giovedì 18 gennaio 2024
Le crisi globali del nostro tempo dimostrano come i fenomeni sono tutti intrecciati tra loro. Specializzare è un errore, così come fare della complessità un’ideologia
Complessità

Complessità - Jigar Panchal / Unsplash

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Dal nuovo numero di “Vita e Pensiero”, il bimestrale culturale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, pubblichiamo un'ampia sintesi dell’intervento del filosofo Mauro Ceruti dell’università Iulm sulla necessità di adattare il nostro modo di pensare e di interagire col mondo contemporaneo accettando finalmente il dato di fatto della sua complessità.

In un mirabile testo del 1985 dedicato alla “Molteplicità”, che avrebbe dovuto essere una lezione da tenere all’università di Harvard, Italo Calvino, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, scrisse che compito del romanzo contemporaneo era di «rappresentare il mondo come un garbuglio, senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinarlo» (Lezioni americane). Sensibile al superamento della divisione fittizia tra le “due” culture (umanistica e scientifica), Calvino adoperava quella che si presentava ormai come la parola chiave e l’idea cruciale della scienza contemporanea, che a partire dal secolo scorso ha trasformato radicalmente la nostra visione dell’universo e della vita: “complessità”. Complesso significa che tante cose sono intrecciate insieme, a formare un’unità. Dal verbo latino plectere, intrecciare, più cum, insieme. La complessità è stata per lungo tempo percepita, anche dalla scienza “classica” moderna, come apparenza superficiale del reale, non ancora compreso nelle sue leggi profonde e “semplici”.

L’universo è stato visto come un assemblaggio di oggetti identificabili ed elementari, che interagiscono in base a leggi deterministiche, intellegibili al calcolo. Un demone onnisciente ideale, come quello immaginato alla fine del Settecento da Pierre-Simon de Laplace, in possesso di osservazioni e capacità di calcolo, avrebbe potuto dedurre ogni stato presente o futuro di questo universo. L’ideale di onniscienza ha orientato la “scienza classica” e il sistema dei valori prevalente della modernità. E la semplificazione è stata la via regia per realizzare questo ideale, nella prospettiva di rendere il mondo sempre più dominabile e prevedibile. La semplificazione elimina la relazione fra l’oggetto e il suo contesto, separa e isola le entità senza farle comunicare, cristallizzandole in saperi frammentati e specialistici.

Questo ideale era già entrato in crisi nel secolo scorso, sotto l’effetto degli stessi progressi della scienza. Innanzitutto nella fisica, e poi nell’emergere di scienze che hanno cominciato a studiare i “sistemi complessi”, come nel caso dell’astrofisica, della climatologia, dell’ecologia, che intrecciano fenomeni e problemi tradizionalmente separati gli uni dagli altri. Di colpo, lo sviluppo delle conoscenze scientifiche ha messo in crisi il valore universale di quei princìpi della scientificità (ordine, causalità lineare, determinismo e prevedibilità, riduzione a elementi semplici…) che avevano promosso quello sviluppo. E la riflessione filosofica ed epistemologica ha estratto dalle “rivoluzioni scientifiche” del XX secolo i princìpi di un nuovo pensiero, un pensiero complesso, appunto. Il pensiero complesso insegna a distinguere e connettere, a comprendere le relazioni tra il tutto e le parti. Tuttavia, il paradigma della semplificazione dimora ancora come un sovrano sotterraneo delle nostre menti.

Oggi, la complessità è sempre più evocata anche per parlare delle nostre crisi: la pandemia, la degradazione della biosfera, il cambiamento del clima, la guerra, il terrorismo… Tutte queste crisi rivelano la complessità del nostro tempo e dell’inedita condizione umana globale. Ciascuna crisi è fatta di tante crisi intrecciate, che influiscono le une sulle altre e che non possono essere separate: sanitaria, biologica, scientifica, economica, ecologica, sociale, antropologica, psicologica, esistenziale, spirituale… Nel mondo globale, tutto è connesso. Cioè, c’è una circolarità continua, non una semplice linearità, fra cause ed effetti. Tutto è interdipendente e tutto è contemporaneamente causa ed effetto. È impossibile e controproducente semplificare un tessuto inestricabile di concause e di interdipendenze. La sempre maggiore rilevanza assunta dalle tecnologie nell’età moderna aveva diffuso l’illusione che il progresso fosse lineare, garantito, irreversibile. Ma è ormai chiaro che il progresso tecnico non è di per sé solamente o totalmente progressivo. Comporta e produce anche regressioni e nuove forme di barbarie. La rilevanza delle tecnologie aveva diffuso inoltre l’illusione che la specie umana si sarebbe definitivamente affrancata dalla natura. Non è stato così. I popoli, certo, sono sempre più interconnessi e sempre più indipen- denti dagli ecosistemi locali. Ma il fatto è che la sopravvivenza stessa dell’intera specie umana rimane interdipendente col buon funzionamento di un “unico immenso ecosistema globale”, nel quale le relazioni cooperative e conflittuali fra innumerevoli specie animali, vegetali e batteriche mantengono condizioni ambientali adatte alla fioritura della vita nel suo complesso, e in particolare della vita umana. Coevolvere all’interno di questo ecosistema globale è una sfida ineludibile che l’umanità deve raccogliere nel tempo della complessità.

Questa idea è anche nel cuore dell’ecologia integrale delineata da papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ nella quale afferma che «anche se non ne abbiamo coscienza dipendiamo da tale insieme per la nostra stessa esistenza». Papa Francesco delinea la sua prospettiva antropologica proprio raccogliendo «la sfida della complessità» e rilanciando la necessità di abbracciare un «pensiero complesso» come condizione per la conversione ecologica. Pensare la complessità del mondo e della condizione umana significa, infatti, pensare che «tutto è connesso», «tutto è collegato», «tutto è in relazione». Smarrire questa consapevolezza fondamentale, astrarsi da questo tutto vivente e connesso, espone l’uomo a gravi rischi, e «la stessa base della sua esistenza si sgretola». Al culmine della nostra potenza scientifica e tecnologica, non solo scopriamo i fili fragili e inestricabili che ci legano alla biosfera; scopriamo, dopo la tragedia imprevista e globale della pandemia, la nostra strutturale vulnerabilità. Scopriamo anche di abitare un mondo “indisponibile”, che inficia il progetto moderno di un dominio umano totale. È un mondo diventato indisponibile proprio per l’incremento esponenziale della velocità e della quantità di informazioni disponibili. Il desiderio di certezza e di controllo sul mondo ha incrementato l’incertezza e l’incontrollabilità del mondo. Un mondo complesso è un mondo incerto, non perfettamente controllabile e prevedibile. Un evento microscopico e locale può produrre effetti macroscopici e globali. Insomma, piccole cause, grandi effetti. Tuttavia, la complessità, tanto più si manifesta, quanto più provoca oggi un rigetto “nevrotico”, che fa cadere nella trappola del semplicismo, del complottismo, del populismo, del cospirazionismo, del nazionalismo, del fanatismo manicheo. Così, si aggrava il rischio di nuove fratture e disgregazioni nel contesto planetario, ignorato nella trama delle sue interconnessioni.

La “complessità” non è un’“ideologia”, ma la sfida che il reale lancia alla conoscenza. E l’accettazione di questa sfida non può certo essere un pretesto per l’inazione e la deresponsabilizzazione. Al contrario: cambiando «gli occhiali con cui vediamo il mondo», si dilata l’orizzonte della responsabilità, e si impone la responsabilità di prendere decisioni. Responsabilità che peraltro si estende verso nuovi ambiti: la biodiversità, gli ecosistemi, la sopravvivenza stessa dell’umanità… E questo vuol dire anche assumersi la responsabilità del fatto che ogni decisione espone al rischio dell’incertezza; e del fatto che ogni decisione dipende da quali valori e prospettive vogliamo mettere in gioco. D’altra parte, non si può non scegliere: l’inazione, il né… né sono anch’essi scelte precise, motivate da valutazioni e motivazioni, e non sono per nulla atteggiamenti più consapevoli della complessità! Affrontare l’incertezza e abitare la complessità significa non cedere alla paura e alle pulsioni securitarie, di chiusura, di separazione, di domi- nio. La complessità ci sfida a pensare e agire per tessere, legare, unire, federare, cose che proprio la follia regressiva della guerra e del terrorismo ci fa apparire ancora più cogenti. Oggi, l’ignoranza non è la mancanza di conoscenza, ma si annida nel modo in cui la conoscenza è prodotta e organizzata: semplificata, parcellizzata, algoritmica. L’iperspecializzazione impedisce di vedere la complessità. Del resto, l’università, la scuola e anche la divulgazione continuano a insegnare a separare conoscenze che dovrebbero essere interconnesse. Così, più i problemi divengono multidimensionali, più c’è l’incapacità di pensare la loro multidimensionalità; più progrediscono le crisi, più progredisce l’incapacità di pensare le crisi; più i problemi sono planetari, più divengono impensati.

Oggi dobbiamo sapere che siamo accomunati da uno stesso destino, prodotto dalla inedita possibilità di autoannientamento dell’umanità, in particolare attraverso l’arma nucleare. È un destino che accomuna fra loro tutti i popoli della Terra, e l’umanità intera con la Terra. Oggi, a motivo della potenza tecnologica e della interdipendenza planetaria, è diventato disastroso e globalmente suicida continuare la competizione in cui ciascuno vince a spese dell’altro. La possibilità inedita è che ci possano essere non più vincitori e vinti, ma solo vinti. Nessuno si può salvare da solo. È una nuova condizione umana, complessa, in cui tutto è connesso. La nuova condizione umana globale, nel tempo della complessità, chiede anche di scommettere sulla necessità di sviluppare la coscienza di una solidarietà universale, e più ancora di una fraternità universale. La fraternità, lo ha bene espresso papa Francesco, è stata la promessa mancata della modernità. Ma nel XXI secolo potrà essere la protagonista, dopo che la libertà e l’uguaglianza lo sono state nei secoli XIX e XX. È l’improbabile nel quale dobbiamo ancora sperare, raccogliendo la sfida di educarci a un pensiero complesso, in grado di consentirci di abitare un mondo in cui tutto è connesso.

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