giovedì 22 giugno 2023
L'attore e regista, premiato con il Nastro d'Argento come migliore attore per la commedia "Grazie ragazzi" di Riccardo Milani, si racconta e fa il punto anche sullo stato dell'arte del nostro cinema
L'attore Antonio Albanese, premiato con il Nastro d'Argento come migliore attore per la commedia "Grazie ragazzi"

L'attore Antonio Albanese, premiato con il Nastro d'Argento come migliore attore per la commedia "Grazie ragazzi" - gerardR6

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Nastro d’Argento come migliore attore per “Grazie ragazzi” di Riccardo Milani con cui ha girato “Un mondo a parte” . Il 1° luglio la prima della sua regia di “Rigoletto” all’Arena Ha vinto il Nastro d’argento come miglior attore di commedia per Grazie ragazzi di Riccardo Milani, dove interpreta un attore disoccupato animato da nuova passione quando comincia a lavorare con un gruppo di detenuti sull’adattamento di Aspettando Godot. L’attore è assorbito in questi giorni dalle prove del Rigoletto, pronto al debutto il 1° luglio all’Arena di Verona, che festeggia il suo centenario, ma nel frattempo con Milani ha girato un nuovo film, il quinto, Un mondo a parte, accanto a Virginia Raffaele. La storia racconterà di un maestro elementare che dopo 40 anni di insegnamento a Roma si fa assegnare a una piccola scuola nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo.

Albanese, a distanza di mesi cosa le ha lasciato dentro questo personaggio?

Innanzitutto una bellissima esperienza legata alla coralità del film, ai bravissimi attori che con me hanno interpretato questa storia, agli spazi che abbiamo abitato durante la lavorazione, ovvero le carceri. Ho amato questo film che parla della riscoperta del teatro e dell’arte, di quello che sono capaci di fare. Io sono uno di quelli che grazie al teatro, al cinema e all’arte in generale si sente migliorato .

Che ruolo ha avuto l’arte nella sua vita?

Arrivo da un mondo popolare, e questa è stata anche la mia fortuna, perché nel tempo ho immagazzinato ricordi, esperienze, emozioni, sensazioni, dolori e gioie che sono riuscito a portare nel mio teatro, a donare ai miei personaggi per raccontare il nostro tempo, partendo dalla base e non percorrendo le strade più semplici.

Nei prossimi mesi vedremo anche il suo nuovo film da regista?

Cento, domeniche, che uscirà nelle sale a novembre. Credo di essere l’unico attore al mondo che recita davanti al tornio della fabbrica dove ha realmente lavorato. Lo stesso identico tornio che ho usato per sei anni e che poi ho lasciato perché il teatro mi ha aperto una strada diversa. Il film racconta la storia di un operaio in prepensionamento alle prese con problemi economici. Il principale oggi non è più lo stesso, ma c’è il figlio. Ho solo un tatuaggio, l’incisione di un truciolo all’altezza del polso, una striscia un po’ tribale, provocato realmente da un truciolo incandescente. Il titolo rimanda a quando negli anni Sessanta e Settanta si usava costruire le case con l’aiuto di amici idraulici e falegnami il sabato e la domenica. E cento domeniche corrispondono a due anni.

Oggi possiamo ancora salvarci attraverso l’arte?

Non amo il lamento, quindi dico che dobbiamo agire. Ogni giorno è un’occasione, una possibilità che io cerco di trasmettere agli altri con gioia e riflessione, cercando di far capire con i miei lavori che si può migliorare. Le difficoltà sono molto evidenti, il cinema vive un momento complicato, ma per me rimane un luogo sacro, bellissimo, come una sorta di mantello, e continuerà a esistere anche se bisognerà trovare soluzioni, cercando di reagire e non piangerci addosso.

Cosa pensavi di poter offrire al pubblico attarverso questo personaggio?

Ho cercato di rispettare questa storia portando la mia esperienza, i miei sentimenti, i miei sguardi. Questo lavoro è difficile perché paradossalmente è estremamente semplice, ma dietro la semplicità non c’è l’improvvisazione, bensì un lavoro molto importante, come quello dei grandi artigiani. Rispetto vuol dire affrontare un lavoro pensando che c’è un pubblico a guardarti. E poi c’è il talento. Il lavoro dell’attore è quello che a molti consiglio di abbandonare immediatamente: sarà crudele, ma purtroppo l’entusiasmo non basta. La comicità è qualcosa che puoi amare, teorizzare - maledette le teorizzazioni però – ma ogni corpo è uno strumento e come tutti gli strumenti bisogna farlo suonare in un certo modo, anche riconoscendo i propri limiti. La comicità inoltre ha bisogno di molte cose, tra cui una maschera, che però nel tempo si deforma, diventa più triste. Alla base di tutto c’è lavoro, lavoro, lavoro. Studio, studio, studio. È necessario osservare, andare in giro, frequentare ambienti diversi, vivere la vita a 360 gradi. Per questo ho l’abbonamento della metropolitana, dove c’è la vita, c’è la gente.

I suoi personaggi comici hanno sempre avuto una malinconia di fondo, un dolore.

Sarà perché sono lacustre, mi porto dentro quella meravigliosa malinconia del lago. È una questione di sensibilità e di gusti. Un piccolo esempio: quando ho visto Segreti e bugie di Mike Leigh, che ho amato profondamente, il personaggio della madre ha avuto grande successo, mentre si è prestata meno attenzione a quelli della figlia abbandonata e del fratello. Ma Brenda Blethyn aveva un ruolo di grande effetto, mentre per Marianne Jean-Baptiste e Timothy Spall è stato molto più difficile. I premi sarebbero dovuti andare a loro.

Di tanto in tanto ama tornare sul set con Riccardo Milani.

Con Milani ormai c’è un’intesa che basta anche uno sguardo la lontano. Non amo gli intellettuali artisti, mentre condivido il piacere di un cinema popolare che racconta quello che ci circonda con garbo e onestà, attraverso personaggi tutt’altro che banali e facili da interpretare.

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