mercoledì 28 settembre 2016
​Parla Richard C. Francis, che oggi interviene a Torino Spiritualità: "Così si diventa domestici".
Benvenuti gli Animali se saranno mansueti
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Tenete d’occhio la stella bianca sulla fronte. Contraddistingue cani e gatti, mucche e cavalli, ma può apparire anche sulle volpi, a patto che si tratti di esemplari sottoposti a domesticazione, come quelli appositamente selezionati negli anni Sessanta dallo scienziato russo Dmitrij Belaev per una serie di esperimenti considerati ancora oggi fondamentali. Non a caso, è proprio dalle ricerche di Belaev che prende le mosse Addomesticati di Richard C. Francis (Bollati Boringhieri, traduzione di Francesca Pe’, pagine 496, euro 25,00), saggio tanto ricco di informazioni quanto affascinante per la prospettiva da cui osserva il fenomeno. «Sì – ammette l’autore – , quando ci occupiamo di domesticazione ci rendiamo conto che l’evoluzione non è soltanto un fenomeno biologico, ma anche un processo culturale ». Collaboratore delle università californiane di Berkeley e Stanford, Francis interviene oggi alle 18 presso la chiesa di San Filippo Neri nell’incontro inaugurale di Torino Spiritualità a fianco di Shaul Ellis, il ricercatore inglese noto per aver vissuto per un anno e mezzo con un branco di lupi. «Il corredo genetico del lupo è pressoché identico a quello del cane – sottolinea Francis –. La vera differenza è di carattere psicologico, come sempre accade nella domesticazione».

In che senso? «Provi a immaginare quello che è accaduto nella notte dei tempi. Diversi lupi si avvicinano a un insediamento umano. Molti di loro hanno un atteggiamento aggressivo o comunque di diffidenza. Altri rinunciano ad attaccare, si dimostrano più fiduciosi, finiscono per nutrirsi degli scarti prodotti dal villaggio. Sono più mansueti, insomma. Per questo si lasciano addomesticare».

Dunque la mansuetudine è la chiave di tutto? «Esatto. Nelle diverse famiglie animali sono sempre i soggetti più mansueti a rendere possibile il processo di domesticazione. La loro prima caratteristica consiste nel tollerare la presenza dell’uomo. Non temendo di essere aggrediti, si lasciano avvicinare più facilmente. In questo modo il cane ha imparato a guardare il suo padrone dritto negli occhi, fino a intuirne le intenzioni. È un’abilità esclusiva, che nessun lupo possiede. Ma non è tutto, perché c’è un altro elemento da tenere in considerazione ».

Quale? «La propensione a collaborare con altri soggetti della stessa specie. Sono questi aspetti psicologici a determinare i cambiamenti fisici, che rispondono al principio conservativo proprio dell’evoluzione ».

Mi scusi, ma l’evoluzione non dovrebbe essere l’esatto contrario della conservazione? «Stiamo parlando di processi estremamente complessi, che prevedono una correlazione strettissima tra il piano psicologico e quello fisico. Nel caso specifico della domesticazione, a prevalere sono sempre alcuni elementi che possono essere ricondotti alla cosiddetta pedomorfosi, vale a dire la conservazione nel soggetto adulto di tratti tipici del cucciolo. Il muso più corto, per esempio, ma anche la taglia ridotta, il pelame più chiaro nei mammi-feri, la famosa stella bianca che fece la sua comparsa sulla fronte delle volpi di Belaev».

Mansuetudine e cooperazione non contraddicono l’idea che a evolversi sia sempre il più forte? «Sappiamo da tempo che non è così o, meglio, che non è necessariamente così. La dimostrazione migliore viene proprio dagli esseri umani, la cui evoluzione si basa in massima parte sull’attitudine a collaborare gli uni con gli altri. Un’umanità composta unicamente da geni solitari, diciamo da tanti esemplari di Albert Einstein, non sarebbe mai riuscita a sviluppare qualcosa di paragonabile alla civiltà come la conosciamo oggi. Partivamo molto svantaggiati rispetto agli altri animali. Quello che ci ha permesso di progredire, permettendoci di differenziarci in modo radicale anche dalle specie che più ci somigliano, è stata la volontà e la capacità di perseguire obiettivi comuni. Il nostro successo viene da qui. Non c’è scimmia, per quanto intelligente, in grado di ottenere questo risultato».

E la mansuetudine invece da dove viene? «È un particolare tipo risposta allo stress o, se preferisce, alla paura. Ancora una volta, la sfera psicologica interviene su quella biologica propriamente intesa. E ancora una volta entra in gioco la pedomorfosi. Vede, c’è una finestra temporale ben precisa all’interno della quale i cuccioli di ciascuna specie elaborano la loro risposta allo stress. Nel caso dei lupi è un intervallo molto breve, di appena un paio di settimane, trascorse le quali la mansuetudine non trova più spazio. Nel caso dei cani il periodo è più prolungato, ma non illimitato. Dopo un certo lasso di tempo, infatti, un cucciolo di cane che non sia mai venuto a contatto con l’uomo finisce per dimostrarsi a sua volta aggressivo».

Qual è il significato spirituale della domesticazione?  «La condivisione della stessa esperienza da parte di animali ed esseri umani. Ma questo è possibile perché già in origine esseri umani e animali condividono le emozioni di base. Ed è a partire da queste emozioni che si instaura la relazione, come aveva capito molto bene Francesco d’Assisi. Il lupo non sembra avere molto in comune con l’uomo, è vero. Eppure perfino un lupo può arrivare ad ascoltare la voce di un santo».

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