venerdì 23 aprile 2021
Siena, la belga Lessines, Beaune in Borgogna: un’indagine per immagini di luoghi fondati nel medioevo e destinati oggi alla cultura ma che mantengono la memoria, tra scienza e fede, della loro storia
Il Giardino dei semplici dell’antico ospedale di Notre-Dame à la Rose a Lessines, dal volume “Ars Curandi”

Il Giardino dei semplici dell’antico ospedale di Notre-Dame à la Rose a Lessines, dal volume “Ars Curandi” - Elena Franco/Artema

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S’intitola Ars Curandi (Artema, pagine 300, euro 55,00) il nuovo volume, in uscita ai primi di maggio, della fotografa torinese Elena Franco, che in questa pagina anticipa il campo e il senso della sua ricerca.

La ricerca fotografica indipendente Hospitalia, che ho cominciato nel 2012, si arricchisce di un nuovo capitolo dedicato a tre antichi ospedali europei, ora trasformati in musei, che vengono raccontati nel volume Ars Curandi (Artema). Gli hospices di Beaune in Francia, l’antico ospedale di Notre-Dame à la Rose a Lessines in Belgio e il complesso ospedaliero di Santa Maria della Scala a Siena in Italia sono accomunati da una storia che ha le proprie radici nel Medioevo e che testimonia come cura e accoglienza siano, da sempre, uno dei pilastri su cui si fonda la civiltà europea. Luoghi di scienza e di pensiero, città nelle città, sono stati centri di innovazione e non solo di cura, ma anche di solidarietà, di cui hanno perfezionato i meccanismi.

Quando, alla fine del XX secolo, l’evoluzione della scienza medica ha reso impossibile mantenere la funzione ospedaliera in questi edifici, è stata scelta per essi una funzione comunitaria e culturale. È così che i tre siti sono diventati musei e oggi – sotto forma di archivi della cura, vivi e accessibili a tutti – rendono disponibile un patrimonio straordinario di scienza e umanesimo.

Il complesso di Santa Maria della Scala ha rappresentato – sia per la funzionalità dei suoi spazi che per l’organizzazione amministrativa – uno dei più articolati esempi di ospedale a scala europea. Gli ambienti del Pellegrinaio degli uomini, con i celebri affreschi di Domenico di Bartolo, Lorenzo di Pietro e Priamo della Quercia, sono diventati, nel tempo, la rappresentazione iconografica di quel legame tra arte e salute così centrale all’epoca e che necessita, oggi, di una rinnovata attenzione.

Una vista del cantiere di restauro di Santa Maria della Scala a Siena, dal volume “Ars Curandi”

Una vista del cantiere di restauro di Santa Maria della Scala a Siena, dal volume “Ars Curandi” - Elena Franco/Artema

L’Hôtel- Dieu di Beaune in Francia, risalente al XIV secolo, famoso per la sua copertura in ceramica e la facciata interna a graticcio, è stato da sempre caratterizzato per il rapporto fra l’ospedale e i suoi vasti possedimenti agricoli coltivati a vite, che ancora oggi garantiscono, durante l’annuale asta di vini, entrate che concorrono al bilancio dell’ospedale contemporaneo.

Infine, il piccolo complesso di Notre-Dame à la Rose a Lessines in Belgio, modello di ospedale autarchico con luogo di cura e fattoria costruiti nel medesimo sito, a cavallo del fiume Dendre, offre ai visitatori un interessante esempio di architettura gotica, che, nei suoi ambienti, ha visto prestare servizio le suore dell’ordine agostiniano (lo stesso in servizio anche a Beaune) sino agli anni Ottanta del Novecento.

Molti sono i temi che accomunano questi tre luoghi, il loro passato e la loro destinazione d’uso attuale come testimonianza dell’accoglienza e della cura. L’interesse per un lavoro di lettura comparativa dei luoghi è nato durante una sessione fotografica di approfondimento del sito di Lessines, dove nel settembre 2018 è stata allestita una mostra ad hoc di parte delle immagini del progetto Hospitalia. In quest’occasione, il direttore del museo Raphaël Debruyn mi ha parlato del lavoro comune con gli hospices di Beaune per una valorizzazione congiunta dei due siti, non solo attraverso scambi di informazioni e documenti, ma anche attraverso una visione strategica comune, confluita nella preparazione di un dossier di candidatura dei due monumenti come patrimonio riconosciuto dall’Unesco, tuttora in corso.

L’interesse congiunto, poi, di Raphaël e del suo collega di Beaune, Bruno François, per l’ospedale senese, considerato da entrambi un esempio maggiore di architettura ospedaliera medievale europea, ha fatto sì che io facessi da ponte fra gli staff dei tre musei per organizzare una piccola rete di scambio informale, che mi ha poi sostenuto nella realizzazione delle mie ricerche e delle sessioni fotografiche. Il lavoro iniziato in Belgio è così proseguito a Siena dove, nell’aprile del 2019, è stata ospitata anche una mostra fotografica dedicata al mio lavoro, e, infine, si è concluso con una residenza a Beaune nel febbraio 2020, pochi giorni prima del primo lockdown.

Il lavoro di ripresa fotografica dei luoghi, dunque, parte prima delle sessioni di scatto con un approfondita ricerca e studio di documenti e testi, grazie al confronto con le persone che, a vario titolo, si occupano dei siti, in modo da acquisire preventivamente tutte le necessarie informazioni che saranno utili nella fase di ripresa, una volta sul posto. Lo sguardo, dunque, non è mai neutro. È carico delle informazioni di carattere scientifico e documentario acquisite attraverso i testi mediate dalle parole condivise dalle persone che ho incontrato, dagli aneddoti raccontati e dalle atmosfere che i luoghi hanno trasmesso durante i miei spostamenti all’interno degli ambienti – quelli più conosciuti, perché aperti al pubblico, e quelli nascosti, inaccessibili ai più.

La cucina dell’Hôtel-Dieu di Beaune, dal volume “Ars Curandi”

La cucina dell’Hôtel-Dieu di Beaune, dal volume “Ars Curandi” - Elena Franco/Artema

Di tutti gli incontri fatti, uno mi ha colpito particolarmente. Il colloquio con l’ultima delle monache agostiniane che hanno prestato servizio a Beaune, che ha accettato gentilmente di incontrarmi e di dedicarmi un po’ del suo tempo. Abbiamo parlato dell’opera che ha prestato a servizio dei malati, della chiusura dell’ospedale storico, delle difficoltà della sua comunità, ora ridotta a cinque persone e che terminerà con loro. Dalle sue parole è emerso come per la comunità di monache l’ospedale sia stato, nei secoli, una casa. Ora che tutto si è compiuto e che chiara è la consapevolezza che con le ultime sorelle si chiuderà un capitolo lungo secoli. Mi ha raccontato di come si siano preoccupate, nel trasferirsi in un appartamento, di lasciare il loro archivio a disposizione della comunità tramite l’affidamento al Comune e di come si stiano organizzando per la gestione dei loro ultimi anni. Il suo racconto mi ha accompagnato durante il solitario lavoro di editing e postproduzione per la realizzazione del libro, durante quest’ultimo anno di pandemia.

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