sabato 28 ottobre 2023
Uno studio archeologico americano, basato su immagini di satelliti spia della Guerra Fredda desecretate, ha rilevato una massiccia e inattesa presenza di fortificazioni sul limes in Medio Oriente
Una serie di foto aeree riprese da Poidebard in Medio Oriente

Una serie di foto aeree riprese da Poidebard in Medio Oriente - Antiquity

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Centinaia di fortezze dell’Impero Romano presenti su vecchie “immagini satellitari spia”, riprese sopra Siria, Iraq e i vicini territori della “mezzaluna fertile” del Mediterraneo orientale, sono state portate alla luce grazie ad un recente studio realizzato da archeologi. I satelliti in questione, che appartenevano ad una serie chiamata “Corona”, venivano utilizzati per la ricognizione segrete negli anni ‘60 e ‘70, ma i loro dati ora sono declassificati. Alcune delle loro immagini archiviate permettono nuovi studi archeologici in aree della Terra spesso difficili da visitare dai ricercatori, vuoi per motivi militari, vuoi per le difficoltà del terreno.

I 396 forti ritrovati, avvistati direttamente dallo spazio, confermano ed estendono un’indagine aerea della regione effettuata nel 1934, la quale aveva osservato 116 forti sulla frontiera orientale dell’Impero Romano, ma senza quella precisione che hanno poi offerto i satelliti. Potrebbe essere questa, un’ulteriore prova a sostegno dell’idea di alcuni archeologi, circa l’ipotesi che vuole che Roma stesse fortificando la sua frontiera verso oriente. Jesse Casana, professore di antropologia del Medio Oriente al Dartmouth College del New Hampshire, nel suo studio, pubblicato su “Antiquity”, lascia aperta anche un’altra ipotesi: «Questi forti sono simili nella forma a quelli romani presenti in altre parti dell’Europa e del Nord Africa. Ci sono molti più forti nel nostro studio che altrove, ma ciò potrebbe essere dovuto al fatto che sono meglio conservati e più facili da riconoscere. Tuttavia, potrebbe anche essere il risultato di una costruzione intensiva di forti, come vogliono alcune precedenti ipotesi, soprattutto durante il II e il III secolo dopo Cristo».

Va ricordato che riguardo alla ricerca del 1934 basata su voli aerei effettuati negli anni ‘20, fu proprio il pioniere dell’archeologia francese, Antoine Poidebard, a suggerire che le fortificazioni fossero una linea difensiva contro i persiani (più propriamente, i Parti e i Sasanidi, che erano altre superpotenze dell’epoca). Ma un limite del suo lavoro fu nel fatto che egli volò con il suo aereo principalmente dove credeva che si sarebbero trovati dei forti. Il nuovo studio sulle immagini satellitari di Casana e colleghi ricercatori invece, ha coperto un’area molto più ampia rispetto a quella rilevata da Poidebard. Casana, in tal modo, ha mostrato che i 396 forti non hanno uno schema difensivo distinguibile contro i popoli orientali, ma sono invece, sparsi un po’ ovunque.

I nuovi risultati potrebbero confermare l’ipotesi di altri studiosi che già sostenevano che i 116 forti di Poidebard fossero troppo distanti uno dall’altro per formare una linea di difesa. Gli accampamenti nell’odierna Siria e Iraq invece, erano forse utilizzati per proteggere le carovane che trasportavano beni di valore da e verso le province di Roma, consentendo al contempo comunicazioni e scambi interculturali.

Le immagini dello studio provengono da due programmi satellitari originariamente utilizzati per la sorveglianza durante la Guerra fredda tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica e i loro rispettivi alleati. Uno degli obiettivi della Guerra fredda era la rapida ricognizione militare tramite satelliti in grado di riportare tempestivamente immagini fotografiche sulla Terra. Il programma Corona della Central intelligence agency, con l’assistenza dell’aeronautica americana, ha fatto riprese aree di nazioni come la Cina e l’Unione Sovietica tra il 1959 e il 1972. Un programma successivo chiamato Hexagon (chiamato anche Big bird, KH-9 o KeyHole-9) continuò il rilevamento delle zone militari sovietiche tra il 1971 e il 1986. «Poiché queste immagini preservano una prospettiva ad alta risoluzione su un paesaggio che è stato gravemente influenzato dai moderni cambiamenti nell’uso del territorio, tra cui l’espansione urbana, l’intensificazione agricola e la costruzione di bacini artificiali, costituiscono una risorsa unica per la ricerca archeologica», ha affermato Casana. La declassificazione delle immagini ha offerto agli archeologi un terreno ricchissimo di raccolta e analisi di dati, perché le immagini sono facili da reperire.

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