giovedì 30 aprile 2015
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«Simona non parla. A volte canta. E il suo canto è uno strano vocalizzo su due note, lamento e ronzio, sussurro e pianto. Dicono che Simona abbia messo per la prima volta le mani sul pianoforte di casa quando aveva tre o quattro anni e che, non molto tempo dopo, abbia iniziato a suonare i temi brevi ma complessi che ancora oggi esegue da sola». La storia di Simona è una delle tante che si “ascoltano” a Cascina Rossago, nell’Oltrepò Pavese, la prima fattoria sociale italiana, disegnata specificamente sulle esigenze delle persone con autismo. Qui la musica è una colonna sonora della vita del gruppo, che si fa, incredibilmente, orchestra. “Invisibile” (questo il nome dell’ensemble), ma vera. L’Orchestra Invisibile è nata nel 2005, nel contesto agricolo della cascina (fra i fondatori ci sono Francesco Barale e Stefania Ucelli, che sull’autismo hanno scritto pagine importanti). «All’inizio pensavamo che non avremmo mai suonato all’esterno di Cascina Rossago e per questo ci eravamo chiamati “invisibili”. Ma l’autismo è imprevedibile, in esso nulla è mai statico e globale, come ben sanno coloro che hanno un’intensa consuetudine con questa condizione umana», spiega Vera Minazzi fra le pagine del libro da lei curato, Orchestra invisibile, con i testi di Ellade Bandini, Pierluigi Politi e Carlo Sini (di cui, a fianco, pubblichiamo un brano) e le fotografie di Enrico Pozzato (Jaca Book, pagine 112, euro 25,00). È la “debolezza piena” che sa sorprendere. È la musica che diventa campo di espressione, lì dove le parole non contano. Contro ogni previsione, oggi l’Orchestra Invisibile è un grande gruppo jazz, a struttura variabile, composto grosso modo da venticinque musicisti, più di metà dei quali sono persone con autismo. Da subito, i primi musicisti che hanno cominciato a collaborare con l’orchestra, si sono resi conto della natura paradossale del loro compito: stare insieme, in gruppo, divertendosi, con persone che, per definizione, non potrebbero stare in gruppo, e tantomeno andare a tempo con gli altri. Una sfida raccolta da tre personaggi, profondamente diversi, ma uniti dalla passione per la musica, lo psichiatra Pierluigi Politi, il noto batterista pop-jazz, Ellade Bandini, e il filosofo Carlo Sini. «La stanza della musica era disseminata di strumenti, più che altro tamburi, e di persone con strumenti in mano. Abbiamo suonato standard americani e ci siamo divertiti tutti, anche se il risultato non era perfetto, ma le volte che si imbroccava era un vero miracolo musicale», scrive Bandini nel suo racconto “Se un pomeriggio d’inverno un batterista”. Portato per le colline pavesi alla scoperta di questo mondo da Daniela Bonanni (che con Bruno Morani ha fondato “Spazio Musica”, «un mitico locale inespugnabile», dice Bandini), lì troverà Simona, certo. E Ike, «un poeta privo della parola parlata e senza eguali in quella scritta. Quando suona tiene il tempo. Quando scrive no». E Giovanni, «un metronomo senza noia né rigidità»; Vincenzo che usa «le spazzole della batteria coma frusta di un cuoco». «La prima volta a Cascina Rossago è stato un concerto in occasione del Natale del 2003 – ricorda l’animatore di questo “grande” gruppo jazz, Politi –: un piccolo concerto offerto ai ragazzi inseriti a Cascina e ai loro genitori. Passarono un’ora seduti – non era mai successo fino ad allora – ammaliati dalla musica. Noi eravamo stupefatti e contenti. Ci sembrava di aver portato la musica là dove non era mai stata». Dopo quell’esperienza, un pomeriggio alla settimana, il venerdì, si cominciò a suonare con i ragazzi di Cascina. «Ogni venerdì di musica, parte da un inizio frammentato in cui ciascuno suona per conto proprio, senza tempo, né ritmo, né accordo; conosce un graduale e progressivo riassemblarsi dell’orchestra fino agli ultimi brani segnati da un respiro unico, da un pulsare regolare e sincrono e, soprattutto, dall’ascolto reciproco». Ecco l’inaspettato. Torna in mente Rain Man, il film in cui Raymond (Dustin Hoffman) ricorda la sequenza di tre mazzi di carte, permettendo al fratello Charlie (Tom Cruise) di sbancare il casinò. «Ecco, con la musica accade qualcosa di simile – evidenzia ancora Politi –. Spesso chi soffre di autismo vive immerso in un oceano di suoni e rumori, verso i quali ha sviluppato una sensibilità fuori dal comune. Si dice che tra le persone con autismo la prevalenza della capacità di riconoscere un suono isolato, il cosiddetto orecchio assoluto, sia superiore di un ordine di grandezza rispetto ai “normali” che, in questo caso, dovrebbero iniziare a considerarsi: “ipodotati”. Molte volte nel corso del tempo, ho percepito chiaramente come il ritmo, la melodia, le numerose iterazioni che la musica propone possano non solo sostituire, ma anche spingersi molto oltre quel linguaggio verbale, spesso penalizzato, ignorato, talora persino snobbato, da chi soffre di autismo». Simona non parla, a volte canta, ma suona. Insieme ai suoi compagni di vita. Così l’Orchestra è uscita dalla cascina e si è esibita anche in pubblico, comunicando... l’invisibile.
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