono molte stagioni. I più grandi, spesso, sorprendono nelle ultime. L’ultimo Tiziano e l’ultimo Michelangelo si spingono al limite della materia e della forma, sovvertendo i principi che avevano governato i loro esordi. Accade ora anche con Georg Baselitz. Ma se i precedenti rinascimentali avevano viaggiato dalla gloria dell’asserzione alla densità della domanda, per l’ottantunenne artista tedesco il percorso appare di segno diverso. È davvero un Baselitz nuovo, inedito, quello che si manifesta a Venezia con due mostre parallele, tra loro irrelate ma evidentemente sorelle, composte da opere tutte realizzate nel 2020. Con Archinto nel Museo di Palazzo Grimani l’artista colloca dodici tele entro altrettante cornici settecentesche in stucco nella Sala del Portego (il salone d’onore del piano nobile), dove fino al XIX secolo campeggiavano i ritratti della famiglia dogale. Queste opere rimarranno in comodato a lungo termine al museo per concessione dell’artista: è la prima volta di una collaborazione di questo tipo tra un artista contemporaneo e un museo statale a Venezia. Contemporaneamente nelle altre sale del piano nobile – dove per l’occasione è stato anche completato il riallestimento filologico della collezione di scultura classica nella sala del Doge, ambiente parallelo alla magnifica tribuna, nel 2019 ripristinata così come doveva apparire nel Cinquecento – sono presentate fino a novembre 2022 un nutrito numero di dipinti e sculture che completano il panorama su questa fase. L’altro capitolo è invece alla Fondazione Vedova, dove Baselitz omaggia il grande amico Emilio in Vedova accendi la luce. Non solo entrambe le mostre hanno in comune la cronologia e la particolare tecnica adottata da Baselitz – il pittore imprime una seconda tela con quella dipinta, attraverso un processo simile al monotipo – ma soprattutto hanno in comune il carattere dell’allestimento: a Palazzo Grimani è un contesto storicamente caratterizzato, nella Fondazione Vedova è la bella sala in salita ricavata nei Magazzini del Sale, ma in entrambi i casi è un ambiente lungo e omogeneo, ritmato dall’intrecciarsi e dal rimbalzare di immagini che sono parte di serie compatte.

Georg Baselitz, 'Archinto' (2021), installazione a Palazzo Grimani, Venezia

Georg Baselitz, "Archinto" (2021), installazione a Palazzo Grimani, Venezia - Matteo De Fina/Gagosian

Di nuovo nella pittura dell’ultimo Baselitz c’è una inconfondibile felicità. È forse l’approdo di un viaggio lunghissimo. Sono dipinti che si collocano diametralmente alle cupe tele della prima stagione. Le pennellate come colpi di sgorbia nel ceppo gotico lasciano il posto a una incontenibile energia elastica. L’immagine si scompone e si riassembla continuamente su un bianco che da fondo diventa lo spazio complanare di una pittura bidimensionale. È il luogo che porta la luce al corpo dell’immagine, e questo è particolarmente evidente nella costruzione 'in negativo' delle tele in nero e in rosa alla Fondazione Vedova, diretto omaggio all’amico più anziano, conosciuto a Berlino nel 1963. Un fatto che appare ancora più interessante se confrontato con i dipinti realizzati negli anni 10 del 2000, caratterizzati spesso da fondi nerissimi e figure liquide e gracili, prive di energia, impronte di una vecchiezza cosmica (si pensi alla serie Avignon presentata alla Biennale del 2015). Oggi la figura, proprio nel suo dissolversi e disgregarsi per un eccesso di energia, riacquista invece una inattesa giovinezza. È come se Baselitz tornasse a interrogare con un animo nuovo lo spirito della pittura. Leggerezza e libertà attraversano i dieci dipinti sul tema del gelato ( Speiseeis) alla Fondazione Vedova. Sono rappresentazioni, più che veri e propri ritratti, della moglie Elke. I titoli costruiscono, come di consueto in Baselitz, allusioni e rimandi (i gusti dei gelati ai colori, oppure rimandi alle tinte sfacciate della pop art o ancora a de Kooning, i cui dipinti per Baselitz sono simili a scie colorate tracciate da un pattinatore) e si caricano di un elemento ludico. Ma un senso di leggerezza e di gioco promana anche dai teschi della serie Archinto. Dei memento mori, per tradizione, completamente trasfigurati. Il titolo della mostra di Palazzo Grimani rimanda a un ritratto probabilmente post mortemdi Filippo Archinto realizzato da Tiziano nel 1558 e oggi conservato a Philadelphia. Un dipinto enigmatico, perché l’artista copre la metà del presule con un velo trasparente. Appare forte il rimando all’elemento sindonico della tela su cui Baselitz imprime il lavoro finale, che acquisisce così, per via dell’iconografia, un valore liminale. Il teschio che costella in modo drammatico la sua produzione, in questa serie sparisce e riappare, si nasconde e si rivela, si sfrangia in una coreografia marmorizzata e si ricoagula, simbolo che sgravato del peso della storia si rifugia dietro il velo dell’incertezza che ne garantisce la circolare vitalità.

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