sabato 23 aprile 2011
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E'  stato il bello e il buono delle piscine, ma una volta appeso lo slippino al chiodo, per il Palazzo è diventato il “cattivo” del nuoto azzurro. Marcello Guarducci, 54 anni, trentino di nascita, ma romano d’adozione, è stato anche il primo vero uomo immagine di questo sport. Tra i primi 4 del mondo nei 100 stile libero, ha partecipato a tre edizioni olimpiche, ma saltò i Giochi di Mosca ’80, subendo il “boicottaggio”, «in quanto carabiniere», in quella che molto probabilmente poteva essere l’edizione da podio. Quindi niente ori olimpici e neppure record del mondo. Anche perché tutta la sua romantica sbracciata si condensa nel ritornello di Lucio Battisti: “Acqua azzurra, acqua chiara”. A fine carriera la Federnuoto gli ha sbarrato ogni via d’accesso e da anni va nelle scuole a sensibilizzare i ragazzi sulla priorità della «cultura dello sport, uguale salute», mettendoli in guardia dalla minaccia costante e diffusa del doping.Guarducci, siamo in un momento di allarme rosso sul fronte doping oppure ci sono stati periodi peggiori per lo sport?Mi intenerisce il fatto che ci si meravigli quando si parla di invasione del doping. Il problema è vecchio quanto l’uomo. Le Olimpiadi dell’antica Grecia vennero sospese per eccesso di allucinogeni e oppiacei che ingerivano gli atleti. Ora stiamo vivendo semplicemente l’evoluzione di quella specie di sportivi.La “medicalizzazione” è una realtà anche del nuoto?Come in tutte le discipline, anche nel nuoto non possiamo escludere “prestazioni aiutate” frutto della sperimentazione medica e della ricerca del successo ad ogni costo. Gli atleti dell’ex Ddr in questo sono una testimonianza drammatica: hanno avuto conseguenze fisiche letali per quello che hanno ammesso si trattava di somministrazione di doping di stato. Un dramma accertato non nei test antidoping di allora, ma nei processi di risarcimento, avvenuti solo dopo la caduta del muro di Berlino.Conosce qualche storia particolare di nuotatori della sua generazione che provengono da quell’ambiente?Ricordo le ragazze della squadra della Germania dell’Est che al mattino si facevano la barba. Della maschile, sono rimasto in contatto con Jörg Woithe che vinse l’oro nei 100 stile libero a Mosca e mi raccontò che una volta gli somministrarono dei prodotti che in pratica per 48 ore lo misero in uno stato di incoscienza. Non aveva più il benché minimo orientamento.Che cosa è cambiato da allora?Oggi si vedono muscolature anomale, masse che lievitano in pochi mesi. Rido per non piangere quando sento certi allenatori o dirigenti che dicono: “Ma del resto la fisiologia ha fatto passi da gigante negli ultimi 25 anni”. L’assenza di oltre 350 sostanze agli attuali controlli non aiuta certo la ricerca. Ormai il nuovo credo di certi campioni è diventato: “Non puoi più senza”.Come ci si difende da questa pericolosa propaganda?Si dovrebbe avviare una campagna a livello nazionale, come per la droga, coinvolgendo le scuole medie e superiori. La legge del 2000 ha posto dei paletti: doparsi è un reato penale. Ma quei paletti si scontrano con l’insufficienza dei test antidoping.Provoca chi chiede una legge che liberalizzi l’abuso delle sostanze dopanti?L’unica provocazione che proporrei è quella di dire: chi vuole doparsi lo faccia pure, però deve avere il coraggio di uscire dal nostro sistema sanitario. Perché il cittadino non è tenuto a pagare di tasca propria le spese mediche di chi ha scelto sempre la scorciatoia per arrivare più in alto. Chi ha preso quella robaccia, ha vinto e si è arricchito, allora poi non ha il diritto di fare la “vittima ammalata” per colpa dello sport.E quante saranno queste vittime dello sport?A saperlo. Mi arrivano voci di ex atleti che hanno seri problemi: tumori, patologie al cuore, ai reni, infertilità. Ma il loro ritorno nell’oblio, fa sì che non siano storie di dominio pubblico. E poi c’è sempre il problema del dover ammettere di aver barato, quindi tacciono. Quest’ultima generazione fa ancora peggio: nessuno conosce le conseguenze sul lungo periodo che possono avere sul loro fisico l’aver preso per anni tutti quei farmaci.Sta dicendo che l’attività agonistica di vertice può far male?Non lo dico io, ma gli innumerevoli infortuni che riscontrano i medici sportivi. Tutte le esagerazioni portano a delle conseguenze nocive. Si può fare agonismo, ma con la consapevolezza che il corpo umano va rispettato, osservando i recuperi fisiologici e una corretta alimentazione. Ora invece domina l’esasperazione fisica che deve rispondere alla logica del successo e alla politica della medaglia a tutti i costi.Nel nuoto medaglie e record sono fioccate in maniera impressionante negli ultimi anni, anche nel movimento azzurro.Sono contento per il nuoto azzurro, ma io rimango perplesso nel vedere atleti di tutto il mondo che arrivano a fondo vasca, nei 100 o i 200, senza un minimo di fiatone. E due minuti dopo, sono lì belli freschi e riposati per parlare in diretta tv. E poi non dimentichiamoci che dal 2008 al 2009 con i costumoni in neoprene sono stati battuti oltre 150 record mondiali. Una sorta di “doping tecnologico”, ma fortunatamente quei costumoni sono stati vietati dal 1° gennaio 2010.Via i costumi “hi-tech”, ma i Superman restano in vasca.A Pechino c’è stato un signore (Phelps, ndr) che ha fatto 22 gare, vinto 9 medaglie, stabilito 14 record del mondo, il tutto in 8 giorni senza un minimo calo ed è risultato pulito ai controlli. Rimango perplesso. Alla mia generazione dicevano che al terzo giorno di gara il testosterone si abbassava del 75%, quindi era normale non essere più al cento per cento.Eppure anche nel nuoto nessuno ha il coraggio di denunciare.Magnini ha confessato più volte di aver gareggiato in “un mondo di vitaminizzati”, ma evidentemente sono frasi che non scalfiscono il sistema e non stimolano le coscienze a una riflessione seria del problema.Fanno forse più notizia certe crisi d’ansia ricorrenti in piscina.Porto troppo rispetto per chi soffre d’ansia per esprimermi, ma trovo anomalo che un atleta ne possa soffrire. In allenamento si fa 1000 volte la fatica che si fa in gara, quindi dovresti essere pronto a fare la tua prova, a meno che non sei ammalato. In quel caso, credo che prima sia meglio curarsi e poi gareggiare.Ma scusi Guarducci, davvero il doping non l’ha mai sfiorata?Ai Giochi di Los Angeles ’84 avevo ancora il miglior tempo italiano sui 100 stile libero e mi misero tra le riserve, solo perché non ero tra quelli che fecero l’autoemotrasfusione che ancora non era considerata pratica dopante. Su una squadra di 11 nuotatori, a 5 fu fatta, ed io non ero tra quelli per fortuna, anche perché peggiorarono tutti. Acqua passata...Non ha mai pensato che con quelle pratiche sarebbe potuto salire su un podio olimpico?Probabilmente con “prestazioni aiutate” anch’io avrei messo qualche medaglia e qualche record in più in bacheca. Però senza doping, ma con l’allenamento e la giusta alimentazione, continuo a vincere i campionati master di nuoto. A 54 anni mi sento un uomo fortunato, posso perfino donare il sangue. Chissà chi lo fa di quelli di oggi?Siamo dinanzi a una generazione persa nel doping, ma di chi è la colpa?Di tutti quelli, e sono tanti purtroppo, dagli atleti, ai genitori fino ai dirigenti sportivi, che gli hanno inculcato l’idea che anche nello sport è da “cretini” fare tutto il percorso in salita. Gli insegnano: solo i più “furbi” vincono, diventano ricchi e potenti, a patto che imparino in fretta ad andare sempre in discesa. Anche a discapito della propria salute.Una prospettiva da resa incondizionata.Purtroppo la realtà trasmette ad un giovane atleta il messaggio deviante che oggi è più facile doparsi piuttosto che dire “no” al doping”. Più del denunciare, è fondamentale creare le condizioni per una rapida rivoluzione culturale.Tradotto in termini pratici?Far capire ai nostri ragazzi che non è vero che l’atleta è un computer, per cui basta copiare l’hard-disk del pc del campione per diventarlo tutti. Serve tornare a praticare uno sport che rimetta al centro la persona, con la sua salute fisica e mentale, con il proprio traguardo che può e deve essere differente, ma sempre personale in base a doti e capacità. Non tutti devono e possono essere primatisti del mondo.----Le altre puntate«La mia corsa fermata dall'Epo»Pene più severe, ora la bicicletta stringe i freniGenerazioni di fenomeni. «Sì, ma grazie al doping»
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