mercoledì 8 novembre 2023
Quello del pensatore latinoamericano, morto domenica, è stato uno dei contributi principali alla rottura del sistema di dominazione eurocentrico per processi di ricostruzione della propria identità
Il filosofo Enrique Dussel (1934-2023)

Il filosofo Enrique Dussel (1934-2023) - WikiCommons

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Enrique Dussel, nato nel 1934 e morto domenica scorsa (5 novembre 2023) - filosofo argentino naturalizzato messicano e con lontane origini italiane – è ritenuto a buon diritto il fondatore della filosofia della liberazione, che rappresenta forse il contributo più originale elaborato dal pensiero latinoamericano. Ho avuto l’avventura di conoscere e frequentare Dussel, col quale avvenivano lunghe conversazioni che egli definiva ironicamente “oceaniche”, poiché i popoli del Sud del mondo, diceva, prendono la parola definitivamente.

La filosofia della liberazione rappresenta un tentativo di soluzione della drammatica situazione in cui versano il Terzo Mondo e, oggi, quasi la metà del pianeta, che vive nell’emarginazione e nell’esclusione (Etica della liberazione nell’epoca della globalizzazione e dell’esclusione, 1998). Dinanzi a certi attitudini contrassegnate dal cinismo, è necessaria, come ritiene Apel – col quale Dussel ha instaurato un fecondo dialogo tra l’etica del discorso e quella della liberazione (Etica del discorso ed etica della liberazione, 1999) , un’etica universale. In effetti Dussel parte dalla situazione di sottosviluppo del Terzo Mondo elaborando una filosofia della liberazione che non elude una fondazione universale sul piano antropologico-metafisico. Tale impostazione rappresenta un coerente sviluppo della stessa filosofia latinoamericana che, sorta come questione antropologica - l’identità dell’uomo del nuovo mondo -, ha affrontato il problema dell’universalità senza trascurare la peculiare circostanza storica.

Dussel parte dalla situazione di sottosviluppo-dominazione quale negazione costitutiva e storica dell’esteriorità dell’altro, come si evince dalla teoria della dipendenza - che ha smascherato il miraggio del “falso sviluppo”, secondo cui tutti i popoli devono seguire il modello di sviluppo dell’Occidente post-capitalista e post-moderno, invece di ricercare una via propria ed originale -; e dalla ben nota teoria denominata “eurocentrismo” dalle valenze non solo socio-economiche ma anzitutto ed essenzialmente storico-culturali. Più che di scoperta dell’America nel 1492 si può a buon diritto parlare di “occultamento dell’altro” (L’occultamento dell’altro. Alle origini del mito della modernità, 1993). L’America Latina, che non è stata moderna, non può essere considerata irrazionale, dal momento che rappresenta la parte dominata e sfruttata dalla modernità eurocentrica; né si può indulgere verso attitudini pre-moderne (conservatrici) e neppure post-moderne, contrassegnate dal nichilismo quale conseguenza di una civiltà che vive nell’abbondanza, in contrasto con una situazione di sottosviluppo. Di qui l’Esodo, inteso come rottura del sistema di dominazione onde avviare un processo di ricostruzione della propria identità, i cui elementi sono costituiti da una metafisica dell’esteriorità incentrata sul riconoscimento dell’altro come persona distinta - non differente.

La categoria dell’Alterità non ha più valenza solo sul piano privato ma assurge a dimensione di etica pubblica. In un primo momento, Dussel mutuò suggestioni dall’ermeneutica di Ricoeur che lo aveva aiutato a «recuperare il mondo simbolico popolare latinoamericano». Ma ben presto percepì che quelle suggestive analisi erano funzionali alla visione del mondo europeo-occidentale; di qui la constatazione secondo cui là dove termina l’indagine ricoeuriana, là inizia la filosofia della liberazione, secondo quanto emerge nel celebre libro Filosofia della liberazione (Queriniana 1992). Grazie all’influsso decisivo di Lévinas, che lo aveva «svegliato dal sonno ontologico hegeliano e heideggeriano», Dussel operò il passaggio dall’ontologia alla metafisica dell’esteriorità dell’altro che dev’essere messo al primo posto nell’incontro faccia-a-faccia. Contrariamente a Ricoeur , il prendersi cura , la responsabilità per l’altro è anteriore ad ogni coscienza riflessa .Si tratta di un circolo, ma che l’altro incomincia - almeno su questo punto la filosofia della liberazione dà ragione a Levinas, la cui posizione risulta però inadeguata perché non implica una critica al sistema della totalità vigente.

Dussel, che parte dalla corporeità sofferente del povero, il cui appello esige giustizia sulla base del riconoscimento della sua alterità personale, si richiama alla prossimità che, grazie alla sincronia a-temporale permette di restare con l’altro in un’esteriorità escatologica. «Sin dal faccia-a-faccia del rapporto madre-figlio nel lattante... la prossimità è la parola che meglio esprime l’essenza della persona , la prima (archeologica) ed ultima (escatologica) pienezza». Per conoscere l’altro è ineludibile, pertanto, l’esperienza dell’incontro interpersonale , ovvero della “prossimità” distinta dalla “prossimia”, alla luce di una originale teoria epistemologica, che implica il superamento della dialettica hegeliana in nome del metodo analettico onde fondare la categoria dell’esteriorità non mediante il principio della differenza, che postula l’identità sulla base dell’analogia, bensì della distinzione, che si pone all’esterno dell’identità. Si tratta, dunque, di una trasformazione che implica il superamento di ogni egemonia per liberare il distinto onde poterlo cogliere nella sua irriducibile peculiarità.

Il metodo analettico non costituisce solo la fondazione epistemologica della filosofia della liberazione , giacché include sin dall’origine un’opzione etica e comporta una prassi concreta tendente al cambiamento del sistema vigente. Di qui il ruolo della politica, che assurge addirittura a filosofia prima, anche tramite l’apporto del marxismo, interpretato in modo originale da parte di Dussel, anche se ciò pone numerosi interrogativi sia sul piano storico-ermeneutico sia sul versante etico-politico. L’etica della liberazione, che non implica una teoria deterministica della storia, trasforma l’etica della compassione in un’etica della solidarietà, per cui la giustizia implica la responsabilità per l’altro riconosciuto come persona originale e distinta, ma uguale agli altri , partendo dalla situazione del discorso negato connessa all’alienazione dell’uomo. Dussel ha elaborato una macroetica specialmente riguardo ai rapporti Nord-Sud del mondo. Dinanzi alla disuguaglianza sociale a causa della situazione di strutturale dominazione-dipendenza eurocentrica, la corresponsabilità solidale nei confronti dei poveri del Terzo mondo assume i caratteri della parzialità, che corre il rischio del dogmatismo, mentre il cinismo costituisce il pericolo di un’etica che parte dai discorsi pratici mettendo in secondo piano le condizioni economico-politiche. Di qui la presa di coscienza etica dell’oppresso sfociante nella “ricostruzione” - e non nella “riproduzione” - della sua identità e del proprio mondo vitale.

La filosofia e l’etica della liberazione possono ancora offrire un contributo in un’epoca come l’attuale contrassegnata dalla “fine delle grandi narrazioni” (Lyotard)? Bisogna in ogni caso volgere lo sguardo al futuro. E l’avvenire non può che perseguire l’ideale - utopico ? - basato sull’uguaglianza di tutti gli uomini, dopo aver finalmente estirpato quei pregiudizi sull’indole degli indios tuttora soggetti ad un inesorabile processo di estinzione , nonostante tanti sforzi e prese di posizioni dell’opinione pubblica. Occorre , inoltre, rigettare certe nostalgie positivistiche di ieri e di oggi basate sull’inferiorità della razza; anzi, da questo lato, l’America rappresenta un ideale dalla portata universale, al quale anche l’Europa sta accostandosi, non senza contraddizioni, come emerge dal problema dell’immigrazione: quello della “razza cosmica” già preconizzato da Vasconcelos (La raza cosmica: mision de la raza iberoaméricana, 1925). L’America si basa sull’ibridismo , sulla mescolanza di razze; si tratta di una condizione alla quale quei popoli sono stati inizialmente obbligati , ma in seguito hanno ritenuto quasi naturale la convivenza con europei, creoli, africani. Di qui scaturisce non la falsa tesi dell’inferiorità della razza, ma l’utopia di una razza di razze, di una cultura delle culture, sulla base non più della sopraffazione e della violenza, ma della solidarietà nel riconoscimento della differenza nell’uguaglianza. In un mondo come quella attuale, dove la globalizzazione, la post-globalizzazione e l’interdipendenza costituiscono una condizione quasi inesorabile , risulta anacronistica ogni supremazia totalizzante.

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