venerdì 7 luglio 2023
Lui padre della pittura astratta, lei esoterica indagatrice del senso mistico del colore e delle forme, oggi sempre più ricercata dal mercato. In mostra alla Tate Modern
Hilma af Klint, “The Swan, The SUW Series, Group IX, No. 17", 1914-1915

Hilma af Klint, “The Swan, The SUW Series, Group IX, No. 17", 1914-1915 - Courtesy of The Hilma af Klint Foundation

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Se Piet Mondrian non ha bisogno di presentazioni, è difficile che il pubblico italiano abbia sentito nominare Hilma af Klint. L’artista svedese è oggetto negli anni più recenti di una forte riscoperta, in particolare in area anglosassone, come pioniera dell’astrazione. Af Klint e Mondrian sono quasi perfettamente contemporanei – la prima nasce nel 1862, il secondo 10 anni dopo, entrambi muoiono nel 1944 – e percorrono una strada comune senza che le loro biografie si siano però mai intrecciate. L’avvio comune è in paesaggi sotto il cui naturalismo pulsa un’anima simbolista; quando quest’ultima prende il sopravvento, complice l’adesione alla teosofia, lo stile si fa sempre più sintetico; l’approdo finale è l’astrazione. Questa trama estremamente succinta consente di ipotizzare il modello narrativo più che classico delle “vite parallele”, ed è quello che fa – per la prima volta – la Tate Modern a Londra, mettendo alla prova le due figure. Si tratta in sostanza di una doppia retrospettiva – i lavori, come le loro vite, non si intrecciano quasi mai in un confronto diretto – con circa 250 opere, tra dipinti, disegni e materiali d’archivio (Forms of life, fino al 31 settembre).

Pare utile sostare ancora un istante su questo doppio binario. In contemporanea la Tate Britain propone “The Rossettis”, mostra che racconta in un flusso unitario non tanto l’epopea preraffaellita ma il clan artistico costituito da Dante Gabriel e dalla sorella Christina e quindi da Elizabeth Siddal, la modella e poi moglie di Dante, di cui una volta sposata aveva asssunto il cognome (da cui il titolo al plurale della mostra), ma soprattutto artista in proprio. Le due mostre della Tate assolvono in sostanza a un medesimo compito critico: lavorare sulla storia dell’arte “femminile”, senza però isolarla dal contesto – è il rischio delle numerose mostre-ritratto o di gruppo ma sempre “di genere”, in cui l’elemento di rivalsa non di rado è più forte di quello scientifico. E soprattutto senza forzature. Scopo della mostra alla Tate Modern non è dunque tanto mostrare la bravura della misconosciuta af Klint rispetto alla celebrità maschile Mondrian ma, restituendo una figura importante alla storia dell’arte e alla conoscenza del pubblico, portare alla luce la trasversalità di fenomeni culturali, teorie filosofiche, scoperte scientifiche, cambiamenti sociali di cui i due corpus artistici costituiscono una incarnazione e una amplificazione.

Piet Mondrian, “Metamorphosis”, 1908

Piet Mondrian, “Metamorphosis”, 1908 - Kunstmuseum Den Haag

Lo spunto per entrambi, dunque, è il fascino per il mondo naturale. Hilma af Klint, figlia di una ricca famiglia svedese da cui avrebbe desunto l’interesse per la matematica e la botanica, aveva avuto modo di immergervisi durante le estati dell’infanzia sull’isola di Adelsö, nel lago Mälaren. Af Klint venne ammessa all’accademia di Stoccolma all’età di vent’anni, laureandosi con lode. Fino al 1908, anno in cui incontra Rudolf Steiner, dipinge e vende ritratti e paesaggi in stile tradizionale, ma dal 1905 lavora in parallelo a un corpus di dipinti “mistici”, che non dovevano essere visti in pubblico per almeno 20 anni dopo la sua morte. Già dagli anni ‘80, in concomitanza con morte della sorella, af Klint si era interessata allo spiritismo, per iscriversi nel 1904 alla Società teosofica. A lungo Hilma af Klint ha dichiarato di dipingere come medium sotto l’influsso di una guida spirituale chiamata Amaliel. Si segnala già qui uno dei punti di divergenza tra Mondrian e l’artista svedese.

Per quanto impossibile da disgiungere dalla teosofia, lo spirituale nell’arte di Mondrian è lontano da fenomeni medianici e si articola come progresso intellettuale, una discesa nel cuore geometrico e vibrante della realtà. Per entrambi il sentiero è però botanico, e i fiori e soprattutto gli alberi sono il campo sperimentale. Le forme della natura sono infatti il frutto, il fenomeno di forze profonde. Lo rivelavano d’altronde anche la scopervo ta dei raggi X, della radioattività e degli elettroni, ma anche quella dell’inconscio. Esiste un mondo invisibile, ma estremamente reale, che andava manifestato. La fortuna di movimenti esoterici come la teosofia e l’antroposofia fu la capacità di conciliare il religioso e il mistico con il mondo moderno. Non senza una buona dose di opaca nebulosità: scienze e occulto diedero vita alle scienze dell’occulto. Un matrimonio impossibile, eppure perfettamente riuscito. Hilma af Klint approda così a dipinti di grandi dimensioni che sviluppano in chiave sempre più astratta un elemento teorico quasi in forma narrativa. Si tratta anzi dipinti quasi dogmatici – la teosofia per altro si proponeva come punto di fusione delle religioni mondiali. Sono opere che richiedono di essere viste in sequenza: da un sistema di opposizioni yin e yang (cigno bianco e un cigno nero) si procede verso una sintesi sempre maggiore: cubi e forme elementari come il cerchio e il triangolo.

I The Ten Largest, dipinti di formato gigante che riassumono l’esistenza umana, sono oggettivamente impressionanti. Elementi organici, grafici e astratti sono combinati in superfici che ricordano arazzi e tappeti. Hanno certamente misura e funzione ambientali. Decorativi, forse, ma efficaci. In un certo senso Hilma af Klint è una sorta di reincarnazione modernista di Ildegarda di Bingen. Le sue opere, dal simbolismo spinto e verboso, sono oggetto di visioni e hanno un contenuto dichiaratamente cosmico e sistemico. E come nell’immagine medievale, sono allegorie in cui ogni elemento ha un corrispetti concettuale. Una Ildegarda che abbia lasciato la Bibbia per Steiner e Jung, ma che ha anche letto Linneo, Swedenborg, la teoria dei colori di Goethe e ascoltato Lohengrin e Parsifal. È qui l’altro punto di divergenza essenziale con Mondrian. L’approdo all’astrazione passa per la rimozione dell’elemento narrativo e simbolista. È la ricerca di un linguaggio puro, persino prelogico: l’arte di Mondrian non racconta né mostra la struttura del cosmo, è la struttura del cosmo. Questo fa sì che ogni dipinto di Mondrian sia completo in sé: un tutto autonomo. Si potrebbe dire che se i dipinti di Hilma af Klint sono discorsi, quelli di Mondrian sono gesti. E per questo impossibili da replicare senza scadere nel plagio.

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