sabato 30 dicembre 2023
Le lettere dell’aviatore della Grande Guerra mostrano la sua attenzione per quelli che solo molti anni dopo sarebbero stati definiti i diritti umani. Anche del “nemico”
Francesco Baracca a bordo di un Nieuport

Francesco Baracca a bordo di un Nieuport - foto Aeronautica Militare

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Pioniere del diritto umanitario internazionale nell’immane tragedia che fu la Grande Guerra. Francesco Baracca, asso degli assi dell’aviazione italiana, combatté nel conflitto che vide l’Italia in armi via terra, sopra e sotto il mare e nei cieli del nord est dove dal 24 maggio 1915 il pilota di Lugo di Romagna diede prova di coraggio, ma anche di grande umanità come emerge dai documenti d’archivio, dalle lettere che l’ufficiale del Piemonte Cavalleria scriveva alla madre e dalle testimonianze dei suoi compagni, primo fra tutti Fulco Ruffo di Calabria, un amico fedele che lo seguì in tutte le pericolose imprese aviatorie compiute prima della nascita della Regia Aeronautica il 28 marzo 1923. Ai comandi dei Nieuport e sugli Spad, un misto di meccanica, tela e legno, volarono in difesa dei confini nazionali per senso del dovere, con il coraggio della dignità e credendo in valori come l’onore, l’amicizia e la lealtà sulla scia di un’educazione ricevuta che faceva di valori come la coerenza, la responsabilità e il rispetto delle regole uno stile di vita, come ricorda in più occasioni il generale Vincenzo Ruggero Manca, classe 1934, autore del libro Francesco Baracca. L’uomo, l’aviatore, i suoi valori (Giunti, pagine 352, euro 26,00) e una carriera di lungo corso in Aeronautica Militare come pilota di G91R e di F-104S, già comandante del 14° Gruppo di Volo del II Stormo e del 9° Stormo intitolato proprio a Baracca.

Manca, con oltre tremila ore di volo, sottolinea come l’asso italiano era un uomo che non lasciava indietro nessuno e che interpretò più di un secolo fa ciò che ancora non era stato scritto nelle convenzioni sul diritto internazionale umanitario. Un libro che fa riflettere sull’umanità e sull’importanza della pace in un momento storico che vede il mondo lacerato da guerre e conflitti come quelli in atto in Ucraina e in Medio Oriente, dove molto spesso i diritti umani vengono calpestati. La testimonianza di Baracca, di Ruffo di Calabria e di tutti gli altri piloti della 91ª Squadriglia “degli Assi” sottolinea che la «guerra non è contrapposizione tra individui. Il soldato è un organo dello Stato, e l’unico scopo legittimo della guerra è mettere fuori combattimento il maggior numero di combattenti dell’avversario, per indurlo a cessare le ostilità» spiega l’autore della pubblicazione: «I feriti e i malati devono essere raccolti, curati e trattati con umanità. I caduti devono essere oggetto di rispetto» scrive Manca. Baracca lo dimostrò concretamente: «Ho parlato a lungo con il pilota austriaco, stringendogli la mano e facendogli coraggio, poiché era molto avvilito», raccontò Baracca dopo un’azione. E poi che dire della storia della corona di fiori? «A Quinto di Treviso si levarono in volo due velivoli pilotati da Baracca e Ruffo di Calabria per una missione del tutto particolare – spiega il generale Manca -. I due assi italiani quel giorno non spareranno un colpo perché il loro obiettivo era quello di consentire ai piloti austro-ungarici di depositare una corona di fiori nel luogo dove due loro piloti erano stati abbattuti; il primo durante una battaglia aerea e il secondo mentre tentava di rendere omaggio al suo compagno d’armi». E poi un momento davvero commovente: quello del rientro in patria dell’osservatore polacco: «Era il febbraio 1917 – aggiunge Manca -. Dopo un agguerrito combattimento aereo, racconta Ruffo di Calabria, Baracca abbatte un aeroplano austriaco a Remanzacco vicino a Udine. L’aeroplano precipita a terra e mentre il pilota è praticamente illeso l’osservatore, un nobile polacco ufficiale di cavalleria, ha riportato gravi ferite. Baracca si fa carico di far recapitare un plico agli austriaci con una lettera del nobile polacco destinata alla madre e tramite le sue amicizie con la Croce Rossa riesce a far rientrare in patria l’aviatore».

Tre episodi che Edoardo Greppi, ordinario di diritto internazionale all’Università di Torino, che firma la prefazione del libro, ribadisce e inquadra nel contesto di “umana pietà” di questi “cavalieri dell’aria”. Più volte Baracca «andava a cercare il pilota nemico, lo andava a trovare, si assicurava che gli fossero prestate cure e attenzioni, chiedeva informazioni sull’andamento dei trattamenti sanitari», ha detto Greppi nel giorno della presentazione del libro alla Casa dell’Aviatore di Roma in una serata che ha registrato l’intervento del colonnello Francesco Elia, del gruppo di lavoro del ministero della difesa che sta redigendo un manuale del diritto delle operazioni militari applicabile alle forze armate il generale Giorgio Battisti, presidente dell’International Institute of Humanitaran Law, sottolineare come Baracca, nella sua formazione, documenti alla mano, aveva ben chiaro la differenza tra nemico e avversario: «Tornerò a trovarlo tra qualche giorno: ha tre ferite, di cui una assai grave, ma guarirà in tre o quattro mesi. Abbiamo mandato un messaggio al di là delle linee, con le notizie degli aviatori caduti», scriveva il 17 settembre 1916. Anche sulle modalità di condotta delle ostilità, Baracca si pose interrogativi di stampo umanitario. Le pallottole con scia luminosa provocavano l’incendio dell’apparecchio, spingendo gli aviatori a gettarsi nel vuoto: «Sto pensando di non adoperarle più, perché è già il terzo a cui faccio fare questa fine». Una testimonianza che fa riflettere nei gironi in cui il mondo assiste alla drammatica situazione della guerra in Ucraina e davanti alle tragiche notizie che arrivano dal Medio Oriente. Sta tutta qui la riscoperta di Baracca e l’attualità della sua figura che, come ha sostenuto il generale Urbano Floreani, capo della 5° Reparto Comunicazione dell’Aeronautica Militare «è proprio in questi momenti storici difficili che dobbiamo essere coerenti con la nostra storia e con i nostri valori».

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