mercoledì 7 giugno 2023
Il diario della scrittrice azera-francese, appena riproposto in Italia, racconta il suo cammino di conversione dall’islam e dall’ateismo «nonostante le meschinità della Chiesa»
Banine (1905-1992) nel 1931

Banine (1905-1992) nel 1931 - WikiCommons

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«Le conversioni dal materialismo sono le più difficili: l’anima deve sollevare, col peso delle ostruzioni spirituali, anche il carico delle cose materiali; e la moneta, se pure è di carta, pesa; e i cibi onerano la coscienza; e i vizi snervano lo spirito ». Così, in un libro divenuto celebre – ma oggi pressoché introvabile – intitolato I grandi convertiti, Igino Giordani, anima del movimento dei focolarini, descriveva uno dei processi più intimi che toccano l’anima umana tracciando una sorta di tipologia della conversione e facendo il profilo di numerosi convertiti, fra cui i francesi Péguy, Huysmans e Maritain e gli italiani Pitigrilli e Pasquale Villari. Una disamina che si incentrava principalmente nel mondo della letteratura e della cultura in generale, ma toccava anche i businessman: è a loro infatti che si riferisce la frase riportata all’inizio.

Parlando di conversioni famose, sempre guardando al mondo d’Oltralpe, in tempi recenti si sono registrati i casi di André Frossard, Maurice Clavel, Olivier Clément, Fabrice Hadjadj, Eric-Emmanuel Schmitt, solo per citarne alcuni. Conversioni, anche clamorose, di taglio intellettuale come era accaduto per Agostino, o dopo un lampo, come per Paul Claudel ascoltando il Magnificat nella Messa di Natale a Notre-Dame. Una conversione maturata dopo anni di crisi intima profonda fu invece quella di Banine, scrittrice amica di Ernst Junger e di Nikos Kazantakis, che avvenne negli anni Cinquanta a Parigi e di cui è rimasta traccia nel diario autobiografico Ho scelto l’oppio, edito in Francia nel 1959 e in Italia tradotto dalle edizioni Massimo nel 1966, volume che ora viene riproposto per i tipi di Magog (pagine 178, euro 15,00), per cura di Fabrizio Sabbatini e con un’introduzione di Davide Brullo.

Ecco cosa scrive il 21 agosto 1956: «La mia natura non si è affatto ammorbidita da quando vivo sotto la suggestione del Cristianesimo. Non è avvenuto nessun miracolo. Ma una specie di piccolo miracolo ha avuto luogo lo stesso: la quasi totale sparizione della sinistra e fedele compagna di sempre, la malinconia. La mia vita non è più generosamente condita del sapore di cenere. Non rivango più, tra sussulti, gl’insuccessi e le calamità, ma al contrario rendo grazie al Cielo delle numerose fortune che mi sono capitate. Basterebbe che la mia conversione, per quanto imperfetta, mi avesse fruttato anche solo questo cambiamento, per potermi già considerare soddisfatta. E difatti lo sono». Il 23 dicembre, lei nata in Azerbaigian e cresciuta nella religione islamica, riceverà il battesimo dopo anni di combattimento spirituale. Così, il giorno precedente, descrive nel diario il suo «stravagante destino di musulmana affrancata dalla rivoluzione. Senza mestiere fisso, ne ho esercitati una quantità…! Professoressa di musica e di russo, indossatrice, commessa nella haute couture, segretaria traduttrice, romanziera, giornalista, e anche distinta signora della borghesia di Tolosa! Ho voluto essere libertina».

E poi aggiunge: «Passando sulla Senna rievocavo tutta la mia vita dal giorno in cui, con le mie diciotto primavere come unica ricchezza, sbarcavo a Parigi, estasiata di speranza e di esaltazione; rievocavo la lenta maturazione interiore che, attraverso ostacoli e al di là delle cadute, mi ha condotta a piedi di Cristo. Ero meravigliatissima. Lo sono ancora mentre scrivo queste righe. Mi sento felice, piena di una felicità che solo lui, Cristo, Dio, può dare». Era giovanissima in effetti Umm-El-Banine Assadoulaeff, nata a Baku il 18 dicembre 1905, quando sbarcò a Parigi dopo aver rifiutato un matrimonio combinato. Suo era stato ministro ma la repubblica azera era stata fagocitata dall’Urss. Nella capitale francese entrò in contatto con i tanti intellettuali russi fuggiti dalla rivoluzione bolscevica, fra cui la poetessa Marina Cvetaeva e i filosofi Lev Šestov e Nikolaj Berdjaev. Nel 1942 conob-be Junger, che frequentò in varie occasioni e al quale avrebbe dedicato tre libri, mentre nel 1946 pubblicò da Gallimard il suo libro più famoso, Jours caucasiens, ed ebbe un non scontato successo nel mondo letterario.

«Delusa – annota Brullo - dal rapporto con Junger, astrale, astratto, estraneo alla vita, Banine finisce per votarsi a Dio. Nel suo testo, J’ai choisi l’opium, scrive di questo “amore assurdo, impossibile, che ha preso in me il posto del mito, della religione, della vita”. Il tormento porta Banine ad abiurare l’islam e diventare cattolica». È il noto motto di Marx - “La religione è l’oppio dei popoli” - a essere evocato nel titolo. La sua è stata una conversione lenta ma inesorabile. Schiacciata dal peso dell’esistenza, inizia a entrare in chiesa, quella di Notre-Dame du Saint Sacrament di rue Cortambert, vicino a dove abita, e a sedersi su una panca ad ascoltare. Le preghiere e le omelie dei sacerdoti. Che non sempre le piacciono anzi a volpadre te la deludono, ma non è della perfezione che va in cerca, semmai di una risposta alla sofferenza che le strazia il cuore.

È una vera malattia dell’anima che l’assale e il 19 agosto del 1952 le fa scrivere: «Sono una vecchia frustrata, destinata a morire in solitudine, senza amore. Dovrei uccidermi, ma dove potrei trovare il coraggio di farlo? Anche il coraggio per vivere non so da dove attingerlo. Non ne posso più. Il disgusto di vivere mi avvelena ogni minuto». Alla soglia dei 50 anni, comincia a fare un bilancio e, per quanto abbia ricevuto tante soddisfazioni, capisce che il successo e la ricchezza non bastano. «Benché non creda nell’esistenza di Dio – dice il 26 marzo 1953 – con la ragione, il mio cuore si rivolge a lui a mia insaputa». Le letture spirituali e la frequentazione degli ambienti ecclesiali la indirizzano sempre più verso il cristianesimo.

Nonostante le miserie che riscontra. «Contrariamente a Simone Weil – si legge il 21 aprile 1956 – la meschinità della Chiesa, i suoi errori, le sue banalità, e anche i suoi peccati, invece di preoccuparmi mi rassicurano. Se essa fosse soltanto santa, come potrei entrarci?». Nel libro si incontrano piccoli riferimenti a Péguy e Claudel, Mauriac e Guardini, il cardinale Newman e Teilhard de Chardin, indicativi del clima che respira in questi anni in cui matura l’avvicinamento a Cristo, nonostante «l’espandersi dell’ateismo e la tiepidezza degli stessi cattolici» (6 dicembre 1954).

Difatti due giorni dopo afferma: «La Chiesa mi si rivela sotto un altro aspetto, il miracolo della sua durata. Che cosa sarebbe Parigi, la nostra Sodoma e Gomorra, senza le innumerevoli case di Dio?». E ai primi di gennaio dell’anno seguente: «Ormai non posso più fare a meno, non dico di Dio, ma di cercarlo». Comincia a conoscere Gesù e non le va a genio chi ne vuole fare «un illuminato fondatore di una religione » o chi come Tolstoj vuole solo umanizzarlo o ridurre il cristianesimo a una morale; piuttosto, si ritrova nelle famose parole di Kafka riferite a Cristo: «È un abisso di luce davanti al quale bisogna chiudere gli occhi per non precipitarvi », ma lei stessa specifica di voler «perdersi in quest’abisso».

Sarà il cardinale Daniélou, nell’avvertenza all’edizione francese del libro di Banine (che morrà nel 1992 a Parigi; l’anno precedente aveva scritto un racconto filosofico su Maria), a dichiarare di essere stato avvinto dalla lettura del manoscritto, letto tutto d’un fiato: «Il suo pregio è la sincerità spietata. Credo che proprio per questo possa colpire anche quelle anime che rimangono un po’ disgustate dall’insipidezza e dal tono falsamente commosso di molti racconti analoghi. In questo diario, invece, l’azione della grazia risulta di una chiarezza impressionante ».

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