
Achille Lauro - .
«Quel battesimo a Sanremo mi ha rovinato la carriera» scherza, ma in fondo non troppo, Achille Lauro pensando a quando fu travolto dalle polemiche e dalle ironie per la scelta di mettere in scena un auto battesimo sul palco dell’Ariston proprio in apertura del Festival di Sanremo 2022 in gara col brano Domenica. Una delle sua tante performance “artistiche” provocatorie, a volte più riuscite a volte eccessive tanto da urtare la sensibilità dei credenti (e non solo), che alla fine si sono rivelate un boomerang che metteva in secondo piano la qualità, quella sì artistica, di molti suoi brani. Dopo le tre partecipazioni in gara del 2019 con Rolls Royce, 2020 con Me ne frego, 2022 con Domenica e quella del 2021 come super ospite, a 34 anni il cantante e autore romano pare seriamente voler recuperare credibilità. Quindi dopo tre anni di assenza dal Festival porterà più Lauro De Marinis che Achille Lauro e le sue maschere, pur non rinnegandole. «Questo Sanremo sarà Lauro e basta» assicura il cantautore romano elegantissimo e signorile nell’abito gessato firmato Dolce e Gabbana. «Non ho più 20 anni e ne sono felice» aggiunge. Che a livello personale Achille Lauro fosse persona educata, nonostante l’allure di bello e maledetto, se ne sono accorti già gli spettatori di X Factor di Sky (per cui Lauro ha dato una disponibilità per una seconda stagione). Capace anche di glissare sui feroci pettegolezzi su di lui, Chiara Ferragni e Fedez lasciando «il gossip a chi ha solo questo per esistere. Si parla tanto di violenza sulle donne, questo non è tanto diverso». Un can can mediatico che rischia di mettere in secondo piano invece l’intensa e significativa ballad Incoscienti giovani, storia di amore e disagio che si rifà al suo passato sofferto e turbolento di ragazzo, con cui è dato tra i favoriti per la vittoria.
Ma prima di passare al nuovo capitolo, è doveroso cercare di fare chiarezza sul perché un artista che da bambino ha avuto una profonda formazione cattolica dalla madre, abbia usato spesso e volentieri il simbolismo cristiano in modo spiazzante se non strampalato (vedi la performance dedicata alla spogliazione di san Francesco sulle note di Me ne frego). «Quello che ho fatto ero veramente io, non era un prodotto di marketing, mi rifacevo alle grandi produzioni internazionali, ai grandi costumi e alle performance, ispirandomi alle grandi rockstar degli anni ‘70 – si giustifica -. L’utilizzo dell’iconografia cristiana è stata fatta già da Madonna, David Bowie o David LaChapelle. Alla fine l’iconografia cristiana è la cosa più popolare, più pop e anche più mainstream, la più vicina a noi di sempre. Può essere sembrato offensivo per alcuni, ma era una performance artistica fatta col massimo rispetto. Ho una educazione religiosa che mi è stata impartita e che mi affascina. Dopo gli esperimenti anche controversi che ho fatto, nel mio percorso di crescita oggi per me la missione è lasciare grandi canzoni, musica sincera. Ballate come C’est la vie, 16 marzo e Amore disperato mi hanno indicato la strada».
Ma, chiediamo, c’è anche una dimensione spirituale intima in Lauro De Marinis? «L’aspetto spirituale c’è, perché dove son cresciuto ci deve essere per forza. Mi sono scontrato con tante dinamiche mie e di persone che mi stavano intorno… – aggiunge serio riferendosi alle esperienze passate insieme ad altri ragazzi difficili -. Se sono qui non lo devo solamente all’impegno che è stato tanto e costante, lo devo a piani “più grandi”. Sono uno che si dedica agli altri anche per quello e che si dedica giornalmente anche a ringraziare». Quindi lei prega? «Certo, sempre» conferma.
Veniamo quindi finalmente ai contenuti di oggi, con un brano profondo e malinconico. «Torno in una veste diversa, perché la canzone che porto, Incoscienti giovani, merita un grande palco» aggiunge spiegando che è ispirata a una storia vera, nata ai bordi del grande raccordo anulare della Capitale. «Il brano si rifà alle canzoni dei grandi cantautori e parla della mia storia, come tanti dei miei lavori precedenti. Parla di giovani tormentati, ed è dedicata a chi è cresciuto come me, con me» aggiunge Achille Lauro. Una canzone che «parla di una ragazza che non si sente amata e fa di tutto per essere diversa da quelli che l’hanno cresciuta» e che «si può leggere tramite diverse chiavi, potrebbe essere un mio grande amore, mia madre o io».
L’artista rivendica un percorso e una maturazione che lo hanno portato a essere quello che è oggi. «Ho spaziato molto, ho sperimentato, sono stato all’estero per molto tempo, e ora dopo tanto lavoro credo di poter dire di avere trovato una mia identità. Sono cresciuto con i grandi cantautori italiani e romani e la musica che sto facendo echeggia quel mondo lì, degli anni Settanta, Ottanta, Novanta, che ascoltavo in macchina con i miei». La svolta prevede una trilogia: un album più cantautorale che uscirà prima dell’estate, un altro simile l’anno prossimo mentre a fine anno uscirà un album urban con giovanissimi artisti dedicato a lanciare la Fondazione Ragazzi Madre, dedicata ai ragazzi in difficoltà. «Nella vita privata io faccio tante cose con la mia squadra, la mia famiglia, mia madre che ha sempre fatto tantissimo volontariato importante, andava a convincere le ragazze di strada ad uscire dal giro, accoglieva in casa bambini in difficoltà con cui ho vissuto» aggiunge. «Io ho una vita folle, dedico tutto il mio tempo ai progetti musicali e il restante ad operazioni sociali organizzando eventi musicali o con i clown negli ospedali, nelle case famiglia, per i ragazzi che hanno bisogni di tutti i tipi. Anche della presenza, ci sono realtà invisibili in cui bastano poche ore per dare tanto a questi ragazzi - racconta -. Oggi sono molto fortunato, mi sento in dovere di ridare. Il mio disco Ragazzi madre raccontava ragazzi soli che si aiutavano a vicenda, uno spaccato che non tutti conoscono, una realtà che ho vissuto. Oggi quel concetto diventa Fondazione».
Per la serata delle cover Achille Lauro si esibirà assieme ad Elodie sulle note di A mano a mano di Riccardo Cocciante e Folle città di Loredana Bertè, come tributo alla città che li ha cresciuti. «Sono anni che volevo duettare con Elodie - sottolinea -. Lei non è solo una cantante ma un’artista che vive quello che dice, che è parte di quel dramma romano tipico di chi è cresciuto nelle periferie romane, poetico». Roma lo vedrà protagonista a fine giugno sul palco del Circo Massimo con due date, ma Lauro sogna in grande e oltre al tour negli stadi italiani, che spera di realizzare presto, punta a raggiungere il pubblico internazionale. «Ma anche un pubblico trasversale e di famiglie - conclude - Il bello è unire tutti gli italiani».
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