giovedì 29 dicembre 2022
Tra i maestri del brutalismo, allievo di Kenzo Tange, virò poi verso il postmoderno. A Milano ha firmato il grattacielo Allianz, a Torino il Palasport olimpico del 2006. Aveva 91 anni
L'architetto giapponese Arata Isozaki (1931-2022)

L'architetto giapponese Arata Isozaki (1931-2022) - Ansa

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È morto a 91 anni, senza sapere – 24 anni dopo la vittoria del concorso – se la sua “pensilina” degli Uffizi si farà oppure no. Arata Isozaki è scomparso ieri a Tokyo. Autore di un centinaio di edifici in tutto il mondo, aveva vinto il Pritzker Prize 2019, quinto giapponese. Isozaki apparteneva alla categoria delle archistar, autore di una architettura dal forte impatto visivo e su grande scala.

Era nato il 23 luglio 1931 a Oita, sull’isola di Kyushu: una città non distante da Hiroshima e Nagasaki. Quando esplose la bomba aveva 12 anni: «Quando ero abbastanza grande per iniziare a capire il mondo – ha raccontato – la mia città natale fu distrutta. Sulla sponda opposta era caduta la bomba atomica su Hiroshima, quindi sono cresciuto nella zona zero». Sul vuoto del Giappone raso al suolo cresce la sua immaginazione. Si laurea in architettura nel 1954, sposa la linea brutalista e visionaria del più anziano Kenzo Tange, a sua volta cresciuto alla scuola di Le Corbusier, nel dare forma all’immagine del nuovo Giappone con edifici visionari e radicali in cemento armato. Con il maestro collabora al futuribile Piano per la nuova Tokyo, uno degli esempi più clamorosi dell’architettura radicale degli anni 60 che in Giappone prende il nome di Movimento Metabolista.

Tra le opere giovanili la più nota è la biblioteca della prefettura di Oita, del 1966. Il progetto lo porta a essere invitato tra gli architetti dell’Expo di Osaka del 1970 sotto la guida di Tange. Presto Isozaki rivela però una capacità quasi eclettica di mescolare suggestioni ed evitare etichette. Dopo gli esordi modernisti incorpora idee che già virano verso il postmoderno, grazie anche a uno spiccato senso dell’umorismo: il Fujimi Country Club (1973), sempre a Oita, ha la forma di un punto interrogativo, segno dello sconcerto di Isozaki verso l’ossessione del suo paese per il golf. La sua carriera esplode su scala internazionale quando negli anni ‘80 realizza il Museum of Contemporary Art di Los Angeles.

Tra le sue opere più importanti ci sono il Palacio de San Jordi realizzato per le Olimpiadi di Barcellona del 1992, il quartier generale della Disney in Florida (1990), edificio emblematico del decò-pop postmoderno, il Centro Culturale di Shenzhen (Cina, 2007) e in fine il Qatar National Convention Center di Doha (2011) dove recupera una plasticità di forme di stampo organico. Rispetto agli esordi visionari Isozaki si è poi assestato su un gusto meno dirompente e allineato alla richiesta di una committenza internazionale attenta più alla visibilità che alla ricerca.

Isozaki ha lavorato più volte in Italia. La sua opera più recente è la Torre Allianz a Milano, uno dei tre grattacieli di CityLife: alta 209 metri è il secondo edificio più alto d’Italia. Suo anche il Palasport per le Olimpiadi invernali di Torino del 2006. Nel 2008 ha vinto il concorso per la sede della provincia di Bergamo con una sorta di grattacielo orizzontale. Il suo progetto italiano più noto è però quello che non ha mai realizzato a causa di annose polemiche: la famigerata “pensilina” degli Uffizi a Firenze. Un progetto tanto geniale quanto contestato. Doveva essere completato nel 2003. Isozaki aveva poi rimesso mano al progetto, valutato positivamente dal direttore degli Uffizi Schmidt. Il ministro della Cultura Sangiuliano nel novembre scorso ha però affermato di voler nuovamente bloccare il progetto.

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