martedì 22 febbraio 2011
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Le religioni non determinano ulteriormente il ruolo dello Stato, esse non possono fare altro che riconoscerlo o prenderne atto. Lo Stato non può sostituirsi alle religioni e imporre alle coscienze una propria definizione dell’Assoluto: i cittadini devono poter scegliere secondo coscienza e in libertà. Su questo punto il diritto positivo deve garantire un diritto fondamentale della persona umana. La questione del fondamento dei Diritti dell’uomo può portare lo Stato e le religioni a lavorare, ciascuno per la sua parte, alla verità, che è liberatrice. Senza un fondamento adeguato, l’universalismo dei Diritti dell’uomo – ai quali aderisco totalmente – rischia di essere regionalizzato. Per esempio, quale Dichiarazione dei Diritti dell’uomo riconoscono gli Stati islamici? La Dichiarazione apre alla speranza di un ordine giuridico universale. È uno dei grandi dibattiti attuali e non va condotto con l’atteggiamento della conquista o della colonizzazione ma secondo ragione. Bisogna lavorare perché le differenti culture possano evolvere in modo che questa nozione non appaia come un prodotto esclusivamente occidentale ma manifesti il suo radicamento in tutte le culture dell’umanità. L’umanità va pensata come «una». La laicità è un valore storico e culturale di prima grandezza. Non può essere ridotta a una determinazione giuridica. Non è iscritta, immobile, in un ideale empireo, è collocata nella storia, poggia su testi fondativi, è garantita da prassi giurisprudenziali, si traduce in azioni politiche. Essa rappresenta un saper vivere codificato che evolve con il succedersi delle generazioni. È alla laicità in quanto strutturante l’odierna cultura francese che si pongono nuove domande: si tratta dunque di concepirla con spirito libero, dando per certa la fine dei sospetti, per chiariti gli scopi di ciascuno, per superate con lealtà, ragionevolezza e cortesia le dispute. Quali sono le nuove domande che nella nostra società francese si rivolgono alla laicità? La società è stata scossa da grandi mutamenti, dopo la prima guerra mondiale. Le trasformazioni intervenute hanno messo sottosopra gli equilibri interni alla vita sociale. Fin dall’inizio la Repubblica ha assegnato uno spazio alle minoranze religiose: ha accolto il protestantesimo, ha riconosciuto i cittadini ebrei durante la Rivoluzione francese. Ma il ruolo del cattolicesimo resta specifico in quanto di fatto costituiva una maggioranza. Era come se la religione cattolica svolgesse un ruolo di «pubblico servizio», benché contasse solo sulle proprie risorse. Ma questa costruzione è stata profondamente sconvolta per tutto il XX secolo, sia per ragioni ideologiche sia per motivi economici e sociali. Ci si è resi conto che così una delle correnti che alimentavano la memoria e la moralità pubblica veniva ostacolata, se non deviata? Oggi si parla molto di periferie desocializzate. Non dimentichiamo che, per esempio, queste non sono state pensate né per i musulmani né per gli ebrei. Quando sono state costruite, dopo la seconda guerra mondiale, si trattava di far fronte a un’impennata demografica che in 15 anni aveva comportato, in Francia, il raddoppio degli edifici urbani. La desocializzazione che viene attribuita agli immigrati e della quale essi sono in verità le prime vittime è frutto dell’urbanizzazione realizzata nel Paese durante l’onda lunga degli anni ’50. Il cattolicesimo paga il prezzo di questo sconvolgimento. In verità non ha più la possibilità pratica di garantire ciò che un tempo valeva per quasi tutta la popolazione francese: l’insegnamento religioso veniva impartito accanto alla scuola pubblica, alla Chiesa, al presbiterio; l’80% dei francesi era catechizzato! Venivano forse corrotti, o privati di principi morali? Attualmente le concrete condizioni della scolarizzazione e la scansione del tempo scolastico impediscono di esercitare ancora quel «servizio pubblico» a favore della memoria storica e spirituale. Questa tradizione resta accessibile soltanto ad alcune minoranze militanti. È materialmente impossibile garantire questa trasmissione culturale alla maggioranza. Chiedere allo Stato di assumersi questo compito costituirebbe una deriva molto pericolosa perché un’ideologia o una pseudo-religione di Stato potrebbe sostituirsi alla libertà religiosa dei cittadini e alla loro dignità personale. È più opportuno proseguire nella riflessione sulla cultura francese e sulla sua memoria. Qualche progresso si è realizzato per attenuare la sistematica eliminazione dall’insegnamento dell’aspetto religioso della cultura. Come parlare della cultura tedesca senza parlare di Lutero, o della storia della Francia senza evidenziarne le radici bibliche e cristiane? Certo ci vorrebbero degli insegnanti che guardassero con simpatia alla dimensione religiosa iscritta nella nostra civiltà. Anche se non spetta loro il compito di trasmettere una fede o di inculcare convinzioni d’ordine trascendente. I nostri contemporanei si sentono spesso aggrediti da una sorta di mancanza di rispetto. La derisione accentua una deriva popolare aggressiva che può portare a conseguenze politiche. Nella nostra società vige la regola del rispetto: bisogna vigilare perché questa regola sia rispettata.
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