mercoledì 18 luglio 2018
In Italia per presentare il suo nuovo libro “Mesopotamia”, l’intellettuale e musicista di Charkiv, dove fu vittima di un’aggressione, denuncia: «La guerra ha cambiato tutto, persino la nostra lingua»
Lo scrittore Serhij Žadan

Lo scrittore Serhij Žadan

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«La cultura è un’arma nella guerra ibrida che stiamo combattendo in Ucraina da quattro anni. Ma a differenza della politica è capace di unire il paese senza ricorrere alla propaganda o al populismo ». Serhij Žadan non è soltanto il più famoso scrittore ucraino contemporaneo, ma è anche una delle icone dell’Ucraina post-Maidan. È quindi naturale che sia diventato proprio lui l’anima della rinascita culturale del suo paese, il poliedrico capofila di una scena intellettuale che lo vede impegnato anche come poeta, compositore e musicista. Nelle prime settimane della rivoluzione arancione fu aggredito e picchiato da un gruppo di manifestanti filo- russi nel centro di Charkiv, la città dove vive. La sua immagine con il volto insanguinato, scortato da due poliziotti, fece il giro del mondo e divenne uno dei simboli dell’onda democratica che travolse il suo Paese. Oggi ha poco più di 40 anni, ma ha già all’attivo una ventina di libri, tra romanzi e raccolte di poesia, ed è un intellettuale militante che ha scelto di non abbandonare l’Ucraina al suo destino e di diventare anche un ambasciatore della sua cultura in tutto il mondo. Organizza iniziative umanitarie, tiene conferenze nelle università statunitensi che sfociano spesso nella politica, visita periodicamente i soldati impegnati nei fronti di guerra nel Donbas e ha dato vita a una fondazione benefica che fornisce aiuti umanitari alle città colpite dal conflitto. Lo abbiamo incontrato a Firenze, durante una tappa del tour che l’ha portato in giro per l’Italia a presentare Mesopotamia ( Voland, pagine 366, euro 18,00; traduzione di Giovanna Brogi e Mariana Prokopovyc), un romanzo a episodi che racconta con una metafora geografica la città di Charkiv, anch’essa attraversata da due fiumi, situata a pochi chilometri dal confine con la Russia. Aveva invece descritto il paesaggio industriale dell’Ucraina orientale nel precedente La strada del Donbas, un’opera acclamata dalla critica internazionale come uno dei migliori romanzi dell’era post-sovietica. I personaggi che Žadan tratteggia con una prosa a un tempo lirica e frenetica sono di solito in lotta alla ricerca della propria identità in ambienti ostili e violenti. Entrambi i romanzi li ha scritti però prima che divampasse il conflitto nella primavera del 2014. «La guerra ha cambiato tutto – spiega –, non ha stravolto soltanto la vita delle persone, ma anche la lingua e la letteratura che sta cercando una nuova voce per esprimere quanto sta accadendo. Tra la gente è forte la consapevolezza che il nostro paese non tornerà più a essere quello di prima». Žadan ha sentito il bisogno di raccontare quella guerra con gli occhi dei civili non combattenti: l’ha fatto con Internat (“Orfanotrofio”), il suo nuovo romanzo attualmente in corso di traduzione in inglese, in tedesco, in russo e in romeno. Un’opera realistica e crudele che è stata definita una versione ucraina di La strada di Cormac Mc-Carthy, dove il protagonista è un giovane insegnante statale che vive in un piccolo paese e non comprende ciò che sta accadendo attorno a lui. Un giorno, uscendo di casa, osserva il passaggio delle truppe e decide di andare a prendere suo nipote, che vive in città, in un orfanotrofio che si trova al di là della linea del fronte. Per tre interminabili giorni si avventura in aree dilaniate dalla guerra, attraversa posti di blocco e incontra persone nascoste negli scantinati e nei rifugi. Riuscirà infine a salvarlo, ma con lui dovrà intraprendere una nuova odissea per fare ritorno a casa. «L’ho scritto come se fosse la sceneggiatura di un film, per descrivere i sentimenti della gente comune, che oggi si dividono tra la disperazione e improvvise esplosioni di euforia. Un mese fa ho partecipato a un feanzitutto stival letterario organizzato da un gruppo di giovani vicino a Donetsk, una città che ha subito pesanti bombardamenti. C’erano più di un migliaio di persone e nei loro occhi ho notato la voglia di cambiamento del mio popolo». La capacità di conciliare violenza e lirismo con un linguaggio crudo e immaginifico è forse la chiave del successo di Žadan, che nel suo paese è ormai diventato un autore di culto anche nel campo della poesia, tanto da essere soprannominato “il Rimbaud ucraino”. Nel suo paese tiene spesso reading poetici che si trasformano in appuntamenti attesissimi ai quali partecipano migliaia di persone. Due territori linguistici, quelli della prosa e della poesia, nei quali lui sembra trovarsi ugualmente a suo agio. «Non faccio quasi mai distinzione – spiega – perché sono due linguaggi che appartengono al medesimo universo. Di solito preferisco la poesia quando la vita di un personaggio è soltanto abbozzata, credo che sia invece assai più adeguata la forma del romanzo quando l’intera storia si presenta di fronte a me nella sua interezza». Anche la disputa linguistica tra russo e ucraino, che rappresenta uno dei nodi centrali del conflitto contemporaneo, Žadan ha deciso di solcarla a modo suo, scrivendo in ucraino sebbene viva a Charkiv, una città dove il russo continua a essere la lingua più parlata. «D’altra parte – ci spiega – prima della guerra il 70-80% del mercato librario era controllato e condizionato dai russi. Oggi le loro case editrici sono state estromesse dal nostro paese e ne sono nate di nuove, autoctone. Sta inoltre fiorendo finalmente un cinema ucraino [quest’anno uscirà anche il film tratto dal suo romanzo La strada del Donbas, ndr ]. Stiamo assistendo a un vero rinascimento culturale. I tanti progetti che sono stati lanciati negli ultimi anni stanno modellando una nuova Ucraina. Per questo nutro un moderato ottimismo nei confronti del futuro».

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