giovedì 1 febbraio 2018
L’artista partenopeo e Peppe Servillo in gara con “Il coraggio di ogni giorno”. «Una laude dedicata anche ai miei amici francescani»
Avitabile: «A Sanremo la mia preghiera per Scampia»
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«Scrivo la mia vita / tracce sulle pietre/ ed ho gli stessi occhi di Scampia». Con l’inconfondibile respiro mediterraneo che lo contraddistingue, Enzo Avitabile, supportato dai caldi inserti recitati di Peppe Servillo, intonerà sul palco dell’Ariston un “laudato si’” contemporaneo «lontano e vicino al mondo, al suo coraggio di ogni giorno». Si intitola appunto, Il coraggio di ogni giorno l’elegante brano dal profumo di Mediterraneo, firmato insieme a Pacifico, con cui il grande musicista napoletano sarà per la prima volta in gara al prossimo Festival di Sanremo, al via il 6 febbraio. Sarà contenuto in Pelle differente la prima raccolta antologica della lunga carriera di Avitabile, in uscita il 9 febbraio per la Sony, un doppio cd composto da ben 28 canzoni, che spaziano dal periodo “americano”, frutto delle tante collaborazioni da James Brown a Tina Turner, fino all’Avitabile più originale, che mescola tradizione partenopea e suoni del mondo, con le voci di Daby Touré (il controtenore mauritano che duetterà con lui e gli Avion Travel il venerdì) e Khaled, Guccini e Battiato. Fra i tanti riconoscimenti, Avitabile va particolarmente orgoglioso del Premio Ubu per la colonna sonora del Vangelo di Pippo Delbono e si prepara all’esordio al San Carlo, il 30 e il 31 marzo, in occasione del venerdì santo, con il suo Tamburo a niro per voce recitante e orchestra.

Avitabile, lei che è credente, come unisce fede e musica?

«Io ho scritto oltre 300 opere, e sono orgoglioso che molti brani siano diventati liturgici, come il mio Stabat Mater che nella diocesi di Napoli viene alternato a quello di Pergolesi il venerdì santo. Al San Carlo porterò una cellula della mia opera Exeredati Mundi una Via Crucis dove ad ogni stazione non muore Gesù ma gli uomini. Al San Carlo porto una partitura per orchestra e coro polifonico, con la mia voce narrante, sulla quinta stazione dove i diseredati del mondo portano la croce, e a cadere sono i 6 ragazzi africani di Castelvolturno. Viene anticipata da Le ultime sette parole di Cristo sulla croce di Haydn e seguito da Mozart. A seguire un’altra produzione con il San Carlo, L’ultimo Decamerone, riscrittura di Boccaccio operata da Stefano Massini, di cui firmo le musiche».

A Sanremo invece canta un inno di speranza dalla periferia.

«Io sono uno della periferia, arrivo da Marinella, proprio come lui (ci mostra orgoglioso il medaglione con Sant’Alfonso Maria de’ Liguori che porta al collo). Nel brano sono partito con un’immagine molto poetica della mia terra, un inno alla vita per omaggiare l’uomo comune, chiunque la mattina si sveglia e vive i suoi problemi, il suo cammino tortuoso. Insomma, siamo tutti noi, ma qui c’è un’attenzione particolare a coloro che sono un po’ fuori di vista e a queste terre svantaggiate. Abbiamo evitato la formuletta del racconto per evitare la retorica, ma usiamo un linguaggio mantrico che evochi degli stati d’animo e la spiritualità che si fa strada nel tumulto di ogni giorno».

C’è chi l’ha definita una preghiera laica.

«Io non credo che esistano le preghiere laiche, perché non ha senso. Esiste la preghiera e basta, la preghiera personale e la preghiera comune. Che diventa universale quando è utilizzata nel silenzio: anche nella nostra fede cattolica la meditazione nell’adorazione è un momento di grande introspezione dove il silenzio ti riconduce a uno stato di coscienza più alto».

Al polso sinistro lei porta sempre un rosario.

«Il rosario è preghiera attiva. Questo è fatto di noccioli di olivi e mi è stato donato dai miei amici frati minori rinnovati che vivono in quattro vagoni dismessi a Capodimonte, fra Secondigliano e Scampia. Sono i loro padri spirituali che spesso mi ospitano e gli voglio molto bene. L’inciso del brano con un “laudato” in un dialetto vicino a Basile è un omaggio a loro».

Insieme a Peppe Servillo omaggiate la tradizione napoletana.

«Come in altre musiche esiste la saudade, il duende, il mood anche la musica napoletana ha una caratteristica che è “l’apucundrite” che è figlia della malinconia. La garanzia che una canzone sia veramente napoletana, figlia della Grecia antica, e quindi musica italiana, è questa. Peppe è meraviglioso e rilegge il testo con tutta la sua sensibilità».

Nell’album lei riassume tutto il suo lungo percorso musicale.

«C’è un altro inedito, Respirando navigando, una poesia sulla vita e la morte che giocano a rimpiattino. Per il resto in Pelle differente c’è il mio cambiare pelle musicale. Nella prima parte della mia carriera c’è un suono colonizzante, anche se amico, afroamericano con la volontà di associarlo alla nostra parola italiana e napoletana. Dal 2000 invece è nato un processo di convinzione di un’identità. Questo sono io, il mio suono, la mia preghiera, la mia posizione spirituale».

Lei è stato un anticipatore della world music che unisce le voci del mondo.

«A 20 anni cantavo con James Brown, che mi chiamava “il bambino con il corno”. Poi ho incontrato tutti, Da Youssou N’Dour a Kahled, Bregovic... Studio tanto, scrivo concerti per flauto e orchestra, per strumenti singoli. Ho suonato 4000 concerti e voglio continuare con la musicalizzazione dei territori. Spero che Sanremo vada bene in modo da promuovere i miei concerti nei posti più poveri del mondo e fare molte cose per i miei fratelli. Si vede che il Signore mi aiuta con questa energia, ma non credo sia una mia qualità. Diciamo che sono fortunato».

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