lunedì 15 dicembre 2008
Nel 1928 sbarcava in Italia, proveniente dagli Usa, la prima giostra a macchinine elettriche; anzi, più che di auto si trattava di «tazze» circolari a due posti, che (insieme all’andatura casuale e alla musica) procurarono all’attrazione il nome di «autoballo». Da allora le vetturette non si sono più fermate.
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Con un gettone è andato avanti 80 anni. Beh, non solo avanti, per dir la verità; anche indietro, di lato, a destra, a sinistra... L’autoscontro è infatti la quintessenza della casualità motoristica, tanto che non si è ancora capito se il suo scopo sia non avere mai incidenti, oppure l’opposto: provocarne il più possibile. La prima botta, almeno in Italia, risale a 80 anni fa e la assestarono - in luogo imprecisato - i paraurti delle automobiline appena importate da un certo Capitelli e contemporaneamente o quasi dalla rinomata ditta Pelucchi & Drouet (Pelucchi è stato una vera autorità del settore: oltre ad aver inventato la giostra ad aeroplani, ha portato nel nostro Paese il primo ottovolante e il primo «treno-fantasma»). Sorse subito uno scontro tra i due concorrenti - il primo aveva acquistato la sua pista in America, dove essa era nata, il secondo invece la fece venire dalla Francia - a suon di carte bollate e brevetti, ma a noi importa assai di più che la nuova attrazione ebbe ovviamente un enorme successo: «Nel 1926 - ricorda Giancarlo Pretini, storico indiscusso dei "mestieri da fiera" ¿ circolavano in Italia appena 141.390 automobili. L’autodromo di Monza era stato aperto solo nel 1922. Quindi è facile immaginare la voglia di auto che esisteva tra la popolazione». Peraltro all’epoca l’autoscontro si chiamava «autoballo»: probabilmente proprio per l’andatura gironzolante assunta dalle vetturette, che in quel primo prototipo (costruito ovviamente in legno) dovevano essere di forma circolare: una sorta di grande tazza con due posti a sedere e un volante piantato dritto davanti. In inglese invece si diceva «autoskooter» o semplicemente «skooter», qualcosa che richiama il verbo dello sgattaiolare, ovvero «Dodgem»: dal vocabolo significante una fuga agile e veloce, ma anche la marca di un’automobile americana, e comunque la prima e più nota fabbrica di autoscontro. Perché l’autoscontro era nato in America già nel 1920, e precisamente in un garage di Methuen nel Massachussets per opera di Max ed Harold Stoehrer - padre e figlio -, i quali nell’estate di quell’anno misero su un bungalow con la loro attrazione presso la spiaggia. La trovata si basava ovviamente sull’elettricità (un’altra delle modernità che proprio in quegli anni stavano rivoluzionando il mondo delle giostre, fin allora non solo metaforicamente «a cavalli» o al massimo a cavalli-vapore) e soprattutto sulla sua tecnica di distribuzione, attraverso una rete sospesa alla quale attingere con un trolley tipo quello dei tram - idea brevettata sempre negli Stati Uniti addirittura nel 1890. I primi fortunati autisti pagavano 30 centesimi di dollaro per un giro di mezzo minuto e si divertivano tanto che, come testimoniarono i primi inservienti (le gettoniere vennero introdotte solo negli anni Cinquanta, prima si pagava di persona), per evitare la corsa ad accaparrarsi la prima macchinetta vuota rischiando di essere investiti bisognò inventare una menzogna: cioè che a camminare sulla pista si poteva prendere la scossa e gli addetti erano immuni solo per via di speciali calzature isolanti... Più o meno la stessa furia che si ripete oggi ad ogni fiera di paese, dove l’autoscontro fa ancora da padrone: soprattutto tra i giovanotti, grazie anche a un accompagnamento musicale da discoteca e a vetture che sono andate sempre al passo delle loro sorelle «vere» se non addirittura a precorrerne certi esiti futuribili. Che fosse un bell’affare, economicamente parlando, se ne accorsero infatti subito gli inventori americani (i quali costituirono immediatamente la Dodgem Corporation, capace già nel 1922 di sfornare ben 800 vetturette), ma anche gli inventivi italiani. Fu infatti nel 1928 che due squattrinati meccanici di biciclette veneti - nonché venditori di dolci casalinghi alle fiere - vennero folgorati dall’ispirazione di copiare quel gioco. «Furono colpiti anzitutto dal fatto che, per salire, la gente pagava in contanti: non come accadeva a loro, di dover aspettare mesi il saldo per le riparazioni ciclistiche...» Tommaso Zaghini è il direttore del Museo nazionale della Giostra e dello Spettacolo popolare di Bergantino (Ro) e questa storia la conosce bene perché i due precursori erano appunto del suo paese, oggi divenuto l’epicentro del maggior distretto industriale mondiale (102 aziende in 5 province venete, di cui 64 nel solo Polesine) della giostra: «Si chiamavano Umberto Favalli e Umberto Bacchiega. Avevano frequentato una scuola di arti e mestieri e un po’ di meccanica s’intendevano. Presero le misure della piattaforma a passi, segnandole su una scatola di fiammiferi; contrassero un debito di 60 mila lire per comprare tutto l’occorrente. Ma il 24 aprile 1929 erano in grado di presentare sulla piazza di Bergantino, per la Fiera di San Giorgio, la prima autopista (l’autoscontro verrà un anno più tardi) interamente italiana e tutta in legno. Il successo fu così sbalorditivo che molte altre famiglie del luogo furono spinte a seguire l’esempio dei due imprenditori, cosicché da paese agricolo il nostro divenne la patria nazionale dello spettacolo viaggiante». In soli 10 anni ben 105 famiglie, su un totale di 3000 abitanti, si impiegarono nella fabbricazione e nella gestione delle giostre. Non per niente Bergantino si prepara a festeggiare l’ottantesimo anniversario della sua autopista nel prossimo aprile, con tanto di convegni e - ovviamente - di spettacolo e divertimento. «Ma le autopiste - soggiunge Zaghini - sono finite intorno agli anni Ottanta, uccise dalla loro stessa mole (erano diventate sempre più mastodontiche, su più piani), che rendeva complicato spostarle di piazza in piazza; invece l’autoscontro è ancora di grande attualità - anche se non è la giostra più richiesta, dal punto di vista dei produttori - sia perché si è trovato il modo di trasportarla già premontata su rimorchi, in modo da permettere la gestione da parte di una sola famiglia e senza troppi operai, sia perché la sua atmosfera (che simula il ballo da discoteca e insieme la sfida automobilistica) piace ancora molto ai giovani. Di più: è difficile trovare una giostra che goda di un successo mondiale e così duraturo come l’autoscontro». Gettoni alla mano, ragazzi, il divertimento continua: «Altro giro, altra corsa!».
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