lunedì 19 aprile 2021
I materiali usati dal maestro spagnolo, prodotti industriali all'epoca ancora sperimentali, in alcuni casi minano la salute dei suoi dipinti. La scoperta in uno studio firmato da ricercatrici europee
Un dipinto di Picasso all'asta

Un dipinto di Picasso all'asta - Geoff Caddick / Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Risolto il mistero dell'invecchiamento dei quadri di Pablo Picasso: è colpa della trama della tela in cotone, degli oli usati e soprattutto dei colori impiegati dall'artista spagnolo, pitture semi-sintetiche ancora sperimentali, in grado di accelerare la crettatura, ossia le crepe della superficie pittorica. A svelarlo è stato un team internazionale e multidisciplinare di scienziate, tra cui Francesca Izzo, ricercatrice di Scienze Chimiche per i Beni Culturali all'Università Ca' Foscari, Venezia.

Non è la prima volta che i capolavori della pittura moderna finiscono sotto la lente dei ricercatori per questo motivo. Un caso piuttosto noto è quello del giallo di Van Gogh, che va lentamente ma inesorabilmente svanendo, processo contro il quale stanno lavorando team di scienziati. Il fatto è che la generazione degli impressionisti è la prima a usare colori prodotti in modo industriale, pronti all'uso e trasportabili con facilità. La chimica alla base di questi materiali, sia per i pigmenti che per i solventi, si è rivelata sul medio e lungo periodo poco stabile, con un conseguente decadimento o alterazione delle cromie.

Nell'estate del 1917 a Barcellona Picasso ha realizzato quattro opere ispirate ai Ballets Russes, utilizzando materiali molto simili fra loro: sette pigmenti, olii siccativi, colla animale e tele. I quadri sono rimasti nella casa della famiglia di Picasso fino al 1970, quando vengono donate al Museu Picasso di Barcellona. Un secolo dopo la realizzazione, l'opera Hombre sentado (Uomo seduto) appare in uno stato di conservazione precario, peggiore rispetto alle altre tre della serie, a partire dalla superficie "screpolata".

Il museo decide di restaurare l'opera, ma soprattutto vuole andare capire il perché di quelle differenze tra opere per nascita e storia.
Parte così il progetto "Promesa" (Study of the mechanical and dimensional properties of commercial paint films), coordinato da Laura Fuster-Lopez, professoressa di Conservazione all'Universitat Politècnica de València e da poco concluso con la pubblicazione dei risultati sulla rivista scientifica "Sn Applied Sciences".

"Il progetto si è incentrato sullo studio combinato della composizione chimica e dei meccanismi di degradazione fisico-meccanica che si manifestano in opere d'arte moderna e contemporanea - afferma Laura Fuster-Lopez - Dato che non tutte le problematiche hanno una causa comune, e dato che le nostre opere d'arte continuano a deteriorarsi silenziosamente anche in condizioni di conservazione ed esposizione controllate, è necessario capire quali aspetti inerenti alla composizione dei materiali usati dagli artisti
possono essere la causa della loro instabilità nel tempo, al fine di adattare misure preventive di conservazione nelle nostre collezioni".

Le scienziate hanno così realizzato il primo studio che considera le problematiche di degrado meccanico dei dipinti di Picasso con un approccio scientifico analitico e diagnostico. "Le analisi svolte - spiega Francesca Izzo - mettono in luce che Picasso ha dipinto con colori ad olio, contenenti sia il tradizionale olio di lino, sia oli meno siccativi come l'olio di cartamo e di girasole. In un caso, poi, ipotizziamo che l'artista abbia sperimentato l'uso, non ancora in voga nel 1917, di pitture semi-sintetiche. Le tele utilizzate dall'artista sono di cotone, su cui Picasso ha steso due diversi strati di preparazione: uno ottenuto con colla animale, l'altro invece con olio siccativo: in entrambi i casi mescolati con pigmenti diversi (come biacca, barite, ossido di zinco). Inoltre, è interessante notare la presenza dei cosiddetti "saponi metallici", composti che si formano per interazione tra il legante e alcuni ioni rilasciati dai pigmenti che possono provocare danni ben visibili, sia a livello estetico che a livello di stabilità chimica e meccanica".

I risultati ottenuti sono stati combinati con l'esame visivo delle crettature e dei problemi meccanici delle pitture per stabilire ipotesi sulle differenze di degrado. Questa è una delle prime volte che viene adottato un approccio basato su tecniche di documentazione non invasive, analisi chimico-fisiche e osservazioni del danno meccanico per fornire una visione del possibile contributo che ogni strato ha sul degrado osservato.
Ne è emerso che le interazioni fra pigmenti e leganti possono aver reso i film pittorici più o meno inclini alla degradazione. Lo stesso è stato osservato negli strati sotto la pellicola pittorica: spessori di preparazione diversi, diverse interazioni pigmenti-legante e altre minime differenze che possono aver provocato una diversa reazione alle condizioni ambientali.
Lo studio approfondito del caso ha sollevato nuovi interrogativi e spunti per nuove ricerche. Le scienziate stanno cercando di scoprire il ruolo della possibile "migrazione" di materiali tra gli strati di pittura e di preparazione. Con i nuovi risultati scientifici a disposizione, Reyes Jiménez de Garnica, direttrice del Dipartimento di Conservazione Preventiva e Restauro del Museu Picasso di Barcellona, potrà affinare le strategie di conservazione preventiva e valutazione delle condizioni di conservazione ed esposizione delle opere.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: