domenica 14 novembre 2010
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Avendo notato la divulgazione dell’impiego delle palette nei trasporti internazionali, in seguito all’uso in comune di questi dispositivi, desiderosi di agevolare questa diffusione per favorire il commercio internazionale e ridurne le spese, le Parti contraenti hanno convenuto quanto segue...». Il 9 dicembre 1960 andrebbe inciso a lettere d’oro negli annali degli scambi mondiali, anzi ancor meglio stampigliato a fuoco nel legno d’abete: proprio come i marchi impressi sulle basi dei pallets.Perché fu esattamente 50 anni fa che a Ginevra venne firmata la Convenzione europea con cui si stabiliva – ben prima di quello degli uomini – il libero passaggio delle «palette» (meglio note come pallets o bancali) attraverso i confini degli Stati e «in franchigia di diritti e tasse». Gratis, cioè. Si trattava in sostanza della concessione del passaporto a un oggetto tanto umile e dimenticato quanto indispensabile, ritenuto privo di valore e senza il quale invece l’intera economia mondiale andrebbe incontro a una sicura crisi; la vera «base del trasporto», tant’è vero che gli addetti ai lavori hanno coniato un neologismo – «pallettizzato» – per indicare il tipo di commercializzazione preferito ormai nel 90% dei casi e per tutte le merci. 50 anni fa; anche se, in realtà il pallet ha ben più di mezzo secolo: pare infatti che nella sua forma attuale risalga al 1925, quando nacque come frutto dell’evoluzione di altri sistemi di carico e stoccaggio a loro volta dipendenti dallo sviluppo tecnologico dei carrelli elevatori. La nazione d’origine? Ovviamente gli Stati Uniti, che poi lo esporteranno nel Vecchio Continente e anche in Italia insieme alle forniture militari della seconda guerra mondiale e poi come base per i sacchi di generi alimentari del Piano Marshall. Semplice e geniale: non solo quella sorta di pedana in legno consentiva di manovrare con mezzi meccanici carichi anche pesanti (oggi il pallet europeo è omologato per 1000 kg, ma può tranquillamente sostenere anche il doppio, addirittura 4 e più tonnellate se resta posato su pavimento rigido), ma offriva altri vantaggi supplementari come tenere sollevata la merce da terra proteggendola dall’acqua e consentire un ordinato impilamento dei più svariati materiali, con impagabile risparmio di spazi e di tempi lavorativi. Non per niente tra i primi ad approfittarne furono i metodici svizzeri: un Tauschpalette da 80 cm per 120 risulta documentato nell’uso delle ferrovie elvetiche Sbb fin dai primi anni Sessanta. In effetti saranno poi proprio quelle le misure standard del pallet europeo «a quattro vie» (ovvero che si può sollevare indifferentemente dai 4 lati), e non a caso: nel nostro continente infatti prevalgono i trasporti su gomma e tale formato è il più conveniente per caricare sia i camion (un normale rimorchio ne sopporta 33), sia i furgoni. Non i container, però; infatti negli Usa è corrente piuttosto il formato da 40 pollici per 48 (circa un metro per 1,20), standard che in gergo è detto «philips».L’uniformità delle misure è – come si comprende – una priorità assoluta, soprattutto in epoca di scambi commerciali globalizzati, e tuttavia è ancora ben lungi dall’essere raggiunta. In Asia e soprattutto in Giappone, infatti, si usa spesso la pianta quadrata con 1,1 metri di lato; in Australia vige pure il quadrato, però da 1165 millimetri; negli Stati Uniti peraltro risultano in uso una dozzina di pallets diversi, alcuni dei quali specifici per alcune merci (i militari, ad esempio, utilizzano spesso il 35 pollici per 45,5). Così la stessa Epal – l’associazione europea fondata nel 1991 per controllare e garantire la conformità dei bancali del vecchio continente – ha dovuto introdurre i pallets Eur 2, Eur 3 ed Eur 6 (manco fossero i motori ecologici delle auto...) con misure adatte agli usi di altri continenti, mentre da parte sua la Iso – l’Organizzazione internazionale per la standardizzazione – ha omologato palette di 6 tipi diversi. Insomma, come si sarà ormai capito, un oggetto «banale» quale il pallet è invece al centro di eccezionali attenzioni; addirittura la sua movimentazione genera un indice usato dagli esperti per valutare la vitalità di una certa economia. Per la sua costruzione, poi, l’Epal prescrive regole ferree, che comprendono non solo la misura delle assi e il tipo di legno (vietato ad esempio il pioppo per le traverse), ma addirittura il numero di chiodi – per la precisione 78, e di modello approvato! Solo allora l’associazione concede l’applicazione del suo caratteristico marchio ovale, sull’angolo sinistro del pallet, mentre nel piedino centrale trovano posto le sigle relative a nazione, data e fabbrica di produzione. Inutile dire che pure le riparazioni (certificate da apposito marchio metallico) devono essere effettuate da officine dotate di licenza. Infine, dal 1° gennaio scorso viene applicato ai pallet un ulteriore simbolo col quale si indica che il legno è stato trattato in essiccatoio o con appositi insetticidi per eliminare i parassiti nocivi che potrebbero «viaggiare» da una nazione all’altra appunto attraverso i bancali.In Italia si calcola che si costruiscano 50 milioni di pallets l’anno (per due terzi non standard, però) e ne circolino oltre 200 milioni: in media 4 a testa; circa 300 sono i nostri produttori, una sessantina i certificati, oltre 600 i riparatori (ma solo 140 omologati). Nel mondo invece vengono fabbricate mezzo miliardo di nuove  «palette» l’anno, nei soli Usa ne sono in circolazione ben due miliardi: un giro d’affari colossale, che infatti genera anche interessi illeciti. E se la contraffazione di pallets priva il fisco italiano di circa 400 milioni di euro l’anno, assai diffuso è anche il mercato nero di bancali rubati ai centri di grande distribuzione dai «pallettari»: pare che un terzo delle pedane circolanti nella Penisola derivi appunto da questo commercio illegale. Con conseguenze non solo economicamente dannose: i pallets che sfuggono ai controlli di sicurezza, infatti, possono incrementare gli incidenti sul lavoro durante la movimentazione dei carichi e persino generare danni alla salute, qualora per esempio le basi usate per trasportare prodotti chimici vengano poi riutilizzate per generi alimentari. Non per nulla è già nato – e proprio in Italia – anche il pallet «etico e sostenibile» o greenpallet: fabbricato cioè con legname di riforestazione, a chilometri zero, senza pesticidi (o radioattività, come succede con certi legni provenienti dall’Est europeo) e rispettando i diritti dei lavoratori. Ovviamente però i pallets possono essere anche di materiali diversi dal legno; in metallo, ad esempio, per carichi particolarmente pesanti (l’alluminio viene adoperato nei trasporti aerei), o di plastica. Di recente si stanno sperimentando persino bancali in cartone riciclato, anche perché sono più leggeri ed economici di quelli in legno e riescono ugualmente a sopportare pesi incredibili; purché ci si limiti a usarli al coperto, per lo stoccaggio di merci in magazzini e capannoni riparati dalla pioggia... Per viaggiare invece tra oceani e autostrade, sopportare le intemperie e i distratti sballottamenti sui «muletti» di mezzo mondo, ancora niente è stato trovato di meglio del vecchio, indistruttibile pallet di legno. E poi, quando andrà in pensione dopo 5 o 6 anni di onorata carriera (tale è la vita media del bancale), c’è anche caso che possa diventare la base per un’infantile casetta sull’albero, lo spunto per l’«installazione» di un artista post-moderno o magari più modestamente il combustibile di un falò.
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