lunedì 11 gennaio 2010
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Due occhi che si spalancano sul nuovo mondo e ci guardano diritto in faccia. Una rinascita, certo. Ma l’immagine che chiude Avatar rimanda metaforicamente a uno sguardo diverso. Sulla realtà che ci circonda, ma anche sul quel cinema che la racconta. Come a dire che da questo momento in poi la settima arte non sarà più la stessa. La visione del film di Cameron (purché avvenga in un’ottima sala!) ti regala una sensazione più unica che rara nell’esperienza di spettatore: quella di assistere a «una prima volta». È vero, il 3D esiste da tempo, ma Cameron non lo usa per stupirci con effetti speciali, bensì per creare un mondo stupefacente al servizio dei personaggi e della storia. Una profondità di campo così non si era mai vista sullo schermo. E pensare che per recitare nel gigantesco corpo blu degli Avatar, gli attori erano da soli in una stanza spoglia. Vestiti con una tuta tecnologica capace di catturare i loro movimenti, Sam Worthington e Zoe Saldana si comportavano come se fossero su un set vero e proprio mentre Cameron in un monitor li vedeva agire nei loro alter ego digitali già immersi in quella foresta virtuale immaginata quasi vent’anni fa, ma realizzabile solo oggi grazie a telecamere e software creati ad hoc.Se la fantascienza invade lo schermo, altrettanta sembra essercene dietro la macchina da presa. Persino i grandi del cinema tecnologicamente rivoluzionario come Peter Jackson, Steven Spielberg, George Lucas e Guillermo Del Toro, in pellegrinaggio sui luoghi di lavorazione del film, sono rimasti senza fiato. E che questo sarà il futuro del cinema, almeno di quello più spettacolare, non ci sono dubbi: Spielberg sta usando le stesse tecnologie per Tintin e Del Toro per The Hobbit, prequel de Il signore degli anelli. E già si parla di una nuova saga di Guerre Stellari, tutta da inventare.
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