venerdì 14 luglio 2023
Sia come professore sia come politico, lo statista dc dedicò molta attenzione, soprattutto negli anni ’70, alle nuove generazioni: senza formalismi, in reale spirito di apertura. A Rimini un incontro
Aldo Moro tra il pubblico del Palalido al primo incontro pubblico di Cl il 31 marzo 1973

Aldo Moro tra il pubblico del Palalido al primo incontro pubblico di Cl il 31 marzo 1973 - (foto Emanuele Ortoleva)

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Che cosa ci faceva Aldo Moro, un sabato mattina di fine marzo di 50 anni fa, nel parterre del Palalido, a Milano, seduto ad ascoltare e prendere appunti fra gli studenti di Comunione e Liberazione alla prima uscita pubblica? Erano più di 5mila, quell’incontro intitolato “Nelle università italiane per la liberazione” (promosso dalle prime comunità cielline di ben 30 atenei italiani più 3 della Svizzera) era stato indicato da don Luigi Giussani come «momento missionario cui invitare tutti». A Roma Saverio Allevato e Lucio Brunelli, studenti di Scienze politiche alla Sapienza, si erano spinti a invitare un uomo politico così importante, essendo loro docente di Diritto e procedura penale. Ma il suo arrivo fu una sorpresa. Le immagini d’epoca mostrano il responsabile degli universitari liguri del tempo, Carlo Campodonico, di Chiavari, che gli si fa incontro, come per offrirgli un posto di riguardo, ma Moro fa cenno di non preoccuparsi e si accomoda nel pubblico. Si può immaginare il cuore in gola di Emilio Bonicelli (poi giornalista del “Sole 24ore”) che stava per tenere la relazione iniziale: «Eravamo in ansia da giorni per preparare l’incontro, la sera prima mi era anche sparita la voce, miracolosamente ricomparsa la mattina, e nel prendere la parola vedendo fra il pubblico un interlocutore così autorevole, crebbe in me l’emozione e il peso della responsabilità». Prese poi la parola Rocco Buttiglione, 25enne ricercatore di Augusto Del Noce che con Moro aveva già una certa dimestichezza, alimentata da scambi di vedute nei corridoi della Sapienza su Maritain e Del Noce. Anche quel giorno, a fine incontro, i due si fermarono a parlare. Mostrava grande interesse, e la differenza di approccio, con Cl, fu per lui motivo di ulteriore interesse. Ricorda Buttiglione: «Scoprivamo tanti punti di incontro. “Voi siete un pochino integralisti - mi disse una volta -. Ma l’integralismo è una malattia infantile da cui si guarisce sempre troppo presto. E chi non è stato un po’ integralista da giovane, da vecchio finisce per diventare cinico”».


“Aldo Moro, i giovani e noi, un’amicizia viva”, sarà il tema di un incontro al Meeting, nel pomeriggio del 25 agosto, giorno conclusivo che - in mattinata - vedrà la presenza del presidente Mattarella, grande cultore, è noto, del pensiero moroteo. In sala Neri, alle 17, introdotti da Salvatore Taormina della redazione culturale del Meeting, interverranno Agnese Moro, terza figlia dello statista, lo storico Agostino Giovagnoli e Saverio Allevato, ex responsabile degli universitari di Cl che, come detto, aveva invitato Moro a quel raduno: «Non ci rispose né sì, né no, e quando dalle gradinate lo vidi entrare ne fui sorpreso». Ma c’è stato un “prima” e un “dopo” di un rapporto assiduo, tanto discreto da indurre don Giussani a una curiosa risposta a Giorgio Bocca, in un’intervista di fine maggio 1975, a ridosso del primo raduno del Movimento popolare, fase contrassegnata dalle prima candidature, nella Dc, di esponenti di Cl alle amministrative. Il giornalista chiedeva dei segnali di interesse di alcuni leader a iniziative cielline:«Moro e Fanfani sono stati invitati in qualità di professori. Fanfani non si è visto, Moro è venuto spesso alle nostre riunioni. Ascolta, segue e non dice mai niente», rispose Giussani.

Un approccio di ascolto singolare, forse unico, nel rapporto fra politica e movimenti cattolici, segnato dalla presenza assidua alle messe domenicali della Cl delle origini, a Roma. Corrado Rizzi era un militare di Abbiategrasso in servizio alla scuola Trasmissioni della Cecchignola, che, agli inizi del 1973 si presentò con altri due colleghi in divisa alla messa di Cl, all’Antonianum, in via Merulana, «in una cappella strana - ricorda -, in un seminterrato. Alla fine ci fermiamo parlando tra di noi perché non conoscevamo nessuno. Ad un tratto si fanno largo tra i presenti due marcantoni serissimi con in mezzo Moro. Lo riconosciamo e restiamo intimiditi perché lui viene direttamente verso di noi: “Buon giorno militari, come state? Come vi trovate nella vostra caserma? Vi trattano bene?”, ci chiede. A stento riesco a biascicare un “sì , sì, ci trattano bene, grazie onorevole”». Un rapporto proseguito nel tempo, nei diversi posti dove Cl si trasferì per la messa domenicale (in via Giulia alla chiesa di Santa Maria dell'Orazione e Morte, poi a Santa Maria della Scala, e a Santa Maria in Trastevere) e con altri studenti di Cl che frequentavano il suo corso, come l’ex deputato del Pd Nicodemo Oliverio, suo allievo nell’anno del rapimento, che ricorda anche il contributo mensile (le decime) che «riservatamente offriva al movimento come forma di incoraggiamento». C'è traccia anche della presenza di Aldo Moro, al primo banco, alla ordinazione sacerdotale di don Tommaso Latronico, sacerdote di di Cl di origini lucane, di Nova Siri, scomparso prematuralmente, per il quale è stato di recente aperto il processo di canonizzazione. Non c’è traccia invece di una volta che abbia chiesto dei voti, anzi nel 1975 convinse i giovani dc a Scienze politiche a non presentare la loro lista alle elezioni universitarie e il suo allievo prediletto, Franco Tritto, sostenne con i suoi amici la lista comune con Cl, denominata "Cattolici popolari e democratici".

«Dedicò - spiega Giovagnoli - grande attenzione ai tempi nuovi che si annunciavano, come disse in uno storico intervento al Consiglio nazionale Dc del 22 novembre 1968. Messo ai margini nel suo partito, trovò modo per dedicare tutto sé stesso alle istanze giovanili guardando con interesse ai nuovi movimenti, incontrando anche i capi della contestazione». E niente più dei rapporti con i suoi studenti parla della centralità della persona che caratterizza la nostra Costituzione, sulla sua spinta decisiva, come testimoniano quelle tesi di laurea insanguinate recapitate alla famiglia, che aveva con sé al momento del rapimento, avendo intenzione di discuterle quella mattina, nonostante gli impegni istituzionali legati al dibattito sulla fiducia al governo Andreotti. E a Rimini la centralità della persona sarà esaminata proprio in relazione, soprattutto, al suo impegno per i giovani e per la pace: «Cercheremo di condividere - spiega Agnese Moro - alcuni aspetti della sua vita che, spero, possono accompagnarci anche oggi».

Il ricordo / Brunelli: «Quando mi salvò la vita...»


Due giovani arrivano alla Farnesina in vespa con il cuore in gola: hanno un appuntamento con il ministro Aldo Moro. Con Saverio Allevato, quella volta, c’era anche Lucio Brunelli, che poi - da giornalista - sarà vaticanista del Tg2 e direttore dell’informazione di Tv2000. «Se ci ripenso adesso mi sembra incredibile. Noi, io e Saverio, suoi studenti a Scienze Politiche, ci presentavamo alla Farnesina con i blu jeans e l’eskimo. In portineria ci prendevano per strani millantatori quando dicevamo di avere un appuntamento con il ministro. Poi chiamavano il ministro e ci facevano passare». Ma quella volta la Farnesina era stranamente deserta, e i due intraprendenti studenti capirono ben presto di aver sbagliato tutto e di essersi sottoposti a una inutile levataccia. L’appuntamento «alle sette» con Moro era vero, nessuna millanteria anche in quel caso, ma era per le sette di sera, e non all’alba, si erano sbagliati di sole 12 ore. Racconti epici dell’incontro con un politico straordinario. Anzi, per meglio dire, straordinariamente “normale”.
«Ai suoi occhi la Cl nascente di quegli anni rappresentava una novità interessante. Lui ascoltava, era curioso, voleva capire. Un uomo mite, un uomo aperto, un uomo che guardava il futuro. Sentiva che la sua Dc, non aveva futuro se franava il mondo in cui lui stesso si era formato. Non mancava una lezione, nonostante gli impegni internazionali e politici. Faceva l’appello, come a scuola. Veniva con la scorta. E quei volti, dei poliziotti che lo aspettavano nel corridoio, ci divennero familiari. La cosa per me sorprendente, tuttora, era l’attenzione che mostrava verso la realtà di noi, giovani studenti cattolici, che allora muovevamo i primi passi. Una realtà nata fuori dall’associazionismo cattolico ufficiale, da cui lui invece proveniva, la Fuci, l’Azione cattolica. Però al di là delle sigle, dei linguaggi diversi credo che lui percepisse una linea di continuità tra la nostra esperienza e la sua storia. Continuità nel fondo delle cose: che si poteva cioè essere giovani e cristiani, con tutte le inquietudini e il bisogno di libertà e anticonformismo tipico di ogni giovane. Avere il gusto dell’intelligenza, della cultura, della lotta per il bene comune, ed essere credenti».

Per Brunelli c’è anche un ricordo personale, in relazione a una vicenda drammatica che lo riguardò, ricostruita in un filmato che sarà proiettato durante l’incontro del Meeting dedicato ad Aldo Moro: «Scherzando dico mi salvò la vita. 2 febbraio 1975. Ero finito all’ospedale in seguito a un brutto pestaggio compiuto da un gruppo di militanti neofascisti». Quelli del Fuan avevano coperto i manifesti della lista cattolica e uno di loro aveva avuto l’idea, rivelatasi altamente rischiosa, di ripristinare alcuni dei manifesti che era stati occultati, togliendo quelli che c'erano sopra. Un gruppo di neofascisti spuntato improvvisamente dal nulla decise di farsi giustizia a modo suo usando delle mazze da baseball, e Brunelli, che sicuramente era quello che c’entrava meno, ebbe la peggio, rischiando seriamente la vita. «Ero più di là che di qua. Prognosi riservata. In ospedale per il personale sanitario ero uno dei tanti che “se l’era cercata”, mi avevano messo in uno stanzone con una ventina di malati, mi sentivo abbandonato (forse mi sbagliavo). Insomma, Moro venne a trovarmi, come suo solito, con discrezione e sobrietà. Quando andò via, le cose cambiarono improvvisamente. Attenzioni e cure magicamente si moltiplicarono. Per questo, scherzando, dico che mi salvò la vita. Anche per questo, ci tengo, ogni anno, a compiere una visita alla sua tomba, in un bellissimo paesino che s’affaccia su un’ansa del Tevere, Torrita Tiberina, vicino Roma. Un cimitero di campagna. Una tomba senza lapidi istituzionali, spoglia, spoglissima».
Angelo Picariello


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