venerdì 15 settembre 2023
La scrittrice ruandese si è imposta come una delle voci più autorevoli in lingua francese. In "Sister Deborah" parla di un'antropologa che indaga sui riti millenaristi che attendono un Cristo nero
La scrittrice franco-ruandese Scholastique Mukasonga

La scrittrice franco-ruandese Scholastique Mukasonga - Utopia

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Esordiente nel 2006, all’età di cinquant’anni, con un racconto autobiografico che le ha subito conquistato l’attenzione della critica e dei lettori, Scholastique Mukasonga si è rapidamente imposta come una delle voci più originali della letteratura contemporanea di lingua francese. Ha pubblicato in rapida successione una decina di libri, il più recente dei quali, Sister Deborah, esce ora da Utopia (pagine 136, euro 18,00) all’interno di un progetto che vede affidata a Giuseppe G. Allegri la traduzione dell’intera opera dell’autrice. In precedenza, nel 2014, la casa editrice 66thand2nd aveva portato in Italia Nostra Signora del Nilo, il romanzo con cui Mukasonga ha definitivamente consolidato la sua reputazione internazionale. Anche in quel caso, come sempre accade nella sua produzione, rimangono evidenti le memorie di una drammatica esperienza personale, progressivamente decantata attraverso l’invenzione.
La sua è la storia di una ragazza ruandese di etnia tutsi, formatasi come assistente sociale dopo aver frequentato un liceo molto simile a quello raffigurato in Nostra Signora del Nilo e fuggita in Burundi già negli anni Settanta. Nel 1992 si stabilisce in Francia, poco prima che nel suo Paese di origine si scateni il genocidio nel quale moriranno 37 membri della sua famiglia. Tornata in Ruanda nel 2004, dieci anni dopo il divampare del massacro, consegna la sua testimonianza alle pagine di Inyenzi ou le Cafard, dando così inizio alla sua avventura letteraria.
Come nel precedente Kibogo è salito al cielo (uscito lo scorso anno da Utopia nella versione di Allegri), anche in Sister Deborah l’elemento dominante è costituito dall’esplorazione di un sincretismo religioso nel quale le credenze ancestrali africane si mescolano con le attese di un cristianesimo reinterpretato sotto la fattispecie del mito. La narrazione di Mukosanga risulta tutt’altro che rassicurante, dunque, specie per quanto riguarda la lontananza da cui sono scrutati i «padri Bianchi», ossia i missionari cattolici ai quali si contrappongono i «padri Neri», predicatori protestanti arrivati ancora più da lontano.
Dagli Stati Uniti, e non dall’Europa, provengono infatti il reverendo Marcus e la sua assistente-profetessa, Sister Deborah. Annunciano l’avvento di un Cristo africano e identificano nel Ruanda la terra promessa in cui si compirà la rivelazione e gli oppressi saranno finalmente liberati. Se il contenuto dei sermoni di Marcus, fantasiosamente tradotti da un interprete locale, viene recepito in maniera abbastanza accidentata, a essere comprese con chiarezza sono invece le virtù taumaturgiche di Sister Deborah, che per esercitare le sue pratiche arcane si serve di una misteriosa canna di ferro sormontata da un piccolo idolo femminile. Di prodigio in prodigio, un altro messaggio inizia a farsi strada: il Messia, quando tornerà, sarà nero, sì, e sarà una donna.
Mukasonga descrive, non parteggia, e lo fa servendosi del distacco garantito dal personaggio della narratrice, che è stata una delle bambine beneficiate da Sister Deborah e ha poi lasciato il Ruanda per diventare un’autorevole antropologa. Il suo principale campo di interesse è proprio quello dei nuovi culti africani, ma non è solo per scrupolo accademico che si mette sulle tracce della guaritrice. Sopravvissuta all’azione militare che aveva cancellato la spedizione guidata da padre Marcus, Sister Deborah vive in uno slum di Nairobi, si fa chiamare Mama Nganga e non ha mai smesso di officiare i suoi riti, nei quali l’eco del cristianesimo è diventata ormai irriconoscibile. Il risveglio che si attende è adesso quello della Madre Africa, contro la quale si scaglia un altro predicatore evangelicale, Ézéchiel. Mancano le prove, ma è forte il sospetto che questo accusatore spietato sia in realtà lo stesso Marcus, che nel frattempo ha completamente mutato opinione. Se prima propugnava il ritorno degli afroamericani nel continente degli avi, dove sarebbe stata apparecchiata per loro la salvezza, ora propone il percorso opposto, dall’Africa agli Stati Uniti, sempre nel segno di un millenarismo apocalittico.
Di sicuro c’è solamente che un altro eccidio si consuma nella township in cui si nasconde Mama Nganga, la cui eredità rimane vagante. La ricercatrice si spinge fino a visitare un goethiano Tempo delle Madri e lì il suo viaggio si arresta, in una estrema forma di fedeltà al vero messaggio della guaritrice: «Lo spirito ignora le date umane –afferma –, non conosce né ieri né domani. Se rispondesse all’appello degli uomini, alle aspettative delle donne, verrebbe meno la speranza». Un assunto decisamente ambiguo dal punto di vista teologico, ma che non per questo può essere ignorato. Anche a livello geopolitico, il magma spirituale dell’Africa è un fenomeno troppo spesso sottovalutato, dal quale si preferisce distogliere lo sguardo per fastidio o per imbarazzo. Un libro come Sister Deborah e, in generale, tutti gli scritti di Mukasonga offrono un contributo importante alla comprensione. Non chiedono il consenso, si limitano a sollecitare l’ascolto. E obbligano ciascuno di noi a domandarsi quanto sia ancora viva nel mondo di oggi la fiducia nel Regno.

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