sabato 28 luglio 2012
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​L’altra Olimpiade della città-mondo non è quella del business, ma si gioca su strade che sanno essere altrettanto spietate con gli ultimi.Qui, più che con lo spirito olimpico, si gareggia seguendo il sogno sempre verde di don Bosco, costruire la pace anche con il gioco. Anche a Londra - città globale, tre volte sede olimpica dove la torcia è passata ieri sul Tamigi in quartieri dove convivono senza quasi comunicare tutte le etnie del pianeta - togliere i ragazzi dalle strade grazie allo sport, allo spirito di squadra, a valori, quali lealtà e sacrificio, è uno degli obiettivi che la Conferenza episcopale britannica si è data per la trentesima edizione dei Giochi olimpici. E per vincere la sfida, dall’1 al 13 agosto nel liceo cattolico dedicato a San Bonaventura a Forest Gate, a 20 minuti a piedi da Stratford, il riqualificato quartiere olimpico ha organizzato “The Joshua Camp”, dove centinaia di giovani volontari arriveranno da tutto il mondo e dopo tre giorni di formazione verranno mandati nelle aree più dure, confinanti con i siti olimpici, dove la famiglie spesso non esistono.Le gare cui parteciperanno sono quelle della conservazione della tregua olimpica, iniziata il 9 giugno, nei quartieri multietnici dell’East End dove giusto 12 mesi fa scoppiò una violenta rivolta e dove dal 2008 si susseguono omicidi di minori a opera di gang giovanili, con iniziative cosiddette di umanità - conoscersi, socializzare - di preghiera e gioco e infine dell’accoglienza dello straniero.«Un aspetto importante di London 2012 – spiega monsignor John Armitage, delegato della chiesa cattolica inglese per le Olimpiadi – è che ci consente di avvicinare i giovani ai valori dell’universalismo, comuni all’olimpismo e alla Chiesa cattolica. I ragazzi che parteciperanno a Joshua Camp faranno volontariato in aree dove a messa partecipano fino a 91 nazionalità diverse, dall’Europa dell’est, dall’Asia e dall’Africa». Di cosa si tratta, Armitage lo spiega velocemente.«L’anno scorso Papa Benedetto ci chiese di parlare con coraggio e umiltà di Cristo come fonte di speranza per la nostra vita. E noi crediamo, anche grazie all’ispirazione di Giovanni Paolo II, che i valori del gioco e dello sport possano diventare veicoli di pace. Unendo queste due visioni, abbiamo pensato che le Olimpiadi potevano diventare un’occasione per pregare e annunciare il Vangelo». Così al Joshua camp i giovani troveranno due simboli, una croce olimpica che girerà come un’icona di pace in tre parrocchie adiacenti Stratford, Santa Caterina da Siena, San Francesco e Sant’Antonio, nei quartieri più poveri del Regno Unito. E il cero pasquale che venne portato dal Papa, simbolo di fede. In queste parrocchie i volontari animeranno l’adorazione eucaristica di 24 ore al giorno, si metteranno a disposizione per l’accoglienza dei turisti olimpici e faranno animazione con i ragazzi. Anima di Joshua camp è James Parker, che coordina anche i volontari ecumenici di “More Than Gold”, l’iniziativa con la quale le chiese cristiane di Londra hanno collaborato con gli organizzatori delle Olimpiadi per attività religiose e sociali.«I servizi religiosi per i Giochi partono oggi pomeriggio nella cattedrale cattolica di Westminster, con la messa concelebrata con tutti i vescovi e cappellani al seguito delle squadre olimpiche. Poi il primo agosto inizia il campo, ispirato alle Gmg per creare una presenza cattolica giovanile e gioiosa nella metropoli». Li caratterizzerà l’impegno per contrastare la prostituzione.«Avranno un kit per avvicinare le vittime e aiutarle - conferma Parker - e materiale per sensibilizzare la gente sul traffico di esseri umani». Dopo proseguirà l’opera la Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, mutuata da quella italiana. «Vogliamo portare i ragazzi dei quartieri più poveri – conclude Armitage – a giocare in società sportive delle parrocchie o delle scuole cattoliche. Il nostro modello sono gli oratori italiani e l’intuizione di don Bosco». Per portare anche nei ghetti di Londra luoghi dove nessuno ti ruberà il sogno di vincere pulito.
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