lunedì 12 settembre 2022
Nato a Madrid nel 1951, era uno degli scrittori in lingua spagnola più importanti del mondo
Lo scrittore spagnolo Javier Marías

Lo scrittore spagnolo Javier Marías - Epa/J.P. Gandul

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Si è spento domenica, in maniera del tutto inattesa, Javier Marías, pare per l'infausta evoluzione di una polmonite bilaterale (il che potrebbe suggerire che siamo di fronte a un'altra vittima illustre della pandemia). Nato a Madrid nel 1951, era uno degli scrittori in lingua spagnola più importanti del mondo. Figlio del filosofo Julian Marías (allievo e massimo interprete del pensiero di José Ortega y Gasset), da ragazzo è vissuto per lunghi periodi negli Stati Uniti, dove il padre insegnava.

Laureato in letteratura inglese, nella prima metà degli anni Ottanta ha insegnato letteratura spagnola e teoria della traduzione sia presso la Oxford University in Gran Bretagna sia al Wellesley College nel Massachussetts, per poi passare all'Università Complutense di Madrid. Ben presto però la scrittura letteraria - che aveva preso le mosse con il precoce romanzo d'esordio "I territori del lupo", pubblicato nel 1971 e tradotto in italiano nel 2013 da Einaudi (editore di quasi tutti i suoi libri nel nostro Paese) - è diventata per lui l'attività principale.

Da noi i suoi libri cominciano a essere pubblicati e apprezzati a partire dalla fine degli anni Novanta, ma è soprattutto all'alba del nuovo millennio che ottengono grande successo e prestigiosi riconoscimenti: tra questi ricordiamo, nel 2000, il premio Flaiano e il Grinzane Cavour e, quest'anno, il von Rezzori per il suo ultimo romanzo, "Tomás Nevinson", opera che, tenendo sullo sfondo episodi reali del terrorismo europeo (in particolare alcuni attentati dell'Ira e dell'Eta), svolge una riflessione sui limiti di ciò che è lecito fare e sulle nefaste conseguenze che a volte accompagnano la volontà di evitare il male peggiore. Temi ricorrenti della narrativa di Javier Marías sono infatti, più in generale, la poliedricità dell'esperienza umana, l'impossibilità di spiegarla completamente, l'incapacità di decifrare ciò che ci circonda: la realtà, compreso il passato con le narrazioni che di esso vengono offerte, è passibile di molteplici letture, sicché non è mai facile offrirne un'interpretazione univoca.

Tra gli altri suoi romanzi più importanti, tradotti complessivamente in oltre trenta lingue, ricordiamo: "Un cuore così bianco" (1992), in cui un segreto familiare è causa di inquietudine per il protagonista, che si conduce suo malgrado a riandare ai fantasmi del passato; "Domani nella battaglia pensa a me" (1994), forse il suo titolo più celebre, dove la morte improvvisa di un'amante occasionale spinge il protagonista a indagare ossessivamente nella vita della donna; "Gli innamoramenti" (2011), «cartografia dell’amore e dei sentimenti», ha spiegato l'autore, «in cui tutto ciò che crediamo di sapere sulla vita e sulla morte viene messo in dubbio».

Javier Marías è stato anche autore di racconti, tra i quali spiccano le seguenti raccolte: "Mentre le donne dormono" (1990), antologia di testi composti nell'arco di trent'anni; "Vite scritte" (1992), silloge di biografie di grandi scrittori; "Nera schiena del tempo" (1998), il cui tema centrale è la riflessione sulla parola e sulla scrittura; "Selvaggi e sentimentali: parole di calcio" (2000), raccolta di oltre quaranta articoli comparsi originariamente sul quotidiano “El País”, che, prendendo spunto dal gioco del calcio, assume il carattere di un libro di memorie e confessioni.

Intensa è stata anche l'attività di Marías come traduttore, avendo egli reso in spagnolo molti autori, soprattutto inglesi: da Sterne a Conrad, da Stevenson ad Hardy. Dal lavoro di traduttore diceva di aver imparato tanto anche per quello di scrittore. «Tradurre mi è servito moltissimo», ha dichiarato. «Soprattutto a calibrare le parole. Non credo nelle scuole di scrittura: penso che si possa insegnare come non bisogna scrivere, ma che sia difficile spiegare come si dovrebbe farlo. Tuttavia, se mai dovessi dirigerne una, richiederei come prerequisito agli aspiranti corsisti la conoscenza di una o più lingue straniere, e li farei tradurre. "Riscrivere" e "ricreare" un grande libro (perché per me questo è il compito del traduttore), è il modo migliore per imparare a farne altri».

Avevo avuto occasione di incontrare Javier Marías nel 2010, in occasione della pubblicazione italiana di "Veleno e ombra e addio", terzo volume del suo romanzo-fiume "Il tuo volto domani" (i primi due tomi si intitolavano rispettivamente "Febbre e lancia" e "Ballo e sogno"). Gli avevo chiesto se per uno scrittore come lui contasse maggiormente l'arte o la vita vissuta. «L’arte è importante, ma ovviamente conta anche l’esperienza della vita. In ogni caso anche ciò che vive, lo scrittore deve poi reinventarlo, immaginarlo in termini narrativi. Quindi chi scrive è tenuto continuamente a rivisitare in forma di racconto le cose che gli accadono e i fatti di cui è protagonista. Perché la vita, in sé, senza questo filtro, sarebbe materiale inerte». Ora che ci ha lasciati, rimangono le grandi figurazioni narrative dei suoi romanzi.

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