martedì 17 aprile 2012
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​Si dice sempre – ed è evidentemente vero – che qualsiasi storia racconti, in fondo, un autore racconta se stesso. Il che è addirittura esplicito in <+corsivo>Il primo uomo<+tondo>: film che non narra solo la storia di Albert Camus (che si ritrae nel protagonista del suo omonimo, incompiuto romanzo); ma anche quella di Gianni Amelio, che da quel romanzo ha tratto il suo nuovo film (da venerdì in 70 cinema). «Anch’io, come Camus, sono stato un bambino povero. Anch’io  cercavo mio padre, ritrovato solo in tarda età; anch’io ho vissuto con due donne forti, mia madre e mia nonna; anch’io lavoravo d’estate con uno zio affettuoso. L’unica differenza fra il personaggio del libro e me? – si chiede Amelio – La sua storia si svolge in Algeria, negli anni 20. La mia in Calabria, nei 50».La simbiosi è stata tale che per il film il regista non ha usato i dialoghi del romanzo, ma i propri «tratti cioè dai miei ricordi d’infanzia»; e che lo strettissimo controllo operato dall’erede di Camus, Catherine («la quale, a mia insaputa, aveva ottenuto di poter ritirare titolo e nome dell’autore dalla mia pellicola, se non gli fosse piaciuta») ha riconosciuto nel ritratto tratteggiato da Amelio sui propri connotati «esattamente quelli di suo padre».Tutto questo in un racconto scabro fino al rischio di aridità, e indugiante sulle atmosfere fino alla lungaggine. Inoltre, lo sfondo della guerra di liberazione algerina su cui s’innestano i ricordi d’infanzia del protagonista (francese figlio di coloni ma legatissimo al mondo arabo, nel frattempo divenuto celebre scrittore, favorevole all’autonomia dell’Algeria ma contrario all’uso del terrorismo per raggiungerla) offre ad Amelio il destro per esprimere ciò che realmente gl’interessa. «Il mio non è un film sull’Algeria. E difatti non ha che collegamenti superficiali con La battaglia di Algeri di Pontecorvo. E non è neppure, o non solo, il racconto della bruciante nostalgia di un bambino per un padre mai conosciuto. È invece la dichiarazione dell’inutilità delle guerre che dividono etnie diverse conviventi in uno stesso territorio. Più di tanti intellettuali di sinistra, come Sartre ad esempio, Camus era contrario alla violenza rivoluzionaria perché sapeva che essa porta alla moltiplicazione, e non alla soluzione, degli odi. Posizione coraggiosa, che procurò al premio Nobel francese parecchia cattiva fama». E che ancor oggi suscita sospetti e perplessità; se è vero che in Francia «nessun giornalista ha scritto una sola riga su questo film»; se lo stesso produttore francese «non stima questo il momento opportuno per farlo uscire nelle sale d’oltralpe», e se <+corsivo>Il primo uomo<+tondo> (interpretato, fra gli altri, anche dalla nostra Maya Sansa) non ha trovato modo di essere presentato in alcun festival italiano. «La produzione voleva a tutti i costi Venezia. Io avrei preferito Berlino. Il direttore della Mostra, Muller, prima l’ha selezionato per il concorso e poi, inspiegabilmente, escluso. Al Festival di Roma, invece, ho detto io di no, per la rabbia che avevo». E alla fine il film è riparato a Toronto. Dove ha vinto il premio internazionale della critica.
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