sabato 16 maggio 2009
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La squadra più televisiva d’Italia si è mutata in reality. La teoria è di uno che la conosce bene, questa squadra e questa società, si chiama Carlo Ancelotti, fa l’allena­tore e si sente al centro di qualcosa che assomiglia tanto allo show che ha fatto la fortuna delle tv di famiglia. «A volte mi sembra di vivere nel Grande Fratello», ha detto. Testuale. L’ha detto perché in nomination c’è lui, stavolta, l’eliminazione dalla Ca­sa- Milanello è una possibilità e il pro­blema è che qui, rispetto alla finzio­ne catodica, non ci sono i coinquili­ni (tradotto: i giocatori, compatti -o quasi- nel sostenere l’allenatore) o i telespettatori (pardon, i tifosi) che lo possono salvare a scapito di qualcun altro. Qui il televoto lo effettua uno solo, Silvio Berlusconi. E la telefona­ta o l’sms che comunicasse diretta­mente un no, una manto tesa, una distanza da quelle presunte esterna­zioni egiziane non è arrivata. «Credo sia inutile aspettare una sua chiamata - ha sussurrato Ancelotti aggrappandosi alla diplomazia - per­ché la smentita di giovedì è stata ab­bastanza decisa. E io credo alle pa­role di Berlusconi». E non ci saran­no incontri, la domenica del faccia a faccia, a quanto pare, è rinviata a data da destinarsi, se mai ci sarà. L’a­genda di mister Carletto prevede u­na festa importante («Sarò da mio padre, è il suo compleanno») che può essere immediatamente prece­duta da un’altra, da tenere stanotte tra a Udine dove i rossoneri scendo­no in campo e Milano: da celebrare, il sospirato, fondamenta­le ritorno in Champions. Senza aspet­tare, perché, come ricorda Ancelotti «non voglia­mo arrivare alla gara con­tro la Fioren­tina con l’acqua alla gola». Anche perché quel 31 maggio è già in pro­gramma una finale: quella del Gran­de Fratello Rossonero, appunto. «È una scadenza vicina per tutti e ci ar­riveremo in fretta», ha sancito a mezza bocca il “nominato” Ance-­lotti, che qualcuno vuole sfavorito rispetto a uno che, a sua volta, la Ca­sa la conosce bene. È Marco Van Ba­sten, indicato dai soliti bene infor­mati, come la nuova voglia matta di Silvio Berlusconi, da troppo tempo desideroso di imprimere il suo mar­chio anche sulla panchina. È infatti dai tempi del ritorno da Madrid di Fabio Capello che il timoniere non è scelto diret­tamente dal comandan­te. Correva l’anno 1997, sono passati 12 anni: troppi per u­no come Berlusconi. Indizi che, sommate alle parole, pendono impietosamente sulla te­sta di Carlo Ancelotti, pressato tra l’altro anche da un “countdown” scandito da Londra: le porte del Chelsea sono ancora aperte, ma a metà maggio i tempi dell’attesa si sono forzatamente ridotti. A sentire lui, sono tutte chiacchiere: «Non c’è nessuna vicenda Chelsea­-Milan - insiste - si lavora molto di fan­tasia, credo sia grottesco pensare che io possa fare una campagna acqui­sti per una società a cui non sono le­gato ». Un dubbio, maligno come sa essere il Grande Fratello: ma nell’ul­tima frase stava parlando del Milan? A Londra sono sicuri che arriverà, ma il tecnico rossonero smentisce: «Sul mio futuro si lavora di fantasia. Oggi il mio sì al Chelsea? Oggi per me c’è l’Udinese...». Intanto Berlusconi sogna Van Basten a Milanello
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