domenica 31 agosto 2014
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Parlerà nel corso della giornata inaugurale del Festivaletteratura, alle 21.00 in piazza Mantegna, il neurolinguista Andrea Moro (nella foto), e indagherà “Il mistero delle lingue impossibili”. Come sempre ricchissimo il programma della rassegna Mantovana, giunta quest’anno alla sua XVIII edizione e che fino a domenica 7 animerà i palazzi, le vie e le piazze della città sul Mincio. Come consuetudine non si parlerà soltanto di belle lettere, ma si toccheranno un po’ tutti gli ambiti della cultura, dalla storia all’arte, dalla psicologia alla società, dalla musica al teatro. Numerosi gli spazi e gli incontri dedicati ai bambini, così come i momenti enogastronomici e i laboratori creativi. Il programma, costantemente aggiornato con i cambiamenti dell’ultima ora, è disponibile sul sito www.festivaletteratura.it, presso i punti informativi e telefonicamente allo 0376224108.Quale lingua parlava Adamo nel Giardino dell’Eden? Gli eruditi hanno cercato di rispondere per secoli e secoli, inseguendo il sogno di una perfezione perduta. Per il neurolinguista Andrea Moro, però, la questione si pone in termini differenti: «Può sembrare strano – dice – ma il vero dono è stato quello di Babele. La differenza degli idiomi, alla fine, si è rivelata una ricchezza per la specie umana». Studioso di fama internazionale, Moro è oggi ordinario di Linguistica generale presso la Scuola Superiore Universitaria di Pavia (Iuss). Mercoledì sera alle 21 sarà in piazza Mantegna, a Mantova, davanti a una delle “Lavagne” che il Festivaletteratura mette a disposizione di scienziati e ricercatori perché affrontino con parole semplici i problemi più impegnativi. Un’attività nella quale Moro riesce benissimo, come dimostra tra l’altro il sintetico e illuminante Parlo dunque sono (Adelphi). Professore, in che senso Babele ha costituito un vantaggio? «Facciamo un passo indietro. Ormai sappiamo con certezza che la struttura del linguaggio è troppo complessa per non essere determinata dal punto di vista biologico. In altri termini, il nostro cervello è programmato per il linguaggio, così come i nostri occhi sono programmati per vedere. Il problema sta appunto nella varietà delle lingue. La vista è uguale in tutti gli esseri umani, non così il mondo in cui il linguaggio si esprime. Perché?» Questo dovrebbe dirmelo lei. «Avanzo una congettura, che finora non ha riscontri empirici. La reciproca incomprensibilità causata dalla molteplicità degli idiomi potrebbe essere uno dei fattori che ha scoraggiato la formazione di comunità urbane troppo vaste. In assenza di tecnologie avanzate, le grandi città non sarebbero state in grado di approvvigionarsi o di smaltire i rifiuti. Non possiamo affermare con certezza che sussista un legame di causa-effetto, ma di sicuro la differenza linguistica ha rappresentato un vantaggio in questo senso». E le certezze quali sono? «Una su tutte: aver dimostrato, grazie agli esperimenti in laboratorio, che esistono guide biologiche al linguaggio. Anche qui Babele ha la sua importanza. Tradizionalmente la linguistica si è concentrata su quello che si può dire. Nella fase attuale, invece, ci stiamo rendendo conto che è più utile indagare su quello che  non si può dire. Basta provare a scomporre una frase e ricombinare le parole tra loro. Dopo qualche tentativo ci si renderà conto che non tutte le permutazioni danno risultati reali. A forza di insistere, però, si finisce per creare una sorta di nuova lingua, che pure rispetta alcune regole formali. È come se esistesse una tavola periodica degli elementi al- la quale i diversi idiomi devono sottostare, conservando ciascuno la sua specificità. È un limite, un confine non solo culturale, ma inscritto nella nostra carne, come dimostrano le ricerche più avanzate». Una questione deterministica? «Al contrario, è il delinearsi di un orizzonte spirituale. In questo ci aiuta la peculiarità del verbo “essere”, la cui natura era stata compresa già da Aristotele. Si tratta, in sostanza, di un “non verbo” o, meglio, di un verbo “vuoto”, che ha la facoltà di mettere in evidenza il principio di simmetria al quale ci atteniamo ogni volta che parliamo. Ce ne accorgiamo, di nuovo, se invertiamo gli elementi di una frase: “Gianni è il colpevole” equivale a dire che “ il colpevole è Gianni”». Fin qui la seguo. «Allora andiamo al prologo del Vangelo di Giovanni. Se il logos è carne, allora la carne stessa è logos: parola, linguaggio, comunicazione. C’è qualcosa di vertiginoso in tutto questo. L’umiltà della nostra esistenza corporea non è distinguibile dalla nostra capacità di vedere, rappresentare ed esprimere il mondo. Ma questo non potemmo farlo se non fossimo liberi. Vede, la fotosintesi clorofilliana è un procedimento biologico estremamente sofisticato, proprio come il linguaggio. Una pianta, però, non ha la facoltà di interromperlo e anche noi, per esempio, non siamo in grado di sospendere volontariamente il processo di digestione. Possiamo però decidere se dire o non dire qualcosa, e possiamo farlo in modo del tutto imprevedibile. Non esiste uno schema in base al quale il mio interlocutore possa sapere in precedenza quello che sto per dire. Una volta data la base biologica, il linguaggio non segue alcun percorso obbligato. Anzi, il linguaggio è tale proprio in questa espressione di creatività, di libertà». E la lingua di Adamo? «Forse quello che gli uomini hanno avuto in comune fin dall’inizio non è stata tanto una lingua specifica, ma una struttura cerebrale, che si fa sempre più chiara con l’avanzare della ricerca neurolinguistica. Ma il linguaggio è un sistema complesso, come il Dna, e nei sistemi complessi è sufficiente una minima variazione per produrre grandi cambiamenti. Tra l’Eden e Babele, a quanto pare, è successo qualcosa del genere». © RIPRODUZIONE RISERVATA «Il nostro cervello è programmato per il linguaggio, così come i nostri occhi sono programmati per vedere. Il problema sta nella varietà delle lingue: la vista è uguale per tutti, il modo in cui il linguaggio si esprime non lo è. Si delinea un orizzonte spirituale, un orizzonte di libertà».

 

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