martedì 13 aprile 2010
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Confidente di Papi, in primis Pio XII, presidenti della Repubblica, amico di attori da Corrado Pani ad Anna Magnani, intellettuali, giornalisti tra questi Curzio Malaparte, gli editori Edilio Rusconi e Renato Angiolillo, sempre al fianco del suo confratello forse più noto, nelle difficili battaglie del Novecento, «crociate della bontà» delle elezioni politiche del 1948, il gesuita Riccardo Lombardi, il «microfono di Dio».Il 13 aprile di vent’anni fa moriva 78enne a Castelgandolfo, a causa di un ictus cerebrale nella casa e movimento Oasi da lui fondato trent’anni prima, nel 1950, il gesuita Virginio Rotondi. Una figura di religioso e sacerdote di razza che si impose sulla scena del grande pubblico del Dopoguerra anche attraverso i rotocalchi (collaborò, non a caso, a molti di essi da Gente, Oggi, Grazia, L’Europeo) e rubriche televisive e radiofoniche (con lui nasce la trasmissione Rai Ascolta si fa sera) per le sue battaglie: dai suoi comizi a favore della Dc, nelle piazza rosse, come nella Stalingrado d’Italia, a Sesto San Giovanni, ad essere stato definito «Il Di Vittorio del Vaticano» perché riuscì, quasi con lo stesso carisma del leggendario sindacalista pugliese della Cgil ad alzare, per la prima volta, il salario dei dipendenti della Santa Sede alle sue crociate, a volte solitarie, in difesa della vita, contro l’eutanasia, la pillola e il divorzio nell’ultima parabola del suo Novecento.Un trascinatore di folle, nonostante la bassa statura, anche per il suo carisma da gesuita di popolo (sarà, tra l’altro, da giovane, assistente spirituale dei tranvieri dell’Atac di Roma e inseparabile nel suo apostolato sarà la fisarmonica). Famosa nei suoi comizi nelle piazze rosse la frase: «Mio padre è un proletario come voi».E proprio per questo suo carisma di essere un sacerdote vicino alla gente, definito amabilmente dai media «il gesuita dei casi difficili» e la sua buona preparazione teologica verrà scelto da Papa Pacelli come collaboratore per tante delicate missioni ma anche come estensore, in chiave più divulgativa, del complesso magistero di Pio XII. Un legame quello con Eugenio Pacelli che non si spezzerà mai fino alla morte.Sarà infatti padre Virginio Rotondi ad avvicinare il Pastor Angelicus alla gente: grazie alla sua mediazione avverrà nelle mura vaticane il primo reportage fotografico a colori su Epoca dedicato alla giornata di un Papa, in cui si vedrà Pacelli nella sua quotidianità, accompagnato dagli inseparabili canarini Domplaff e Gretchen. Un rapporto quasi naturale con i media che spingerà Rotondi a sostenere Sergio Zavoli nella sua avventura, nonostante le perplessità della gerarchia cattolica: la realizzazione della nota trasmissione televisiva Clausura, dove per la prima volta, un giornalista varcava le soglie di un monastero e intervistava la sottopriora, suor Maria Teresa dell’Eucarestia.Toccherà sempre a Rotondi, con lo pseudonimo di padre Pasquali, di essere il messaggero e custode segreto di tanti messaggi paralleli a quelli della diplomazia ufficiale, tra i due colli della Capitale , il Vaticano e il Quirinale, tra Eugenio Pacelli e Giovanni Gronchi. Un ruolo di grande peso, quello giocato proprio da padre Rotondi in quel frangente a pochi anni di distanza dai primi governi di Centro-sinistra in Italia. Sempre a lui, al gesuita di fiducia di Pacelli ricorrerà il presidente dell’Eni Enrico Mattei per estendere le sue conquiste petrolifere in Persia, tentando attraverso un’intricata questione di diritto canonico, di far unire in matrimonio, poi naufragato anche per la morte di Pacelli, la cattolica Maria Gabriella di Savoia con lo scià di Persia Reza Palevi.Ma è il 1957 l’anno che porterà sul crinale mediatico il gesuita Virginio Rotondi: Curzio Malaparte, lo scrittore de La Pelle e Kaputt in punto di morte, alla clinica Sanatrix si converte al cattolicesimo. Sarà il gesuita originario di Vicovaro ad amministrargli in poche ore i sacramenti del battesimo, cresima e comunione. E famosa la frase pronunciata dal Maledetto toscano al suo oramai amico e confidente: «Faccia presto, mi dia Gesù».A fare scalpore saranno i dibattiti e la vis polemica di questo gesuita di frontiera negli anni Settanta: memorabile sarà il dibattito con Pier Paolo Pasolini sulla fine del cristianesimo in Italia e sulla stroncatura sulle colonne de Il Tempo del film del «Vangelo secondo Matteo» del grande scrittore friulano. In ogni sua battaglia Rotondi cercherà il dialogo ma anche di mettere in risalto la verità del magistero cattolico. Un nome del tutto particolare da associare alla biografia di Rotondi è quello di Luigi Calabresi: il giovane commissario di Polizia sarà uno dei più fedeli discepoli e figli spirituali del movimento fondato da Rotondi, l’Oasi, oramai diffusosi in tutto il mondo. Laconica e in un certo senso drammatica sarà l’impressione di Rotondi sulla tragica morte nel 1972 del suo discepolo prediletto: «Ha privato il movimento di una testimonianza che da subito colpiva profondamente i giovani; ha privato la Chiesa di un figlio silenziosamente eroico».Un capitolo a parte del Novecento di Virginio Rotondi è sicuramente il rapporto del tutto eccezionale che si  instaurerà con Giuseppe Saragat, storico leader del Psdi, presidente della Repubblica e da ultimo senatore a vita. Un’amicizia che porterà a un lungo dialogo sulla fede, sulle cose ultime, fino alla richiesta di funerali religiosi da parte di Saragat, quasi per esaudire un antico e intimo desiderio della scomparsa moglie Giuseppina. Un tema nodale come la difesa della vita, i diritti del nascituro, il no netto all’aborto, porterà, in quegli anni, seppur con connotati diversi, a stare dalla stessa parte Rotondi e lo statista socialdemocratico. Ancora oggi a testimoniare questa intensa amicizia e dialogo spirituale sono le note dei diari di Rotondi, raccolte, durante le tante visite alla villa di Saragat a Roma, alla Camilluccia: «Grazie a lei per avermi fatto incontrare la sua fede che oggi, è anche la mia». E ancora: «Quando verrà la mia ora, dò a lei l’incarico di pensare a tutto ciò che riguarda tutti, della mia fede cristiana, cattolica». Un desiderio che verrà totalmente esaudito nel giugno del 1988, con la morte del politico socialdemocratico.Rotondi, il gesuita di Pio XII – è giusto ricordarlo a vent’anni dalla sua morte – godrà sempre della stima soprattutto per la sua predicazione radiofonica di Paolo VI (suo il primo commento via radio della Humanae vitae in Italia) ma anche di Giovanni Paolo II, a cui affiderà il gravoso compito di fare una supplementare inchiesta sulla intricata vicenda dello Ior di Paul Marcinkus. Il gesuita dei casi difficili, il crociato della Guerra Fredda morirà a Villa Sorriso a Castelgandolfo, il 13 aprile del 1990, all’alba del Venerdì Santo di quell’anno, assistito dai suoi più stretti collaboratori, tra questi la fidata segretaria Virginia Minelli, dei due istituti da lui fondati e riconosciuti dalla Chiesa, il movimento Oasi e l’istituto secolare Ancilla Domini. A vent’anni dalla sua morte rimangono vive forse ancora oggi le parole che amava ripetere a chi andava a trovarlo nella sua immobilità: «Quando il Signore mi ha detto: parla alle folle, sono corso da un capo all’altro dell’Italia e del mondo per obbedire ai suoi comandi. Poi un giorno mi ha detto: basta fermati! E io gli ho obbedito».
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