domenica 30 agosto 2009
Giovedì a Ravenna la grande attrice apre il festival «Dante09» con una lettura di autori antichi, da Virgilio a Ildegarda di Bingen e Jacopone da Todi, accompagna da un'orchestra e da un coro. E intanto rivela un vecchio sogno: musicare e cantare alcune parti della Divina Commedia ...
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Dice: «Può richiamarmi tra 15 secondi? Sto spostando dei mobili». E già la nostra pur fervida immaginazione è presa in contropiede. Perché uno può immaginarsi la graziosa ed elegante figura di Anna Galiena impegnata in molti generi di cose, ma nel facchinaggio no. E in quindici secondi? Sta chiudendo casa, mi spiegherà poco dopo. Finite le ferie. E prima di tornar a lavorare su palchi e set tra Italia e Europa ha accettato l’invito a venire a Ravenna, a «Dante09». Chiedo se anche lei si sente un «tipo dantesco». Il festival di Ravenna lo chiamo così: per tipi danteschi. E lei: «Se per dantesco s’intende una che ragazzina se ne va di casa con un materassino arrotolato sottobraccio, una padella e due libri di poeti antichi, beh, allora può essere…». Passione per i classici? incalzo. «Erano Alceo, Saffo, Alcmane. Andavo pazza per loro». E qui, di sorpresa in sorpresa, dopo la Galiena che sposta mobili alle 4 del pomeriggio di una torrida estate, ecco l’amante della metrica disciplinata degli antichi: «Senza metrica non c’è poesia. Quei poeti greci li leggevo, provavo a tradurli, e per ricordarli non c’è altro modo se non imparare la metrica. Mi dicono che non la insegnano più, è un peccato. Come fai a fermare nella memoria certi versi senza sapere la metrica? Una volta – continua – portammo a teatro una Bisbetica domata e io mi ritradussi in versi dall’originale la mia parte, che invece era stata tradotta senza ritmo. Offrivo questa mia prestazione di versificatrice anche ai colleghi». È vero, dico immettendomi nel suo bel fiume in piena. Anche Eliot ammoniva che non c’è mai un verso «libero», nel senso che la forza musicale ed evocativa del verso nasce dal legame, dalla misura. «Io sono shakespeariana – dice Anna, con la forza che le viene da una densissima carriera che esordì proprio con un testo del grande inglese –, però Dante l’ho amato. Volli musicare e cantare parti della Commedia, come quella struggente di Paolo e Francesca… Magari a Ravenna la canto». Racconto che Eliot, grande poeta e uomo di teatro, affermava che Dante è forte nelle caratterizzazioni dei personaggi, e Shakespeare nella vitalità delle relazioni, o qualcosa del genere. E quindi da shakespeariana come se la caverà con la lettura di Virgilio, di Jacopone, di Ildegarda, che farà a Ravenna? «Vedremo», dice, come una che sa che sfida l’attende, ma non teme. Ha mai scritto poesie? chiedo un poco bruscamente. «Come no… Un tempo ero tutta scrittura. Poi ho comunicato a vagare altrove, girando tra le psicologie, le anime dei personaggi, e chissà dove sono finita… Ora nemmeno scrivere una mail mi aiuta». Ma non teme il confronto con la nuda parola su un palco? Ci sono suoi colleghi – dico – che si spaventano, non l’hanno mai fatto, non amano farlo, non sanno da che parte farsi… Sa, noi che chiamano poeti siamo più incoscienti, non abbiam nulla da difendere. Si va su, e come si può si legge. Alcuni sono bravi, altri pessimi. La poesia se è bella arriva sempre… Ma un’attrice, e un’attrice di così gran nome… Sa, questo festival è un po’ rischioso. «Una volta che dovevo legger Petrarca ero talmente inquieta che chiedevo me lo sostituissero con chiunque, Leopardi, persino Ariosto, Alfieri… Ma Petrarca no… La mia generazione di attori viene dalle esperienze come il Living theatre , quindi la poesia, il testo, erano cose lontane da noi. Ma anche nella poesia c’è un personaggio da incarnare, un uomo a cui dar voce… Amo tantissimo fare letture». Recito il titolo, se così si può dire dell’edizione di quest’anno di «Dante09»: i corpi in paradiso, il paradiso nei corpi. Anna aprirà le tre serate di quest’anno. Con lei sul palco la brava Simona Nobili, attrice di rara forza, reduce dalla esperienza di Vincere di Bellocchio e già ospite a Ravenna proprio con la lettura di un testo di Jacopone da Todi. Mentre guardo sul pc alcune foto di Anna Galiena – tratte dai suoi film più famosi – chiedo: lei che è un attrice per cui il corpo conta qualcosa, per la sua bellezza e dignità, cosa pensa di questo titolo? «È bellissimo, io credo che ci sia unità tra corpo e spirito. La separazione è all’origine di un finto amore per il corpo che invece è una specie di ossessione, un odio. Sì, un narcisismo che nasconde la mancanza di amore e accettazione per quel che si è. Non posso conoscere una persona se non tenendo conto di tale unità». Nel titolo si parla di Paradiso. Se lo immagina? «No, quel che mi è dato è qui. Non so cosa e se ci sarà qualcosa dopo. Ma la mia responsabilità si esercita qui». Non so a che dio creda Anna Galiena. O a quale idolo. Ma ha una forza di convinzione che non lascia retrogusti di vaghezza amara. A Ravenna c’è la tomba di un grande poeta in esilio, dico. Il festival si fa lì per questo. Ma l’arte secondo lei vive in esilio anche oggi? Ci pensa un poco: «L’arte non è mai in esilio, perché è ricerca. Piuttosto è l’essere umano forse un po’ in esilio oggi. Siamo noi. L’arte nel suo essere ricerca vive ovunque. L’essere umano, noi, oggi mi pare a volte che non sappiamo più dove siamo…». Intanto, dico, noi ci vediamo a Ravenna, vicino alla tomba dell’Esiliato, del poeta del viaggio. Lui sapeva, lui ha visto con i suoi occhi di aquila e di bambino il senso del nostro viaggio».
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