
Il giornalista sportivo Bruno Pizzul (1938-2025) scomparso ieri all’età di 86 anni - Alberto Cattaneo/Ipa
Per generazioni di appassionati era diventata una voce di famiglia. Il ricordo di chi è cresciuto con le sue telecronache oggi è unanime: Bruno Pizzul, scomparso ieri a 86 anni, si porta via anche un po’ delle nostre vite. Una figura simbolo del giornalismo sportivo italiano, nato a Udine l’8 marzo 1938. E lì nella sua amata terra friulana era iniziata anche la sua carriera da calciatore. Pro Gorizia, Catania, Ischia e Cremonese alcune delle squadre in cui militò prima che un infortunio al ginocchio lo costringesse ad abbandonare l’agonismo. Assunto dalla Rai nel 1969, la sua prima telecronaca risale all’8 aprile 1970, in occasione dello spareggio di Coppa Italia tra Juventus e Bologna. Ha commentato i grandi successi del Milan di Sacchi in Europa, ma anche il dramma del 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles. Voce della Nazionale italiana in cinque Mondiali e quattro Europei, ha accompagnato gli azzurri per quasi due decenni senza mai aver avuto il piacere di celebrarne una vittoria. Nel 2002 l’ultima telecronaca della Nazionale: la sconfitta per 1-0 a Trieste con la Slovenia. « Ringraziamo comunque i ragazzi per le emozioni che ci hanno dato. È stato un piacere raccontare la Nazionale, nonostante tutto». Chi lo conosceva bene lo ricorda come un signore, con le cuffie e senza, entrato nel cuore dei tifosi italiani per il suo garbo e il suo stile davvero d’altri tempi. « Delle telecronache di oggi – disse una volta - non amo le frasi ridondanti, la valanga statistica e neppure l’uso smodato delle telecamere e delle inquadrature: rubano l’attenzione. Alcuni giornalisti, anche bravi, in conduzione si atteggiano a showman, a comici. Tutto ciò che è autoreferenziale non va bene. Il cronista non è un attore». Eppure con il suo timbro inconfondibile è riuscito a lasciare il segno. «Signori all’ascolto, buonasera. Siete collegati in diretta con lo stadio...». Cominciavano così i suoi collegamenti. « Partiti! » era la parola d’ordine per il calcio d’inizio. E poi via a un’antologia di frasi diventate patrimonio di tutti i calciofili: “Tutto molto bello”, “grappolo di uomini”, “bandolo della matassa” o quel “cincischia” quando un giocatore perdeva tempo. Fino al proverbiale “Ed è gol” entrato perfino nei videogiochi. Una vita in telecronaca senza mai dimenticare le sue origini e la sua fede, lui che è cresciuto nell’Azione Cattolica. Lo stesso amore per il calcio era iniziato in oratorio. In una intervista del 2018 al settimanale diocesano di Udine “La Vita Cattolica”, ricordava in particolare un giorno, rimasto impresso nella sua memoria di bambino. « Il prete, il nostro don Rino Coccolin, che si chiamava in realtà Pietro e che sarebbe diventato arcivescovo di Gorizia, riuscì a trovare un pallone. L’unico a disposizione di tutti i ragazzi del paese, attorno al quale si formava quotidianamente una processione per riuscire a fare una partita». Un legame con gli oratori rimasto intatto per sempre, tant’è che quando veniva invitato si prestava volentieri a fare da telecronista dei tornei oratoriali. Nel 2002 al settimanale “Maria con te” svelò un altro aspetto della sua fede: « Ho sempre avuto una particolare attenzione verso il culto mariano. Fin da quando ero ragazzino, ma direi quasi adolescente, andavo a dormire con una statuina della Madonna sotto il cuscino e se non ce l’avevo non riuscivo a prendere sonno, mi faceva sentire al sicuro». Illuminante anche un altro aneddoto di quell’intervista: « All’età di quattro anni, mi ricordo che nel momento in cui a Natale mamma andò a prendere la statuina di Gesù per metterla nella mangiatoia, non la trovò: alla fine scoprì che l’avevo messa nel forno della stufa perché non patisse freddo mentre aspettava di essere disposto nel presepe »… Così come la tradizione del Rosario: « Lo recito fin da bambino. Al mio paese durante il mese mariano si partecipava tutti al Rosario delle 20. C’era un momento di fibrillazione fra noi ragazzini quando iniziava qualche partita di Coppa dei Campioni alle 20.30 ed era in corso questa orazione… Sapendo della nostra impazienza alcuni sacerdoti acceleravano un pochino la recita delle decine, poi guardavamo tutti insieme la partita alla televisione della parrocchia. Un bel momento di condivisione». Una fede custodita anche in famiglia: «Oggi continuo a recitare il Rosario in casa con mia moglie e amici cari». Agli affetti era tornato una volta deposto il microfono e chiuso col calcio. A casa per godersi le sue passioni (il vino), le carte, la bici e l’amata moglie Maria, i suoi tre figli e gli undici nipoti, il suo “squadrone” personale. Pizzul, che ha sempre asserito di sentire la presenza di Dio al suo fianco, sapeva che la telecronaca più importante era quella della partita senza fine a cui siamo chiamati. Una missione, come si evince dall’introduzione al libro sui nonni di papa Francesco ( Nonni, Ave 2016): « Ai nonni – scriveva Pizzul –, che hanno avuto il dono di veder crescere i figli dei figli, spetta il compito fondamentale di trasmettere saggezza, esperienza di vita, moderazione e la cultura che ne deriva».