martedì 12 ottobre 2021
A 95 anni si è spento l’eclettico attore romano. Voce radiofonica, teatrale, cantò l’operetta e per Fellini era «il miglior doppiatore» Ma non è stato mai capito fino in fondo
Addio Elio Pandolfi, talento scanzonatissimo
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Non è vero, è sicuramente uno scherzo di Elio. È la prima cosa che ho pensato al risveglio appresa la notizia della morte di Elio Pandolfi. A 95 anni, se ne va un piccolo genio dello spettacolo d’arte varia, che, sia detto per inciso, non ha avuto il giusto onore e lo spazio adeguato nell’intronata routine dello showbiz. L’ultima volta che l’abbiamo incontrato è stato con il fraterno amico comune Marco Scolastra. Ci presentammo nella sua casa romana, e per comprendere chi fosse Elio Pandolfi basta ricordare questa gag, improvvisata. Suoniamo al citofono e risponde: «Salite al primo piano, la salma di Elio Pandolfi qui giace... ». Apriamo la porta dell’appartamento e lo troviamo in corridoio, seduto in carrozzina («per colpa de ste’ ginocchiacce, senno’ cammino ancora ») mentre era assorto in preghiera davanti a una stanza oscura, allestita a mo’ di camera ardente, con tanto di lumini: «Vedete, è lì che riposa la buonanima di Elio...».

“È morto Pandolfi, viva Pandolfi!”, direbbe Massimo Troisi che può abbracciarlo lassù, assieme alla nutrita schiera dei comici, attori, e commedianti amici che lo aspettavano da un po’. «Gli ho chiesto una proroga, perché quaggiù c’ho ancora da fare», disse ridendo quel giorno. Proroga scaduta. Tutti i compagni di corso dell’Accademia Silvio D’Amico – anno accademico 1945 – di cui snocciolava nomi e annessa anedottica sono lì pronti ad abbracciare il loro caro Elio. Si tratta di Nino Manfredi, Tino Buazzelli, Rossella Falk, Franca Valeri, Gianrico Tedeschi, Luciano Salce, Marcello Mastroianni e Paolo Panelli. Di sicuro il primo ad andargli incontro sarà stato proprio Panelli assieme alla moglie Bice Valori che come Anna Magnani morivano dalle risate per la sua esilarante imitazione della gallina. «Fino a che ho potuto andavo a trovare Panelli al Verano, gli portavo i soldatini sulla tomba e gli leggevo l’ultimo numero di Tex. Me lo aveva chiesto Paolo come ultimo desiderio post-mortem».

La coppia, anche artistica Valori e Panelli negli anni ’60 stava al cinema e alla tv come Elio Pandolfi e Antonella Steni al teatro e alla radio. «Undici anni assieme alla Steni, in teatro, il grande successo di Scanzonatissimo alla radio (divenne anche un film), e con noi anche l’inimitabile Alighiero Noschese. Poi, stop. Alla Rai ci consideravano dei guitti, ci dissero: “Non potrete mai fare i conduttori”». Segnali preoccupanti di un ostracismo ingiusto verso quel talento che giovanissimo durante la guerra aveva debuttato da speaker alla Radio Vaticana. «Rischiai l’incidente diplomatico... Mentre andavo in onda una cavalletta entrò nella stanza e si posò davanti al microfono un istante prima del saluto in diretta, proprio mentre dovevo prodi nunciare la frase di rito: “Buon giorno, qui è la Radio Vaticana: sia lodato Gesù Cristo”.

Dal grande terrore per la bestiola che mi derivava da un trauma infantile, dissi: “Qui parla Gesù Cristo, sia lodata la Radio Vaticana!”. Una figura da cani», raccontava Elio storcendo buffo quella bocca che modulava per dare sfogo alle mille voci del grande schermo che lo abitavano. Per Federico Fellini «“Pandolfino” è il miglior doppiatore italiano». Doppiò perfino Anita Ekberg in Boccaccio ’70 ma poi, nonostante le grandi capacità attoriali, gli riservò solo piccoli ruoli in 8 1/2e in Satyricon.

Eppure al cinema Elio era apparso già nel ’52 in Altri tempi - Zibaldone n. 1 di Alessandro Blasetti. I gran- registi lo volevano a corte, lo lodavano, ma continuarono, fino alla fine, a non offrirgli parti di rilievo. «Luchino Visconti mi faceva esibire nel salotto della sua villa sulla Salaria e poi mi scritturò in teatro per L’impresario delle Smirne «Le musiche erano di Nino Rota », sottolineava Pandolfi che è stato anche cantante d’operetta e l’ultima fase della sua vita l’ha spesa a duettare in spettacoli per voce e pianoforte con il maestro Marco Scolastra. «Ricordo la sua grande gioia quando ci invitarono al Quirinale per eseguire l’Enoch Arden, il melologo di Strauss – ricorda Scolastra – . Elio possedeva dei tempi comici, tra il cantato e il parlato, che rasentavano la perfezione musicale. Mi mancherà molto...». Mancheranno le sue battute fulminanti di chi cercava come il pane il consenso del pubblico e non certo i premi, «quelli, i premi, li fanno sempre a forma di lapide, diceva il mio caro Marcello (Mastroianni)».

È stato un maestro disincantato Pandolfi che ha insegnato tanto e a tanti, senza mai salire in cattedra. «Molti giovani mi scrivono che hanno fatto una tesi di laurea sul sottoscritto e mi chiedono una copia della mia autobiografia Che spettacolo! (Gremese, a cura di Caterina Taricano)» raccontava orgoglioso Elio in quell’ultima giornata assieme. Congedandoci si commosse al ricordo delle persone più care della sua lunga vita: «Papà, era un bidello, amatissimo e ricordato dagli studenti del mio istituto di ragioneria, il Gioberti. E lì che ho cominciato con le mie prime imitazioni... Ringrazio sempre mia madre che ha capito i miei talenti e poi Bice Valori che li ha fatti apprezzare a coloro che li ignoravano».

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