Carlotta Gamba e Giampiero De Concilio protagonisti del film "Amusìa" di Marescotti Ruspoli
L’amusìa, dal greco “a-musia” ovvero “mancanza di armonia”, è una malattia cerebrale che impedisce a chi ne soffre di sentire la musica. Questa subisce una distorsione sonora, provocando un disturbo uditivo tanto invalidante quanto poco riconosciuto dalla società. E di questo disturbo soffre Livia, una ragazza bella e inquieta, in fuga dalla sua solitudine finché non incontrerà Lucio, un ventenne che sopravvive alla sua vita insoddisfacente solo attraverso la musica. Solo l’amore potrà salvare entrambi. E’ questa la chiave intelligente e poetica scelta dal giovane regista Marescotti Ruspoli, formatosi alla Scuola di cinema di Praga, per la sua opera prima Amusìa appena arrivata in sala, distribuita da 102 Distribution. Già vincitore del premio del pubblico al Tallinn Black Nights Film Festival, Amusia è stato recentemente presentato Bif&st di Bari in concorso. Il film è prodotto da UMI Films in collaborazione con Rai Cinema.
«Io non conoscevo l’amusìa – racconta ad Avvenire il 32enne Marescotti Ruspoli -. L’ho scoperta leggendo un libro di Oliver Sacks, neurologo e scrittore, Musicologia: c’era un capitolo che si intitolava Amusìa. Fui stupito dallo scoprire l’esistenza di questa malattia, congenita o acquisita. Mi sconvolgeva la distorsione uditiva: due pazienti di cui parla descrivevano i suoni come rumori strazianti. Ho pensato che fosse una storia degna di un racconto cinematografico». Un racconto che è affrontato con delicatezza facendoci entrare subito in empatia con i due protagonisti, giovani, infelici, ma in cui si intravede la forza per poter cambiare le proprie vite solitarie. L’infanzia di Livia è trascorsa a difendersi dai pregiudizi altrui rinchiudendosi sempre di più in se stessa, con un padre compositore di colonne sonore, affascinante quanto frustrato (un magnifico Maurizio Lombardi) in costante braccio di ferro con la moglie Domitille (una altrettanto affascinante Fanny Ardant) che invece crede al disagio della figlia. Quando la ragazza deciderà di fuggire, i suoi grandi occhi azzurri incroceranno una notte quelli scuri di Lucio, rimasto orfano a 18 anni, che per sbarcare il lunario lavora in un motel a ore, mette i dischi in una balera e gioca a biliardo con gli anziani della asfittica provincia in cui è cresciuto. I due sconosciuti si sveleranno l’un l’altro piano piano, attraverso dialoghi profondi e intriganti in un microcosmo provinciale surreale, fatto di edifici metafisici, luci al neon, grandi pianure e tramonti sugli argini splendidamente immortalati dal grande maestro della fotografia Luca Bigazzi.
«Entrambi i nostri protagonisti sono persone sole, che abbracciano la solitudine per scelta o per caso. Per questo motivo abbiamo scelto di girare il film in Emilia-Romagna, una regione che ci permette di ritrarre paesaggi drammatici, abbandonati, dimenticati – spiega il regista e sceneggiatore del film -. I principali riferimenti estetici per l'ambientazione di questo film sono stati: la luce e i paesaggi dei grafici fotografici di Luigi Ghirri; le forme dell'architettura di Aldo Rossi; i colori dell'opera di Dan Flavin». Una attenzione alla fotografia che gli arriva da radici familiari, essendo Marescotti figlio di un importante fotografo, Costantino Marescotti. «Io sono sempre stato abituato sin da piccolo alla luce, all’obiettivo. L’occhio me lo faceva notare mio padre» ci rivela il regista che però ha fatto anche un lavoro molto accurato sul suono, perché fra un disco di Nina Simone e un tango, quando entra in campo Livia (una convincente Carlotta Gamba) il pubblico entra nella sua testa sentendo solo distorsioni e stridii fastidiosi. «Col sound designer Matteo Bendineli abbiamo lavorato tanto, una delle cose più difficili è stato cercare di dare vita a un suono che non si è mai sentito sullo schermo, soggettivo e verosimile, ma che avesse un suono cinematografico per immedesimarci nella testa di una persona che non viene creduta» aggiunge.
Ruspoli si è molto documentato sulla malattia prima di girare il film, studiando soprattutto riviste scientifiche straniere e parlando con diversi neurologi anche in Italia. L’incontro con un uomo sposato per 15 anni con una donna che soffriva di amusìa gli ha fornito la chiave del film. «Lui mi raccontava l’altra faccia della medaglia, come la sua vita fosse cambiata per amore – ci spiega il regista – Lui era un grande fan del jazz, aveva una vita sociale, ma poi ha incontrato lei e gradualmente ha accettato la situazione cambiando stile di vita». Bella quindi anche la figura di Lucio (il talentuoso Giampiero De Concilio) un ragazzo che avrebbe avuto un altro destino se solo ne avesse avuto le possibilità. «Abbiamo partecipato, e poi vinto, il bando del Ministero durante il lockdown – spiega –. Vedo tanti film strazianti, siamo già circondati da tragedie. Ho pensato di dare leggerezza, sentimenti, colore: un piccolo di raggio di sole attraverso il mio film. Alla fine sono i giovani che ricordano, anche agli adulti, l’importanza di volersi bene».