martedì 5 dicembre 2023
In occasione della mostra a Forlì, la scrittrice racconta la prima reporter a entrare alla Magnum Photos: «Mi ha insegnato l'umiltà e il valore della fatica». Si erano conosciute a Londra
Eve Arnold sul set di "Becket", 1963. Foto di Robert Penn

Eve Arnold sul set di "Becket", 1963. Foto di Robert Penn - © Eve Arnold / Magnum Photos

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«L’ho conosciuta per caso, Eve. Era la fine degli anni Novanta, ero stata invitata a una grande festa di amici e artisti americani a Londra. Erano esposte le opere di Andrea Tana, che ora vive in Toscana. C’era tanta gente. A un certo punto entrarono due donne vestite di nero, piccoline e anziane. Vennero a sedersi vicino a me. Poi ci siamo spostate, era iniziata una conversazione fra tanti. Una delle due donne si mise a parlare e pian piano tutti stettero in religioso silenzio ad ascoltarla. Mi chiesi: ma chi è questa vecchietta che riesce ad attrarre l’attenzione di gente così importante? L’indomani chiamai la padrona di casa, la ringraziai per la serata e le chiesi chi fosse. “Eve Arnold”, mi disse. “E che fa?”, ripresi. “La fotografa”. “La fotografa?”. Da avvocato tenace, continuai l’interrogatorio. “Fotografa di cosa?”. “E chiedilo a Magnum”. Rimasi perplessa. “Ora parli pure in latino?”, sorrisi. La sera mi chiamò Eve. Anche lei aveva chiesto chi fosse la donna che le era accanto. Nacque un’amicizia meravigliosa, abbiamo trascorso tanti momenti insieme, fino alla sua scomparsa, mentre si trovava in una casa di riposo, poco prima di compiere i 100 anni». A dare voce ai ricordi è Simonetta Agnello Hornby, l’avvocato e scrittrice siciliana, a Londra dal 1972, impegnata nel campo del diritto dei minori e delle disabilità. Eve è Eve Arnold (1912 – 2012), grande fotografa statunitense, la prima donna a entrare nell’agenzia Magnum Photos, nel 1951, insieme a Inge Morath. Davanti all’obiettivo di Eve Arnold sono passati dive e divi del cinema a cominciare da Marilyn Monroe, ma anche toccanti scene di mondo, spaziando dall’America alla Cina fino all’Afghanistan, con reportage e inchieste su temi sociali e umani: i bambini, le discriminazioni, la vita nel ghetto di Harlem, le foto delle modelle afroamericane, Malcolm X, la maternità, i poveri.

In mostra a Forlì, Musei di San Domenico, 'Eve Arnold. L’opera, 1950-1980': i primi cinque minuti di vita di un neonato. Una madre tiene la mano del suo piccolo. New York, Long Island, 1959

In mostra a Forlì, Musei di San Domenico, "Eve Arnold. L’opera, 1950-1980": i primi cinque minuti di vita di un neonato. Una madre tiene la mano del suo piccolo. New York, Long Island, 1959 - © Eve Arnold / Magnum Photos

Un patrimonio immenso che si può ammirare a Forlì nella mostra Eve Arnold. L’opera 1950-1980 al Museo Civico San Domenico, fino al 7 gennaio. Un’esposizione a cura di Monica Poggi, promossa dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì con il Comune romagnolo in collaborazione con Camera – Centro Italiano per la fotografia di Torino. Simonetta Agnello Hornby ripercorre l’amicizia «semplice e straordinaria» con la fotografa, scorre con la mente e con gli occhi i momenti vissuti insieme e le immagini scattate in trent'anni di carriera dall'amica Eve. Quelle in mostra e in qualche modo personali. Lo ha fatto in un recente incontro pubblico, proprio a Forlì, e ora in questo spazio. «Me ne ha regalate tante di foto. La prima fu quella di una madre che prende la manina del suo neonato. Ebbe un solo figlio Eve, l’adorato Frank. E ne perse uno. Per superare quel dolore passò delle giornate in ospedale a Long Island a fotografare le nascite, quel meraviglioso servizio sui primi cinque minuti di un bambino. Cercò di affrontare e superare la sofferenza così. Furono scatti catartici». In fondo c’è un tratto sempre autobiografico nel suo andare con la macchina fotografica. «Eve era nata a Philadelphia da una famiglia ebraica di emigrati russi, era terza di sei fratelli. Il padre, rabbino, trovò lavoro in America come venditore porta a porta. Non se la passavano certo bene…», dice Agnello Hornby. Lo scrive la stessa Arnold, come riportato dalla curatrice Poggi nel testo del catalogo (Dario Cimorelli editore): «Sono stata povera e ho voluto documentare la povertà; ho perso un figlio e sono stata ossessionata dalle nascite; mi interessava la politica e ho voluto scoprire come influiva sulle nostre vite; sono una donna e volevo sapere delle altre donne». E le altre donne erano persone semplici e star. Robert Capa, parlando di lei, disse proprio così: era «a metà strada fra le gambe di Marlene e le vite amare dei migranti raccoglitori di patate», i migranti sfruttati e oppressi da famiglie che venivano considerate “rispettabili”. Marlene era l’attrice e cantante Marlene Dietrich che Eve Arnold fotografò in maniera straordinaria. Al punto che, quando Marilyn Monroe incontrò Eve a un party organizzato proprio da Capa, fu la stessa star ad avvicinarla, dicendole: «Se sei riuscita a fare così bene con Marlene, riesci a immaginare cosa potresti fare con me?». Aveva ragione. Le foto di Marilyn sono strepitose, iconiche. La ritrasse in diverse occasioni in dieci anni. E con la star venne fuori tutto il lato umano della Monroe, giocoso ma anche fragile, come se la celebrità fosse una maschera. «La foto che le piaceva di più di Marilyn – riprende il filo dei ricordi Simonetta Agnello Hornby – era quella di lei che riposa sul letto, assopita. Una donna che dorme, non la pin-up. Di lei diceva simpaticamente che era grassottella, riportandola sulla terra. Semplicemente donna».

In mostra a Forlì, Musei di San Domenico, 'Eve Arnold. L’opera, 1950-1980': l'attrice Marilyn Monroe mentre legge 'Ulisse' di James Joyce,Long Island,New York,USA,1955

In mostra a Forlì, Musei di San Domenico, "Eve Arnold. L’opera, 1950-1980": l'attrice Marilyn Monroe mentre legge "Ulisse" di James Joyce,Long Island,New York,USA,1955 - © Eve Arnold / Magnum Photos

C’era una diva meno appariscente che Eve Arnold amava, ed era italiana. «Ritratta in una foto che Eve ha amato forse più di tutte. Tant’è che l’ha portata con sé nella casa di riposo dove ha vissuto gli ultimi undici anni della sua vita. Una foto che ha regalato anche a me e alla quale sono legatissima – continua Agnello Hornby -: ritrae Silvana Mangano in piedi fra le opere del Moma di New York, con la sua silhouette che segue perfettamente il profilo di una scultura. Era stato chiesto a Eve di fotografare una famosa attrice italiana, praticamente sconosciuta a New York. “Era timidissima”, mi raccontò. Non sapeva come ritrarla. La portò al museo d’arte moderna, la seguì a una certa distanza, fece tantissimi scatti. Quando le sviluppò, una le saltò subito all’occhio. Era sorprendente, sembrava una composizione. Sembrava finta, invece era profondamente vera. Un caso? Fortuna? La fotografia è anche caso. Ma “il caso - diceva Eve - sorride a chi lavora molto”. Quella foto ne era la prova».

In mostra a Forlì, Musei di San Domenico, 'Eve Arnold. L’opera, 1950-1980': Silvana Mangano al Museum of Modern Art, New York, 1956

In mostra a Forlì, Musei di San Domenico, "Eve Arnold. L’opera, 1950-1980": Silvana Mangano al Museum of Modern Art, New York, 1956 - © Eve Arnold / Magnum Photos

Quella fra Eve e Simonetta fu un’amicizia profonda, semplice, fra donne che in fondo avevano lo stesso percorso, unite da «similitudini bizzarre», annota Agnello Hornby: «due donne che avevamo realizzato i nostri sogni professionali, entrambe madri, entrambe sposate con uomini intelligenti ma con i matrimoni che non andarono bene e che pur divorziando abbiamo mantenuto il cognome dei mariti» (il cognome di Eve, alla nascita, era Cohen). E di una storia di due amici, di due madri, di due mogli parla l’ultimo libro di Simonetta Agnello Hornby, Era un bravo ragazzo (Mondadori, pagine 240, euro 19,00). Siamo fra Sciacca e Pertuso Piccione, nella Sicilia occidentale nella terre delle origini della scrittrice: Giovanni e Santino hanno sognato entrambi un dolce riscatto, fra il volo di Gagarin, il cinema americano e la bellezza del paese in cui vivono. Giovanni deve soddisfare le ambizioni sociali della madre Cettina, Santino vuole salvare la madre Assunta dal destino equivoco al quale si è esposta per mantenere la famiglia. Cosa succederà quando saranno grandi? E cosa vuol dire diventare grandi in una Sicilia sognata che non smette di sognare? Con una mafia che magari non spara ma governa l'economia dell'isola? Con il potere feroce della famiglia e il desiderio struggente di tornare lì dove sono radicate identità e speranza? Fra Simonetta Agnello Hornby e Eve Arnold ci sono meno domande e tormenti.

Monica Poggi (curatrice della mostra) e Simonetta Agnello Hornby. Musei di San Domenico, Forlì.

Monica Poggi (curatrice della mostra) e Simonetta Agnello Hornby. Musei di San Domenico, Forlì. - Foto di Genny Cangini

«L’amicizia con Eve è stata speciale. Arrivata quando lei era già anziana. E in pace. Mi ha insegnato l’umiltà, la generosità, la fatica, che bisogna impegnarsi duramente per ottenere e mantenere. Soprattutto mantenere. Difendeva le donne, senza essere mai femminista. “Siamo talmente piccole noi donne che se non parliamo in piedi, nessuno si accorge che ci siamo”, diceva. Ma si sbagliava, perché quando Eve entrava in una stanza, si vedeva e come... E poi mi colpiva la sua femminilità. Curava il suo abbigliamento, pur essendo semplicissimo. Andava dal parrucchiere all’Hilton: costava, ma era vicino a casa. Ci teneva ad avere il suo chignon bianchissimo in ordine. Si truccò fino all’ultimo: circa un anno prima che morisse, doveva andarla a trovare un amico, e volle che le mettessi il rossetto. Era commovente. “Se vuoi te lo puoi mettere pure tu”, mi disse. “Grazie, non ne ho bisogno…”, risposi. E lei: “Ma mettilo, che ti fa bene”». Ecco il ritratto di Eve Arnold, da una scrittrice, come scrittrice era Eve. «Scriveva rigorosamente a mano. Era bravissima. Quando l’ho conosciuta, in realtà ancora non scrivevo. E la ammiravo». Poi Simonetta è diventata una grande scrittrice. Ed Eve ci ha lasciato immagini eterne che parlano senza bisogno di parole. Anche ora che non c’è più.

Simonetta Agnello Hornby, Musei di San Domenico, Forlì.

Simonetta Agnello Hornby, Musei di San Domenico, Forlì. - Foto di Genny Cangini


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