venerdì 19 febbraio 2021
Colonizzare la Luna e costruire in orbita sono ricerche ormai all’ordine del giorno. Vittorio Netti: «Una sfida non solo tecnologica, ma di pensiero architettonico»
Uun progetto di architettura spaziale della Sicsa di Houston

Uun progetto di architettura spaziale della Sicsa di Houston - Sicsa

COMMENTA E CONDIVIDI

«La terra è la culla dell’umanità, ma nessuno può vivere in una culla per sempre »: furono le parole con cui nel 1890 Konstantin Ciolkovskij, scienziato russo e inventore della missilistica, motivò la scelta di dare vita nel suo appartamento al primo laboratorio di aerodinamica. Accolto ai consessi internazionale dallo scetticismo di colleghi, che in lui vedevano una mente folle quanto basta, non cessò di esporre le sue teorie visionarie su stazioni spaziali e razzi che avrebbero solcato lo spazio siderale e portato a spasso nel cosmo l’umanità. Autodidatta, costretto ad abbandonare la scuola a 14 anni a causa della scarlattina che gli procurò la sordità, elaborò, ispirato dai romanzi di Jules Verne, la “torre orbitale”, ovvero l’ascensore spaziale ormai parte dell’immaginario collettivo. Ma “il sognatore di Kaluga”, nelle parole di Nikolai Rynin, era un matematico e fisico estremamente rigoroso: lui, per primo, calcolò, infatti, la velocità necessaria ad un veicolo spaziale per vincere l’attrazione gravitazionale terrestre e raggiungere le stelle.

Come lui, nella storia si incontrano altre figure – Leonardo Da Vinci, Nikola Tesla, Wernher Von Braun – capaci di viaggiare nel tempo guidati dalla potenza di un’immaginazione incontenibile. Lo stesso Von Braun, già inventore del razzo che portò i primi astronauti sulla luna con il programma Apollo, racconta, in Progetto Marte, il suo piano per colonizzare il pianeta rosso per mezzo di una flotta di astronavi, mascherandolo da romanzo di fantascienza. L’ex scienziato nazista, divenuto padre del programma spaziale americano, descriveva in ogni dettaglio le vite dei neocoloni, immaginando giganteschi razzi riciclabili e basi sotterranee brulicanti di una nuova generazione di scienziati, ingegneri e biologi. La premessa è di straordinaria attualità in questo particolare passaggio storicamente delicatissimo per tutte le dinamiche inerenti lo spazio, ingegneria ed economia incluse, ma, soprattutto, relative alla possibilità di una permanenza prolungata e sostenibile in un “altrove”, oltre il pianeta Terra.

Vittorio Netti

Vittorio Netti - Sicsa

«Immaginare il futuro, anche con voli pindarici della mente, è fondamentale per costruirselo – esordisce Vittorio Netti, ricercatore al Sicsa (Sasakawa International Center for Space Architecture) di Houston, e Ph.D. candidate in Ingegneria e Scienze Aerospaziali al Politecnico di Bari – È come tracciare una rotta, attraverso acque ignote, per arriva a destinazione, anche se ancora nessuna la vede». Al Sicsa, il più avanzato centro di ricer- ca al mondo di ingegneria aerospaziale, vengono studiate soluzioni e tecnologie per la prossima generazione di missioni spaziali con equipaggio umano, perché vivere e abitare oltre il pianeta Terra non è più oggetto di pertinenza della fantascienza: «Da oltre 20 anni non viviamo interamente sullo stesso pianeta. Un certo numero di esseri umani occupa costantemente la ISS in orbita dal 2000 – ricorda Netti – e dal 2017 con il lancio del programma Artemis della Nasa, dopo 50 anni, si sta pianificando il ritorno dell’uomo (e della prima donna) sulla Luna. Questa volta, però, per restarci». La road map, del resto, è già definita: si articolerà in tre fasi e procederà con la prima missione esplorativa nel 2024 e l’installazione delle strutture permanenti dal 2028.

Se passeggiare sul suolo lunare è già parte delle nostre conquiste, come specie, l’impresa, mai tentata prima, di abitarci stabilmente comporta una serie di sfide incredibilmente ardue. A cominciare dal dovere fare i conti con il fattore umano, con una fisiologia e psicologia messe a dura prova dall’ambiente lunare: uno spazio assai ostico, che costantemente incrina l’equilibrio psicofisico ed emotivo umano: radiazioni, pressione, mancanza di ossigeno, microgravità. Nulla di quello che c’è lì fuori è compatibile con la vita, perlomeno quella umana, nulla favorisce il benessere della persona». Per garantire la permanenza in un contesto così avverso, gli habitat spaziali, come la ISS, devono riprodurre microecosistemi contenenti tutto quanto necessario a sostenere gli astronauti, limitando il più possibile i rifornimenti dalla Terra. I sistemi di sostentamento vitale (Eclss nel gergo Nasa) sono attualmente in grado di riciclare una percentuale notevolissima di tutto ciò che è a bordo, ovvero la quasi totalità dell’acqua (90%) e il 40% dell’ossigeno.

Gli Eclsss sono addirittura osservabili come modelli virtuosi di economia circolare, e sulla Luna la loro efficienza potrebbe essere anche superiore; inoltre, l’inesorabile consumo di risorse potrebbe essere rifornito dall’impiego dei materiali locali, il cui ricorso è già al vaglio non solo per l’ambiente lunare. Allo studio, infatti, ci sono soluzioni per utilizzare la sabbia lunare (regolite) e l’acqua dei giacimenti polari per la costruzione delle basi di superficie, nella stessa maniera in cui qui impastiamo cemento e malta. «Costruire sulla Luna significa reinventare l’architettura, non solo le tecniche costruttive» puntualizza Netti, ricordando che nel 1960, agli albori dei programmi di esplorazione spaziale umana, la Nasa reclutò un team multidisciplinare di artisti, designer e architetti per immaginare il futuro dell’uomo nello spazio: lo scopo consisteva nel visualizzare e concretizzare quanto, fino ad allora, era stato solo teorizzato dagli scienziati e, in un certo senso, viveva limitatamente alla dimensione dell’immaginazione.

Da quell’esperienza sono nate alcune tra le più suggestive creazioni delle sfere di Bernal e dei Cilindri di O’Neill, fino ad allora solo costrutti teorici di gigantesche città orbitanti capaci di sfruttare la propria rotazione per generare una gravità simile a quella terrestre. Dall’altra parte della cortina di ferro, l’architetto russo Galina Balašova disegnava stazioni spaziali per l’agenzia sovietica. La capacità di architetti e designer di visualizzare il futuro è da allora diventata un requisito fondamentale per le agenzie spaziali e, più recentemente, anche per le aziende private di settore: alla fine degli anni ’80, l’architetto della Nasa Gary Kitmacher disegnò “ISS cupola”, la più grande finestra della Stazione Spaziale dalla quale è possibile osservare la Terra, e tutt’oggi uno dei luoghi preferiti dagli astronauti, davanti alla quale passare il poco tempo libero sulla ISS. Trent’anni dopo, Axiom space, azienda di Houston autorizzata dalla Nasa a costruire la prima stazione spaziale commerciale, chiamò il designer Philippe Stark per progettarne gli interni, mentre le navette private di SpaceX inaugurarono il turismo dei privati nello spazio, portandovi la prima generazione di astronauti non professionisti e non incaricati dai governi: questo, come intuibile, apre le porte di una rivoluzione senza precedenti nell’industria di settore.

Quelle basi marziane e flotte di navi passeggeri che fanno la spola tra la Terra e i corpi celesti del sistema solare immaginate da Von Braun non sono più un sogno lontano: la soglia di una rinnovata era dell’esplorazione spaziale chiama una generazione di professionisti a disegnare le carte nautiche del contemporaneo “passaggio a Nord Ovest”. Tornano le parole che l’astronomo e astrofisico Carl Sagan scrisse in Cosmos: «L’esplorazione è nella nostra natura. Abbiamo iniziato come vagabondi e siamo ancora vagabondi. Siamo rimasti abbastanza a lungo sulle rive dell’oceano cosmico. Siamo finalmente pronti per salpare verso le stelle».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI