lunedì 7 gennaio 2019
L'attore è un severo maestro di musica ne “La Compagnia del cigno” al via su Rai 1: al centro i veri allievi del Conservatorio Verdi di Milano. «I giovani hanno bisogno dei “no” per diventare grandi»
Alessio Boni e i ragazzi del  Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano nella serie "La Compagnia del cigno"

Alessio Boni e i ragazzi del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano nella serie "La Compagnia del cigno"

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Matteo è un adolescente con una passione sconfinata per la musica, ma quando chiude gli occhi e accenna al violino la Terza Sinfoniadi Brahms gli appaiono le macerie della sua Amatrice e non riesce a proseguire. A incalzarlo, a suon di sgridate, il severissimo e irascibile professore Luca Marioni, soprannominato “il Bastardo” dai suoi allievi, che fa di tutto per scuoterlo e far sbocciare il suo talento. Così inizia la nuova serie prodotta da Indigo Film in collaborazione con Rai Fiction La Compagnia del cigno, scritta e diretta da Ivan Cotroneo (che firma i soggetti e le sceneggiature con Monica Rametta). Si tratta di dodici episodi, che andranno in onda su Rai 1 in sei prime serate, dal 7 gennaio, per raccontare la storia di sette adolescenti fra i 15 e i 18 anni, diversi per temperamento ed estrazione sociale, ognuno con la propria ferita dentro, che frequentano il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. C’è Sofia che deve accettare i suoi chili di troppo, Rosario che ha la mamma tossica, Sara che è ipovedente, Robbo che vede la famiglia sfasciarsi. Alessio Boni è l’intransigente direttore d’orchestra e maestro di vita che costringerà questo manipolo di ragazzi (tutti veri allievi del conservatorio milanese) a esercitarsi insieme per dare supporto a Matteo, che viene dal paese terremotato, ad integrarsi nell’orchestra. Nasce così la "Compagnia del cigno” in onore di Giuseppe Verdi, il cigno di Busseto. Di musica classica ce n’è tanta, in questa fiction di cui ha scritto la sigla Mika e che vede nel cast Anna Valle, Giovanna Mezzogiorno, Stefano Dionisi, Giorgio Pasotti, Rocco Tanica, Marco Bocci. Incontriamo Boni mentre sta provando il suo nuovo spettacolo teatrale su Don Chisciotte, che debutta il 22 gennaio a Tortona (Alessandria).

Alessio Boni, lei ha mai avuto dei maestri così severi?

Quelli che ricordo sono proprio gli insegnanti più severi che ti mettono davvero davanti alla realtà, ti fanno capire cosa è l’essenza della vita. Come il regista greco Andrea Saralis che mi ha preparato per entrare all’Accademia d’arte drammatica, e poi il grande Orazio Costa Giovangigli che era severissimo, ma a cui devo dire grazie. Quante volte da giovani noi allievi lo abbiamo odiato. Ricorderò sempre una frase dell’Amleto che ci fece ripetere per tre giorni, otto ore al giorno. C’era da diventare pazzi. Ma lui è il punto di riferimento degli attori della mia generazione, Gifuni, Locascio, Favino. Per non parlare poi di Strehler, che definire severo è poco, e di Marco Tullio Giordana con cui girai La meglio gioventù.

Il suo professor Marioni non esagera nella sua durezza coi ragazzi?

Lui ha questo carattere anche perché gli è successa una spaventosa tragedia in famiglia. Ma ha preso sotto la sua ala gli allievi come fossero suoi figli. Lo fa in modo ruvido, tagliente, talvolta opinabile, ma lo fa per il loro bene. Dare una pacca sulle spalle a uno che non ha talento, senza dirgli la verità per poi lasciarlo solo in mondo di iene non lo aiuta. La musica per Marioni è un’opera d’arte e l’arte non ammette mediocrità. A 14 anni non hai la coscienza della vita, hai bisogno dei “no” e di avere dei binari. Dovrebbero venire dalla famiglia, che purtroppo è molto sfasciata. O dai professori.

E quando era ragazzo lei?

In famiglia ho ricevuto una educazione solida, quante sberle da mia madre quando ne combinavo una. Non si transigeva neanche nel rispetto verso i professori. Stimo tantissimo i professori e i maestri elementari. Forgiano le generazioni del futuro e non sono riconosciuti. Oggi vince l’insolenza del potere. Ce l’ho da morire con quelli che aggrediscono coloro che ti insegnano la vita, solo magari perché pensi che tuo padre sia più importante perché guadagna di più. Questa persona ha studiato, fatto il supplente, atteso per anni per insegnare la sua passione ai ragazzi. Non è stato preso per caso.

Però in questa serie si mostrano dei giovani impegnati e studiosi, diversi dai soliti cliché.

Questa fiction dimostra quanto sacrificio ci vuole per diventare magari solo una viola di fila. La dedizione e il talento sono una cosa rara e non è vero che i giovani non hanno voglia, se tenuti nelle mani di un grande maestro tengono duro, non mollano, ti contagiano con la loro energia. Gli allievi del conservatorio che hanno recitato con me, io li stimo: non vogliono diventare attori ma musicisti. Eppure la precisione con cui sapevano le battute anche le mie, mi hanno fatto sentire in difetto. È un messaggio enorme per i ragazzi italiani: questi frequentano il liceo, poi attaccano con 7 o 8 ore di studio della musica. Che vita fanno per perseguire il sogno di una carriera?

Insomma, grazie a questa “meglio gioventù” c’è speranza per l’Italia?

È vero come dice Michele Serra che esistono “gli sdraiati”, ma ce ne sono tanti che fanno sacrifici per raggiungere i loro obiettivi anche nelle università e nel lavoro. E fanno sperare per l’Italia, anche se magari se ne vanno via perché qui non gli diamo le possibilità. Comunque non seguiamo sempre i luoghi comuni. I giovani in gamba ci sono.

Quanto ha imparato dai suoi “allievi”?

La vita è l’arte degli incontri, con loro mi sono arricchito. Come mi sono arricchito ogni volta che sono andato e continuo ad andare in Africa, ora col Cesvi, o ad Haiti. Quei 15 giorni all’anno che passo con queste persone sfortunate per me sono un dono. Sinora ho visitato Haiti, Malawi, Zimbabwe, Mozambico, tutto il Nord Africa, l’Indonesia dopo lo tsunami, ma anche centri di accoglienza a Siracusa e situazioni di disagio a Scampia.

Quanto non si sa in Italia di queste persone?

Si giudica perché si pensa che il migrante porti via il lavoro. È vero che bisogna regolamentare, ma l’integrazione è la cosa più importante. Può dare un vantaggio economico a loro e a noi. Lo sforzo di queste persone per venire qua è enorme, si mettono insieme dei villaggi per mandare il migliore perché possa aiutare villaggio. Non è la feccia. Certo che se non lo integri e lo fai lavorare in nero...Io ho fatto di tutto per mantenermi all’Accademia. Sia in Italia sia in America ho fatto il camerere, il pony express, il baby sitter. Non ho mai avuto paura del lavoro fatto con dignità.

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