mercoledì 13 gennaio 2016
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Pensi ad Einstein e te lo vedi con gessetto in mano e capelli al vento mentre scrive sulla lavagna E=mc². Anche chi di fisica non sa un’acca ha in mente questa immagine, la formula più famosa della storia umana: era il 1905 e si scorpiva che massa ed energia sono strettamente legate tra loro da un valore numerico preciso...Oggi la sorpresa è che anche la risata, e ciò che la suscita, rispondono sempre a una formula matematica vera e propria, un “modello universale” che regola tutta la galassia della comicità e dell’umorismo. Senza eccezioni. Non sfugge nessuno: da Totò a Woody Allen, da Charlot a Checco Zalone, dalla freddura alla vignetta muta, da Plauto a Crozza, dalla papera alla gaffe. Tutti, se fanno ridere, rispettano la formula E=f{Lse [n(Vi–Vf)+(D.T)]}. È quanto dimostra Pier Luigi Amietta nel suo libro Che c’è da ridere? (Franco Angeli, pp. 452, euro 42), saggio corposo ma di lettura agevole, complici i tanti esempi riportati per dimostrare la costante validità dell’algoritmo e le interviste ad alcuni noti comico-umoristi. Una cosa è certa: letto il volume, non riuscirete più a vedervi una gag, uno sketch o una commedia senza cercarvi (e trovarvi) tutti i pezzi della formula. Formula che Amietta – raffinato studioso di vita mentale, comunicazione, linguaggi e gestualità, già collaboratore di Silvio Ceccato presso il Centro di Cibernetica di Milano – riporta bella grande in copertina, facilitando il lettore nei frequenti confronti. Perché una battuta fa ridere? Qual è il meccanismo che mette in moto? Perché la stessa barzelletta raccontata da una persona suscita ilarità e dall’altra lascia indifferenti? La risata o meno dipende allora dal comico-umorista o da chi ascolta? C’è differenza tra comicità e umorismo? (eccome se c’è: nessuno definirebbe mai umoristi Stanlio e Ollio, e meno che mai Woody Allen un comico). Tutti interrogativi cui il saggio di Amietta dà risposte convincenti, attingendo anche agli studiosi che nei secoli hanno affrontato il tema, a partire da Aristotele per approdare a Freud o Pirandello, Nietzsche o Baudelaire.Tre dunque sono gli ingredienti principali che producono l’effetto (la E nella formula), i detonatori della risata. Il primo è la differenza tra un valore iniziale e il valore finale (Vi–Vf), che viene abbattuto, deformato, stravolto: in pratica ciò che diverte è sempre una “caduta”, la discesa in picchiata tra una situazione e la sua “svalorizzazione” o “degradazione”: ridiamo dello svagato che finisce nel tombino aperto ancor più se camminava con sussiego; e ha un effetto esilarante Sandra Mondaini vestita da scolara con fioccone e grembiulino proprio in quanto donna adulta. E tanto più era alto il valore di partenza, tanto maggiore alla fine sarà l’altezza di caduta, quindi l’effetto ridicolo: per questo i temi presi di mira in genere sono nobili, per esempio il sacro o il rapporto coniugale o la salute. Così Woody Allen scherza con le Sacre Scritture: «Il lupo e l’agnello giaceranno insieme. Ma l’ agnello dormirà ben poco». Mentre salute e vincolo matrimoniale coesistono nella freddura: «Mia moglie è anoressica, anche il medico è preoccupato», «E tu falla mangiare!», consiglia l’amico, «Sì, ma da chi?» (rapida caduta dei due valori contemporaneamente»).E qui entra in gioco il secondo ingrediente (la D nella formula), ovvero la distanza tra ciò che ci aspettavamo e il tutt’altro che arriva e ci lascia di stucco, producendo un brusco spiazzamento cognitivo: è l’effetto sorpresa, il thaumazein di Aristotele, tanto più efficace quanto maggiore è la distanza tra attesa ed esito (Franca Valeri vede che è sera ma il marito non rientra, prende in mano la cornetta e fa un numero... «Obitorio? C’è niente per me oggi?»).
Ma il tutto funziona solo se il comico-umorista sa tenere il ritmo, i famosi “tempi comici”. L’effetto risata si ha se i primi due ingredienti – svalorizzazione e colpo di scena – avvengono al momento giusto, né prima né dopo. «Una tempestività che i grandi comici conoscono molto bene e istintivamente», spiega Pier Luigi Amietta, «senza dover calcolare nulla, altrimenti depotenzierebbero la loro verve, con un conseguente disastroso calo della tensione». È la tempestività a far sì che una stessa barzelletta abbia successo o meno: ad esempio, il flop è assicurato quando chi la racconta ride prima degli altri oppure si ferma a spiegarla...Accanto ai tre elementi, però, spesso entra in gioco un quarto fattore (Lse>, il Linguaggio semiotico enunciazionale), ossia la mimica (Totò che marcia come un burattino vestito da Pinocchio), i movimenti corporei (Fracchia impacciato, i tic di Verdone), le inflessioni vocali (Macario in piemontese, i Legnanesi in lombardo), insomma il corredo del non-verbale, tutto ciò che non è parola scritta. «I vari elementi della formula sono presenti in diverse proporzioni da comico a comico, ma ci sono sempre», assicura Amietta, in pratica ognuno privilegia quello a lui congeniale. «Walter Chiari preferisce il crollo dal valore iniziale a quello finale», infatti le sue gag sono lunghe per poter innalzare gradatamente la tensione attenzionale e così “cadere” più dall’alto, «proprio come in una centrale idroelettrica l’energia aumenta con l’altezza dell’acqua». Gino Bramieri invece ha sempre privilegiato D e T: «È Pasqua e un uomo entra al bar con un uovo sotto braccio. Un Marsala, ordina. Il cameriere: all’uovo? No, a me» (la caduta valoriale è modestissima, ma tutto è giocato su effetto sorpresa e rapidità). Ci sono poi i maghi della parola, come il profondo “pensattore” Alessandro Bergonzoni, che – intervistato nel libro – tra comico e umorista sceglie di essere «un danzatore del mentre» (effetto D, distanza tra ciò che ti aspettavi e ciò che arriva, l’attesa disattesa che spiazza). Il modello, insomma, è universale, ma le varianti sono moltissime. In agguato può persino esserci quella pietas o compassione per cui si smette di ridere e spunta una lacrima, avverte lo psichiatra Vittorino Andreoli, citando la struggente Preghiera del Clown rivolta a Dio in un film di Totò, Il più comico spettacolo del mondo: «Tu che permetti ai nani e ai gigamti di essere ugualmente felici, Tu che sei la vera, l’unica rete dei nostri pericolosi esercizi... dacci ancora la forza di far ridere gli uomini e lascia pure che essi ci credano felici...».
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