venerdì 14 febbraio 2014
​in un testo del 1961 il prete letterato elogia l'autore de "L'allegria": la sua scrittura postula l'immensità, si apre verso l'infinito, accenna al mistero".
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La poesia di Ungaretti è il suo diario: l’ha accompagnato lungo tutta la sua vita. E il cammino di Ungaretti è, o almeno potrebbe essere, esemplare come è esemplare il cammino di un uomo vero. Un cammino che sembra aver approdato a un Dio personale. Lo studio di anime come la sua è una via per scoprire anche noi stessi. Un punto importante è questo: il passaggio dal presentimento del divino alla esigenza di una risposta personale. Inevitabilmente una religiosità di tipo cosmico è fatta per dare all’uomo a un certo momento il senso soltanto della sua solitudine, per chiuderlo in un suo smarrimento, in un suo sgomento senza fine, per dare all’anima il senso della delusione. Anche il senso di delusione, anche questo sgomento e smarrimento dell’uomo hanno un carattere religioso: l’uomo sperimenta Dio precisamente in una sua assenza. Quando una religiosità di tipo cosmico non basta più all’anima, l’anima si dimostra matura per accogliere una nuova rivelazione divina, un contatto con un Dio che sia un vero rapporto […].Oggi la poesia è in ribasso perché una religiosità cosmica tende di per sé a una religione più alta, e se l’anima non realizza il passaggio da questo presentimento di Dio a un vero contatto con lui, la vita stessa dell’anima si corrompe. Tutto si disfà nelle mani dell’uomo, anche la bellezza dell’universo, perché l’universo in tanto è bello e ha valore per me in quanto precisamente è segno di quell’altra realtà che richiama. È la sacramentalità dell’universo. Tutta quanta la natura, tutti quanti i sentimenti dell’uomo in Ungaretti accennano, indicano, aspettano: tutto si protende in un’aspettazione trepida e dolorosa verso un incontro che ne L’allegria manca. Proprio per questo si chiama L’allegria: è come un’attesa dolorosa, una promessa mancata. Ma l’amarezza d’un titolo simile è forse definitiva nel cuore di Ungaretti? È definitiva nel cuore del mondo moderno? Possiamo dire che gli accenni ad un incontro più alto con Dio, a una comunione con un Dio personale nell’arte, espressione della vita, sono estremamente rari e fuggevoli. Proprio perché sono rari e fuggevoli noi riconosciamo l’autenticità di questa espressione, perché è estremamente facile che l’espressione di un contatto con Dio divenga puramente retorica.Possiamo riconoscere l’autenticità di un cammino in Ungaretti perché va oltre questa delusione; ma va oltre questa delusione soltanto in rari e fuggevoli istanti. Noi troveremo questi istanti fuggevoli nei volumi di poesie che seguiranno a questo primo. Fra tutti i poeti d’Italia forse Ungaretti è l’unico che va oltre questa delusione. Sembra che egli nella sua poesia veramente dia testimonianza di un rapporto con un Dio personale. Nella sua poesia vi è veramente una testimonianza cristiana fra le più alte che abbia dato l’arte di oggi […].Ma perché Ungaretti è poeta religioso? Intanto, dovrei giustificare l’appellativo, e non è facile. Che differenza c’è fra Ungaretti e gli altri poeti perché io debba dire che Ungaretti è poeta religioso a differenza di tanti altri? Eppure, una definizione di questo genere mi sembra che sia legittima: fra tutti i poeti egli è il più religioso, almeno fra i viventi; perché? Direi proprio per la purezza stessa della sua poesia, per la sua essenzialità. Non è un poeta didattico, non è un poeta narrativo, descrittivo, non è un poeta drammatico: è un lirico, un lirico puro. Ora, l’essenzialità della sua poesia spoglia non solo la sua espressione di ogni appoggio, ma spoglia il suo stesso sentimento, lo fa nudo, essenziale; lo preserva da tutti i complessi, da tutti i richiami che o vogliono spiegarlo o vogliono metterlo in rapporto a idee, ad altre esperienze. Egli è il poeta che nella sua poesia essenziale si chiude nell’attimo che vive e non dona che l’attimo, non esprime che l’attimo; ma l’espressione dell’attimo è, precisamente per questo, espressione dell’eternità. Ridotto al minimo, egli dice tutto; ridotto al minimo, egli non si chiude più nel relativo. Tutta la sua poesia necessariamente postula l’immensità, si apre verso l’infinito, accenna al mistero. Non vi è poesia di Ungaretti in cui non vi sia questo ordinarsi preciso e diretto all’assoluto […]. Ungaretti rimane poeta religioso perché poeta puro, perché poeta dell’assoluto, di una esperienza che, spoglia di tutto quello che è relativo, non può avere altro termine che un contatto, una comunione con Dio. Studiare Ungaretti, a preferenza di altri poeti moderni, ci porta a dichiarare come la poesia moderna, più della poesia anche della generazione precedente, ci possa insegnare a cercare il Signore, come la lettura dei poeti possa essere veramente anche una preparazione religiosa. Questo non poteva esserlo certamente una lettura dei poeti crepuscolari e tanto meno dei poeti ante-crepuscolari: di un D’Annunzio, per esempio, o di un Pascoli, poeti estremamente fragili perché troppo ricchi. Essi hanno costruito la loro poesia sui trampoli di un’espressione accattata, a prestito, dall’eloquenza, dal pensiero, dalla storia, e pertanto la loro religiosità è estremamente più vacua, più povera, meno vera, meno autentica di quanto non possa essere in Ungaretti. Ma questo è vero non soltanto per Ungaretti, è vero anche per Montale, è vero anche per Quasimodo; sono certo poeti religiosi più di Pascoli, anche quando Pascoli parla di Gesù. Di qui l’importanza di conoscere queste anime, di entrare in queste anime, di far nostra la loro  esperienza, che è veramente esperienza di Dio, ricerca di Dio. L’uomo, nel suo fondo, quando si riduce all’essenziale, non può che cercare Dio, perché all’io dell’uomo non risponde che il Tu del Padre.
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