venerdì 2 giugno 2023
A Cartoons on the Bay, incontro con il regista israeliano che domani riceverà il Premio alla carriera per i suoi film d’animazione, da "Valzer con Bashir" a "Anna Frank"
il regista israeliano Ari Folman, premiato a Cartoons on the Bay

il regista israeliano Ari Folman, premiato a Cartoons on the Bay

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«I film non spariranno mai e le storie non muoiono, ma dobbiamo raccontarle in modo diverso. La graphic novel ormai ha sostituito il romanzo, anche nelle scuole» È stato il primo regista al mondo a realizzare un documentario di animazione, Valzer con Bashir, in cui raccontava la sua esperienza di soldato nella guerra in Libano. Era il 2008 e al Festival di Cannes fu un grande successo. Cinque anni dopo è stata la volta di The Congress, basato sul romanzo di Stanisław Lem, Il congresso di futurologia, e costruito intorno all'attrice Robin Wright che, ormai sul viale del tramonto professionale, accetta di vendere i diritti cinematografici della propria immagine a uno studio cinematografico in cambio di una grossa somma di denaro e la promessa di non recitare mai più. Il suo corpo digitalmente scansionato diventerà protagonista di film popolati solo da personaggi generati al computer. Ci sono voluti poi altri sette anni per realizzare, tra molte difficoltà, Anna Frank e il diario segreto, presentato sulla Croisette nel 2021, in cui la vita della più celebre vittima dell’Olocausto viene raccontata dal punto di vista della sua amica immaginaria, Kitty. Ieri il regista israeliano Ari Folman è stato ospite della 27ª edizione di “Cartoons on the Bay”, che il prossimo 3 giugno gli consegnerà il Premio alla Carriera. Quindici anni, tre film, tre temi ancora attuali come la guerra, l’intelligenza artificiale, la persecuzione razziale. «Avendo combattuto in Libano – racconta il regista – volevo mostrare in Valzer con Bashir come la guerra non abbia nulla a che vedere con la realtà e per quanto tu sia preparato, sarà sempre un incubo tremendo, una dimensione alternativa dove si mescolano conscio e inconscio. Per realizzare questo piccolo film sulla memoria, costato appena 1.5 milioni di dollari con sei animatori, l’animazione era il linguaggio ideale, che mi ha consentito una grande fluidità tra realtà e sogno. Il film è stato molto utilizzato nella terapia dei soldati vittime della sindrome da stress post traumatico perché filtrando la realtà da loro vissuta li aiutava a affrontare il processo di guarigione. In genere poi non credo nella verità dell’arte, neppure in quella dei documentari. Ogni punto di vista, ogni inquadratura hanno una natura soggettiva. Per Valzer con Bashir temevo però che la gente non avrebbe creduto a quello che vedeva perché si trattava di disegni. Ma il livello di verità di una immagine non dipende dal linguaggio visivo utilizzato». La questione sulla verità delle immagini è oggi più che mai cruciale. L’esperienza di Anna Frank invece è stata completamente diversa: 20 milioni di dollari di budget, una coproduzione tra cinque paesi, molti anni di lavoro. Nel 2017 Folman aveva realizzato con David Pollonsky la prima graphic novel tratta dal celebre Diario che ha fatto conoscere la tragedia dell'Olocausto a milioni di ragazzi . «Il problema è che i ragazzi non leggono più e ho scoperto che la graphic novel ha sostituito il romanzo anche nelle scuole. Le storie non muoiono, ma dobbiamo accettare che vengano raccontate in modo diverso». «Mia madre – conti-nua – ha colto subito la contraddizione: il primo film fatto con pochi soldi e una piccola troupe ha avuto uno straordinario successo, il secondo molto più ricco e solido, ha avuto moltissime difficoltà. La verità è che l’animazione richiede tempi troppo lunghi e io ho 60 anni, devo scegliere bene i progetti da condurre in porto. Il fatto è che non credo molto nell’animazione per gli adulti perché si rivolge a un pubblico troppo ristretto e di nicchia. I progetti migliori sono quelli come Inside Out, che affrontano in maniera divertente temi difficili e importanti, come la depressione degli adolescenti». Eppure un nuovo progetto di animazione di Folman esiste, anche se non è ancora chiaro se sarà un film o una serie tv: la storia ruoterà intorno a una famiglia di gibboni alle prese con il divorzio, raccontato dal punto di vista dei piccoli di casa. Ma sono in cantiere anche due film live action. «Mi manca molto lavorare con gli attori, e infatti in Israele dirigo un teatro». È uno spettatore onnivoro Folman, passa dai colossali cinecomic Marvel ai piccoli film d’essai. «Guardo anche moltissimi film a casa e recentemente mi è capitato di vederne tre di Alice Rohrwacher, una voce unica e diversa, una delle più interessanti nel panorama cinematografico mondiale. Faccio invece più fatica a seguire le serie, di Succession ho resistito solo fino alla settima puntata. Credo che la crisi delle sale non dipenda dalla pandemia. siamo alle prese con un cambiamento epocale della fruizione. I film non spariranno mai, ma sta cambiando il modo di vederli. I cinema sono diventati troppo cari, i televisori di casa sempre più grandi e l’idea romantica della condivisione nel buio della sala non appartiene ai giovani. In un futuro non troppo lontano ci sarà un cinema spettacolare consumato nelle arene e nelle grandi sale, un cinema molto più radicale per un pubblico ristretto, mentre tutto il resto arriverà in streaming su piattaforma. Ci saranno ancora gli attori in carne e ossa? Non lo possiamo sapere. Con le più recenti evoluzioni dell’intelligenza artificiale è diventato impossibile fare previsioni per i prossimi cinque anni».

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