venerdì 27 settembre 2019
Nelle sale il film di Gianni Aureli, sui giovani che si opposero al fascismo e continuarono a vivere in clandestinità per portare avanti i propri valori e difendere la vita di migliaia di persone
Un'immagine tratta dal film “Aquile Randagie” con la regia di Gianni Aureli (Matteo Bergamini/Scout)

Un'immagine tratta dal film “Aquile Randagie” con la regia di Gianni Aureli (Matteo Bergamini/Scout)

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Il coraggio crea un mondo migliore. É il caso di Aquile randagie, il film di Gianni Aureli, sul gruppo di giovani scout che si opposero al fascismo e continuarono a vivere la clandestinità per portare avanti i propri valori e difendere la vita di migliaia di persone. Diviso tra due assi temporali, il 1928 e la fine della Seconda guerra mondiale, Aquile Randagie (in sala dal 30 settembre al 2 ottobre con 200 copie grazie a Istituto Luce Cinecittà) ha la particolarità di avere ricevuto attenzione e sostegno anche del web, attraverso il meccanismo del crowdfunding (Produzioni dal Basso e CentoProduttori) fino a raggiungere circa 500 investitori privati, con il contributo di Mibac e della Lombardia Film Commission, della banca BPER e delle associazioni cattoliche Agesci e Masci. Se il 1948 è raccontato attraverso la traversata di un SS tedesco (ispirato a Eugen Dollmann, capo dei servizi segreti nazisti in Italia) insieme a don Giovanni Barbareschi in direzione della Svizzera, il cuore del film sono le storie degli scout che, pur rinunciando a mostrare visibilmente l’appartenenza al movimento, continuano a esercitare le attività formative e a resistere. La dittatura di Mussolini, infatti, ha eliminato ogni libertà di azione al di fuori delle attività fasciste: la scuola, la stampa, la magi-stratura, le associazioni professionali e anche giovanili, tra cui quelle degli scout.

E mentre le leggi razziali imprigionano ebrei, 150 giovani, incoraggiati anche dal colloquio tra un sacerdote scout e l’allora don Giovanni Battista Montini (futuro Paolo VI) agiscono tra Monza e Milano e creano, in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, l’Oscar, l’opera scoutistica cattolica aiuto ricercati. Continua così la produzione di documenti falsi per aiutare gli ebrei a fuggire dall’Italia, evitando una morte certa. Saranno in tutto 2200 le persone salvate. Aquile Randagie è un film d’esordio che conserva, anche grazie all’abile uso dei droni, intatta la bellezza delle valli e dei monti della Val Codera, di quel verde che si staglia sulle montagne e dà peso al valore della speranza. Un valore portato infatti da tutti i personaggi (tanti gli attori coinvolti selezionati dopo 1200 provini) soprattutto dal personaggio di don Giovanni Barbareschi, interpretato da Alessandro Intini. Centrato sul tema dello scoutismo e della Resistenza, il film è un interessante, anche se in alcuni tratti un po’ acerbo, esempio delle conseguenze di un’esistenza vissuta per amore degli altri. Il fil rouge è la forza, concreta e mai vacillante, di un’azione e di un pensiero che non abdica all’odio: «Ag- giungerei anche - racconta Massimo Bertocci, uno degli sceneggiatori - che nel film parliamo anche del perdono. Nello scrivere Aquile randagie abbiamo incontrato la difficoltà di non cadere nei luoghi comuni del bene. Ci siamo chiesti come raccontare la resistenza, il sapere dire di no alla situazione politica e sociale in Italia.

Abbiamo voluto intrecciare alle vicende di Aquile randagie, la storia, tra l’altro vera, del gerarca tedesco Eugen Dollmann: questo personaggio, che si era macchiato di crimini e aveva fatto sopprimere tante persone, non sa fino alla fine se il suo sarebbe stato un destino di morte voluto dai suoi “nemici”. Eppure in vetta, nella cima più alta, il gerarca tedesco scopre che l’amore può liberarlo». Il punto di vista dell’uomo, fatto di corpo e anima, che cerca di essere ogni giorno più umano è una parte essenziale del film. «I valori degli scout sono legati al comandamento dell’amare il prossimo e dell’aiutarlo in ogni circostanza» spiega il regista Gianni Aureli. «Questi ragazzi avevano fatto una promessa, di servire la Patria e di aiutare il prossimo, e quindi, fedeli alla promessa e ribelli al regime, sfidarono il fascismo per anni, portando avanti gli ideali di solidarietà e di speranza, propri dell’associazione scout. Dal mio punto di vista credo che noi, in quanto uomini, non siamo chiamati a odiare anche se ne siamo molto capaci. Il messaggio del film, che parte dalla veridicità degli episodi, è che noi diventiamo più uomini attraverso l’amore». Aquile Randagie, rivolto a un pubblico giovane, presentato con successo allo scorso Giffoni Film Festival, ha anche un intento morale da non sottovalutare, quello di far emergere la capacità del valore associativo e della forza del gruppo: «La storia è una storia bella - spiega il regista - e mi chiedevo come mai nessuno ne avesse realizzato ancora un film.

L’anno scorso era uscito un documentario su Aquile Randagie. Con questo lungometraggio di finzione vogliamo uscire dal recinto associativo e raccontare valori universali ». «Valori che non appartengono - sottolinea l’attore Alessandro Antini - solo a eroi. I ragazzi che formarono Aquile Randagie hanno rischiato la propria vita, ma erano persone comuni, ordinarie». Di questo gruppo non è rimasto in vita nessuno: «Un anno fa don Giovanni Barbareschi (che ricevette anche la medaglia d’argento della Resistenza) ci ha lasciato esattamente il 4 ottobre. Per questo motivo, in omaggio a don Giovanni, Aquile Randagie uscirà in sala a un anno di distanza».

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