venerdì 19 maggio 2023
La scrittrice ospite al Salone del Libro di Torino: «Solo unendoci la luce nascosta in ognuno di noi e il contrasto al male che ne consegue possono avverarsi»
Ana Blandiana

Ana Blandiana - © Tango

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Scrittrice e poetessa tra le più importanti della Romania contemporanea, Ana Blandiana, attiva sostenitrice dei diritti civili in Romania, nel suo ultimo libro autobiografico, Falso trattato di manipolazione (Elliot) racconta la sua esperienza di dissidente nel regime comunista, il crollo della dittatura, l’impegno per una società nuova e molto altro ancora.

Partendo dal titolo del libro, cos’è per lei la manipolazione?

La manipolazione è la somma dei mezzi usati da una società per impedire ai suoi membri di pensare con la propria testa, di essere liberi. Più questi mezzi sono numerosi ed efficaci, più quella società è vicina alla dittatura.

Il concetto di verità legato alla manipolazione, con l’avvento delle intelligenze artificiali, oggi sta cambiando, basti pensare alle immagini circolate negli ultimi mesi. Cos’è per le lei la verità?

Le posso dare una risposta modesta: la verità è la conclusione alla quale arriva il mio spirito critico. Di conseguenza, essa non può che essere soggettiva. L’oggettività è una soggettività che ignora sé stessa, il più delle volte per vigliaccheria. Tuttavia, la recente nozione di “post-verità” deride, a prescindere, qualsiasi risposta possibile alla sua domanda.

Uno dei capitoli del libro si intitola “Tre modi di dire di no”. Perché è importante dire no?

Perché il rifiuto, la forza di dire di no, è l’arma più sicura contro la manipolazione. Un’arma il cui uso continuo è stremante. Sogno ad un tempo quando non sarò più costretta né dai potenti ad essere “pro”, né dalla mia coscienza ad essere “contro”, un tempo quando potrò permettermi la suprema libertà dell’indifferenza.

Lei ha lottato molto contro la censura e ha scritto: “La letteratura romena contemporanea non è ‘un prodotto della censura’, come sosteneva qualcuno con sufficienza, ma piuttosto un risultato della resistenza alla censura”. Che cosa rappresenta per lei la libertà?

Essere liberi non è uno stato, bensì un talento e, come qualsiasi talento, va praticato, altrimenti deperisce per mancanza di allenamento. Il fatto che vengono stampati e tradotti i miei libri di prima dell’89 sta a testimoniare che nella lotta con la censura non sono stata sconfitta.

Cito sempre dal suo libro: “La solidarietà è il superlativo di libertà. Un superlativo che quanto più passa il tempo tanto più sembra irraggiungibile”. La parola libertà richiama la parola diritti. Qual è il diritto a cui tiene di più e qual è invece quello che considera desiderabile?

Per quanto possiamo essere soli, la libertà interiore di ciascuno di noi può esistere indipendentemente dalla forza della repressione. Ma è solo attraverso la solidarietà, la coagulazione, che questa luce nascosta e il contrasto al male che ne consegue si possono vedere, che possono avverarsi. In un contesto che escludeva la solidarietà (un decreto legge bandiva, nella Romania di prima dell’89, qualsiasi associazione di più di tre persone, reputandola illegale), l’unica forma di protesta che non restava segreta era la poesia: qualcosa che poteva essere fatto da un individuo da solo, il poeta, e usava come mezzo d’espressione la metafora, un paragone con un termine mancante, che il poeta non dice ma il lettore immagina, al di là della censura. Questo tipo sottile di solidarietà, che funzionava e produceva effetti sorprendenti nelle dittature comuniste – e alla quale si deve l’insolito e il forte sviluppo della poesia nei Paesi dell’Est, all’epoca – è sicuramente diverso da quella solidarietà che riempie oggigiorno le vie dell’Europa libera di gente che protesta per le ragioni più varie. Tuttavia, la solidarietà resta l’unico, poderoso mezzo di controllo della società civile sulla classe politica. E il potere e l’importanza della società civile rappresenta tutto quello che venti secoli di storia hanno aggiunto alla democrazia inventata nella Grecia Antica.

Come sta oggi la Romania, dal punto di vista sociale, politico e letterario?

Attualmente, nel contesto della guerra in Ucraina, la Romania è un paese membro della NATO e dell’Unione Europea, collocato, quindi, nella zona democratica del mondo – del “mondo libero”‚ come lo si chiamava all’epoca in cui noi non ne eravamo parte – , un Paese governato male da una classe politica mediocre e corrotta – all’interno di uno stato di diritto non ancora consolidato e in mancanza di un vero e proprio progetto Paese altro che le regole dell’UE, che la popolazione osserva un po’ a malincuore. Tuttavia, un Paese con un’economia e un ceto medio in continua crescita, non dissimile agli altri Paesi europei, però con un atteggiamento più europeo di alcuni di questi, in quanto più minacciato dallo stato di cose alle proprie porte orientali. Un paese in cui la letteratura continua a collocarsi, come sempre, ad un livello più alto rispetto a quello economico, sociale, politico.

Che ruolo rivestono la letteratura e la poesia nel nostro tempo?

Di recente ho tenuto all’Università di Sofia, dove ho ricevuto il titolo di doctor honoris causa, un discorso il cui titolo era un’interrogazione: “Può la poesia salvare il mondo?”. E la mia risposta era di sì, portando come argomenti alcuni esempi dalla storia recente in cui, come ultima sponda, la gente cercava di salvarsi attraverso la poesia. Uno degli esempi era quello delle prigioni comuniste degli anni ’40 e ’50 del Novecento, dove furono “scritti” migliaia di poemi sebbene, in mancanza di carta e penna, per ogni poesia servivano tre persone: una che lo componeva, una che lo memorizzava e un’altra che lo trasmetteva utilizzando l’alfabeto Morse. Oggigiorno assistiamo invece alla crescita esponenziale dei festival di poesia, come reazione alla stanchezza dal consumo e alla paura dello spettro di un futuro difficile da immaginare. Costruendo dei robot superiori alle loro abilità, penso che gli esseri umani cominceranno ad avvertire la necessità del ritorno al sogno, alla nostalgia, alla compassione proprie solo a loro e che hanno da sempre costituito l’essenza dell’umanità, quel mistero indefinibile in mancanza del quale cessiamo di essere vivi e che la sola poesia può conservare, nel suo ostinarsi di esprimere l’inesprimibile. Il tempo può pure essere denaro, ma l’eternità – no. E quella cosa “leggera, alata e sacra” che è la poesia secondo Platone, è capace di mettere al posto delle paure il coraggio, in quanto al posto del caos non mette le parole, bensì il silenzio tra le parole.

Oggi viviamo un tempo costantemente accelerato. Nella sua personale concezione di orologio e di tempo, di cui scrive, c’è un modo per rallentare e riscoprire significato nelle cose?

Quell’accelerare del tempo che avvertiamo, che è dimostrato scientificamente ma che, ciò nonostante, in realtà non riusciamo a comprendere, ci fa star male e ci avvilisce, in quanto sovrasta i nostri limiti fisici e sfugge al nostro controllo. La velocità ci impedisce di percepire e registrare il sovrapporsi dei sensi che si cancellano, si confondono e si fondono in modo sempre più insostenibile, dandoci la sensazione del troppo quando, in realtà, c’è sempre di meno. Qualche anno fa ho dedicato a questo tema un volume di poesie, L’orologio senza ore, tradotto anche in italiano (da Bruno Mazzoni per Elliot edizioni, 2019).

Il tema del Salone del Libro di quest’anno è “Attraverso lo specchio”. Cosa c’è attraverso il suo specchio?

Non esistono specchi perfetti, che riflettano la realtà in modo assolutamente vero. Mi ricordo che, da adolescente, avevo scoperto di essere molto più bella negli specchi di cristallo dell’atrio del teatro, che non in quello del bagno di casa mia. E mi aveva sconvolto il fatto di non sapere quale delle immagini fosse quella vera. Per millenni, gli artisti si sono sforzati di fare dell’arte uno specchio quanto più veritiero del mondo, e poi, nell’ultimo secolo, si sono vendicati trasformandola in uno specchio fluido, molle, curvo, concavo, convesso, con questo facendo vedere il mondo più mostruoso di quanto non lo fosse. Il che mi sconvolge, perché ci fa domandare quale sia la verità. E gli scrittori hanno poi finalmente scoperto che è questa domanda quella che conta veramente, e non quello specchiare in modo difforme la realtà. Quindi, ogni libro è uno specchio fallito, ma una domanda sconvolgente. Il titolo del Salone è perfetto.

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