venerdì 7 luglio 2017
Due saggi di Baggott e Brancato svelano i limiti delle «visioni» del sapere cosmologico di fronte all’«assurdo» e al «mistero». Il senso dell’escatologia cristiana
I “Pilastri della Creazione”: la fotografia ripresa dal telescopio spaziale “Hubble” di colonne di gas interstellare e polveri visibili nella nebulosa Aquila, scattata nel 1995

I “Pilastri della Creazione”: la fotografia ripresa dal telescopio spaziale “Hubble” di colonne di gas interstellare e polveri visibili nella nebulosa Aquila, scattata nel 1995

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Nella «visione scientifica del mondo» tanto cara a Bertrand Russell non trova spazio l’idea di creazione, perché la materia e con essa il cosmo sono sempre esistiti; e tantomeno ha senso un’escatologia, una speculazione o credenza sulla fine di tutte le cose e sul destino ultimo dell’umanità, perché legata ancora a un’impostazione teleologica ormai rifiutata dalla scienza. Anche qualora l’Universo avesse un’origine nel tempo, la sua evoluzione sarebbe al massimo quella di un evento ciclico, come nella cosmologia degli Stoici. Questa pretesa «visione scientifica del mondo » continua tuttora a essere accreditata dai filosofi scientisti, che incredibilmente da noi esistono ancora e addirittura se ne vantano apertamente, come è avvenuto di recente sulle pagine domenicali del nostro principale quotidiano economico- finanziario. Non mancano poi scienziati divulgatori di indiscussa fama, come Stephen Hawking, capaci di sostenere con impareggiabile levità che la scienza risponde a tutte le domande sull’inizio e sulla fine del mondo, anche a quelle un tempo di pertinenza della filosofia e della teologia. Tuttavia, per nostra fortuna, esistono anche dei divulgatori scientifici seri, non interessati a un uso ideologico della scienza e dei suoi risultati, che sanno riconoscere e distinguere i meriti dagli ineludibili limiti della ricerca scientifica e del nostro attuale sapere cosmologico, fisico e biologico.

Il chimico-fisico Jim Baggott ad esempio, in un bel libro recentemente tradotto nel quale si effettua un ampio excursus su quanto di significativo ci ha consegnato la scienza sulle origini del cosmo, della vita, dell’uomo e della sua coscienza (Origini. La storia scientifica della creazione - Adelphi, pagine 438, euro 39,00) dichiara con convinzione: «Non lasciatevi ingannare. Non importa quello che potete aver appreso da alcuni recenti libri di divulgazione scienti- fica: state pur certi che nessuno può dirvi come sia iniziato l’Universo. E nemmeno se, in questo contesto, “iniziato” sia una parola anche lontanamente appropriata». Ma pure sulle ragioni per cui noi esseri intelligenti e dotati di una coscienza esistiamo, alla fine «il messaggio inviato dalla storia scientifica della creazione è che ci troviamo qui grazie a una combinazio- ne di circostanze storiche straordinarie e di una scandalosa fortuna ». E di fronte a questo scenario, perfino la ricerca di vita extra terrestre si rivela «basata più su un atto di fede che non su conclusioni scientifiche»; in breve: «C’è ancora moltissimo mistero». Il termine “mistero” sta però a indicare qualcosa di alquanto diverso dal semplice problema irrisolto e risolvibile, come appunto avviene nella scienza: è infatti qualcosa di mai completamente attingibile, che l’indagine scientifica incontra sempre ai propri estremi confini. La nostra natura di esseri cercatori di senso non si appaga e non si può appagare delle pur importanti risposte della scienza, perché esse in ultimo non possono far altro che richiamare il caso più improbabile dell’improbabile (la «scandalosa fortuna»); e così percepiamo l’incongruenza tra la grandezza della coscienza umana e l’insensatezza apparente del nostro esistere.

Qui si colloca lo spazio per una nuova filosofia attenta a ragionare partendo dai risulti delle scienze naturali e pure quello per una nuova teologia non avulsa dal contesto della cultura scientifica contemporanea, come tenta di praticare un teologo come Francesco Brancato (Il futuro dell’Universo. Cosmologia ed escatologia - Jaca Book, pagine 214, euro 18,00). Non negando l’importanza del paradigma matematico-quantitativo delle scienze (in particolare quelle fisiche e astro-fisiche), ma rilevandone l’insufficienza nel dare conto del destino ultimo dell’uomo e del cosmo, egli salda in qualche modo la prospettiva finalistica cristiana con la cosmologia contemporanea e genera nuove possibili riletture per l’escatologia teologica. È questo un nuovo indispensabile modo di riflettere sul messaggio cristiano, che può servire a spiegare agli uomini del nostro tempo come le stesse conoscenze scientifiche ci obblighino a scegliere tra l’assurdo e il Mistero, perché è proprio «l’assurdità dell’assurdo» (Jean Guitton), ossia del caso contro cui si infrange il sapere scientifico, ad obbligarci a cercare un senso trascendente.

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