lunedì 10 giugno 2013
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Issata in mezzo alle dune di sabbia un’enorme struttura di specchi richiama alla mente i pannelli solari. La sostengono due gru. La scompongono. La calano, incombente, sui protagonisti. Niente piramidi nell’Aida della Fura dels Baus, ma tecnologia che si fonde con le suggestioni del paesaggio africano. Il gruppo catalano, noto per le sue provocazioni, è stato chiamato a reinventare l’opera di Giuseppe Verdi che venerdì, con la bacchetta dell’israeliano Omer Meir Welber, inaugurerà la stagione lirica 2013 dell’Arena di Verona, quella del Festival del Centenario. Perché è passato esattamente un secolo dal 10 agosto 1913, quando proprio l’opera che il compositore emiliano scrisse nel 1871 venne rappresentata per la prima volta sull’immenso palcoscenico veronese. L’idea di portare la lirica dove i Romani organizzavano spettacoli circensi – ma l’Arena, edificata agli inizi del I secolo d.C., fu anche drammatico teatro del martirio dei cristiani – venne a Giuseppe Zenatello. Che negli annali, forse, aveva letto di quella volta in cui – era il 1822 – Gioachino Rossini diresse nell’anfiteatro la sua cantata La Santa Alleanza, per rendere omaggio ai membri del patto siglato al Congresso di Vienna riuniti in città. Veronese, classe 1876, Zenatello era cantante lirico, tenore (interpretò Pinkerton alla prima della Madama Butterfly di Puccini nel 1904 alla Scala), e volle celebrare nella sua città i cento anni dalla nascita di Verdi. Chiamò il maestro Tullio Serafin, il miglior direttore d’orchestra allora in circolazione (sarà poi lui nel 1947 a far debuttare Maria Callas in Italia, proprio a Verona, con Gioconda di Ponchielli), e insieme decisero di portare tra le pietre dell’Arena il kolossal che Verdi scrisse per l’inaugurazione del Canale di Suez. «Verona. Grande Arena. Commemorazione verdiana per iniziativa del tenore Giovanni Zenatello. Cinque recite straordinarie della grande opera-ballo Aida» si legge nel manifesto originale. Zenatello vestì i panni di Radames, Ester Mazzoleni quelli di Aida. Scene di Ettore Fagioli, costumi dell’archeologo Auguste Mariette. Bozzetti e figurini di allora, conservati negli archivi dell’Arena, nel 1982 vennero tolti dalla polvere per rievocare lo storico allestimento. Spettacolo applaudito e fotografato da milioni di turisti che quest’anno tornerà in scena proprio la sera del 10 agosto. Perché saranno due le <+corsivo>Aida <+tondo>che si vedranno quest’estate a Verona, quella della Fura e quella storica ricostruita da Gianfranco De Bosio. Tradizione e innovazione. L’idea di Zenatello si rivelò vincente e venne replicata l’anno successivo quando andò in scena la Carmen di Bizet. Ma la Prima guerra mondiale era dietro l’angolo. E l’Arena non ospitò più spettacoli sino all’estate del 1919. Un altro stop, poi, per il Secondo conflitto mondiale, dal 1940 al 1945. Cosa che spiega come mai a cento anni dalla prima il Festival che va in scena in questo 2013 porta il numero 91. Festival del Centenario. Centenario dell’Arena, ma anche centenario, o meglio bicentenario, della nascita di Verdi: tutto nel segno del musicista di Busseto il cartellone con l’immancabile Aida – dal 1992 è sempre in programma –, ma anche con Nabucco e la cosiddetta “Trilogia popolare” di Traviata, Trovatore e Rigoletto. Cartellone che l’Arena ha voluto affidare ad uno speciale direttore artistico, Placido Domingo, che sarà a Verona nei panni di cantante, ma anche di direttore d’orchestra. Perché l’opera sotto le stelle ha sempre attirato i grandi nomi della lirica. Tra le due guerre ecco le voci di Gina Cigna, Toti dal Monte e di Maria Caniglia, di Beniamino Gigli, Tito Schipa e Tancredi Pasero. Poi nel 1947 l’arrivo di Maria Callas che da Verona inizierà la sua marcia trionfale nel mondo della lirica. Sul palco ecco sfilare Grace Bumbry e Sherley Verret nei panni di Carmen, Katya Ricciarelli in quelli di Violetta, Raina Kabaivanska dolente Butterfly e Ghena Dimitrova grande Abigaille. Franco Corelli è Calaf, Carlo Bergonzi Radames, Luciano Pavarotti Riccardo di Un ballo in maschera, José Carreras il Don José di Carmen. Anche le grandi bacchette scendono in Arena: Antonino Votto, Francesco Molinari Pradelli e Oliviero De Fabritiis arrivano negli anni Cinquanta, nel 1960 debutta Gianandrea Gavazzeni (oggi il nipote Paolo è il direttore artistico della fondazione lirica), nel 1990 Lorin Maazel, nel 1997 Zubin Mehta, nel 2001 Georges Prêtre. A raccogliere la sfida del palcoscenico ecco Luca Ronconi, Giuseppe Patroni Griffi, Gabriele Lavia, ma anche registi cinematografici come Giuliano Montraldo (sua una Turandotkolossal) e Werner Herzog (nel 1994 firma Norma), sino a Franco Zeffirelli che debutta in Arena nel 1995. Tutti impegnati a portare l’opera al grande pubblico, quello che arriva con i pullman di Cral e circoli culturali, ma anche con il tutto compreso dei pacchetti turistici o con i voli low cost. Tutti impegnati a catturare l’attenzione dei quindicimila spettatori che ogni sera, sulle prime note dell’opera, accendono migliaia di candeline. In uno spettacolo che vede il cielo stellato specchiarsi nelle luci accese sulle gradinate dell’Arena.
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