giovedì 22 maggio 2014
«Andiamo ai Mondiali con due soli giocatori di livello internazionale, ecco perché conterà il gruppo. Inaccettabile il rapporto tra club e ultrà violenti».
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«Non so spiegare il perché, ma l’Italia del calcio il meglio lo dà sempre e sol­tanto se c’è la pole­mica. Perciò faccio un appello a voi in “studio” - lapsus ripetuto più volte - ai media: vi prego sbizzarritevi con le polemiche...». È l’invito ironico ed accorato di un campione del mondo di Spagna ’82, Fulvio Collovati. Al suo fianco nella sala di Palazzo Cusani, dove i Giornalisti sportivi dell’Ussi Lombardia han­no promosso il convegno “La Nazionale di calcio e i mondiali: fra passato e futuro è sem­pre Brasile”, siede il compagno di quell’im­presa  Mundial Giancarlo  Antognoni che, pri­ma di rievocare quel mitico 3-2 del Sarrià rifi­lato al Brasile di Zico e Falcao, si presenta co­sì: «Con Matteo Renzi Premier, io ormai sono il sindaco di Firenze...». Battuta regolare, palla al centro e parola a un Giancarlo Abete mai vi­sto e sentito così sul pezzo nel settennale al vertice della Federcalcio. Per il suo ruolo il nu­mero 1 del calcio italiano è votato a «infonde­re positività», ma a tre settimane dall’inizio del­l’avventura della Nazionale ai Mondiali del Bra­sile manda segnali chiari e forti a tutto il mo­vimento. «Le favorite sì sa sono “quelle quat­tro”: il Brasile che ha vinto più di tutti (5 volte iridato, ndr), la Spagna che è bicampione d’Eu­ropa e campione del mondo in carica, l’Ar­gentina che ha Messi che fa la differenza e la Germaania che statisticamente arriva sempre sul podio. L’Italia? Fa bene Prandelli a mettere al centro il “Noi”, rispetto all’egoistico “Io”. Dob­biamo puntare sul gruppo, anche perché in Brasile ci presentiamo con due giocatori di al­to livello, Buffon e Pirlo...». La sala sospira e sussurra alla battuta un po’ ca­rente di positività e soprattutto di un terzo e­lemento che va citato per non scontentare la stampa e la piazza romana: Daniele De Rossi. «Stiamo parlando di un grande giocatore che ha vinto anche il Mondiale del 2006 - ribatte A­bete - . Però De Rossi con la Roma da un po’ di tempo non gioca le Coppe, così come i pur bra­vi Cerci e Immobile del Torino non hanno e­sperienza in campo europeo. La Spagna arri­va al Mondiale con tre club finalisti nelle com­petizioni continentali (Siviglia ha vinto l’Euro­pa League, e in Champions sabato c’è il derby di Madrid, Real-Atletico, ndr), mentre i nostri pagano ancora il gap sul piano competitività. Come si recupera il terreno perduto? La Ju­ventus è tornata ad alti livelli, ma per quanti mi­racoli possano fare i bianconeri, il Napoli, la Fiorentina e la Roma che hanno chiuso delle stagioni straordinarie per le loro potenzialità, serve recuperare il più in fretta possibile le due milanesi. Non sarà mica un caso che Inter e Milan sono le ultime italiane ad aver conqui­stato il titolo mondiale per club?». Non è un caso neppure che «il materia­le umano a disposizione di Prandelli è assai più povero di quando gioca­vo  io e c’era uno straniero, poi massimo tre, per ogni squadra», sottolinea An­tognoni. «Eppure ­spiega Abete - dal 2006 al 2014 la il minutag­gio dei calciatori ita­liani, potenziali con­vocabili dalle varie se­lezioni azzurre, si è al­zato dal 28% al 55%%. Ma questo non ha portato i ri­sultati sperati sul campo, anzi... Il che non vuol dire che non biso­gna continuare a lavorare bene e me­glio sulla base, incentivando ancor di più i vivai. Le società devono tenere pre­sente  che il calcio non è un’industria come spesso si vuol far credere. Tutto il nostro professionismo non fattura quanto una Ferre­ro o una Luxottica messe assieme (la Ferrero circa 8 miliardi di euro l’anno, ndr). Il calcio è prima di tutto uno sport, poi è un fenomeno sociale e infine un gioco che deve dare soddi­sfazione  ai tifosi». Già, ma uno dei mali del nostro calcio è che la maggioranza dei tifosi civili vengono sovrastati dalla minoranza violenta e rumorosa degli ul­trà. «È importante per le società mantenere un buon rapporto con i tifosi, purché non abbia­no logiche di scambio. Averlo con le compo­nenti negative, quindi con gli ultrà, è inaccet­tabile», taglia corto Abete. Meglio tornare al campo, e alle immaggini­nostalgia della tripletta di Paolo Rossi al Brasi­le. «E pensare che fino a quella partita “Pabli­to” sembrava un cadavere, lo tenevamo in pie­di con le flebo - ricorda Collovati - . Ora c’è un  altro Rossi, Giuseppe e io in Prandelli lo por­terei anche se fosse solo al 70%, come ricono­scimento anche per il gran recupero fisico che ha fatto. E poi perché se Balotelli azzecca il me­se giusto, con Cerci e Rossi potrebbero forma­re il tridente delle sorprese». La memoria sto­rica di Abete ricorda che anche «Paolo Rossi fu la sorpresa dell’82 e Schillaci quella di Italia ’90». Ora per la Nazionale di Prandelli conta evita­re le sorprese negative, tipo uscire al primo tur­no come in Sudafrica nel 2010. Le insidie non mancano, a cominciare dal clima proibitivo della prima partita con l’Inghilterra («gara fon­damentale » dicono in coro dal clan azzurro), nella torrida e amazzonica Manaus. «La Fifa ­spiega Abete - , ha previsto anche i time out per alcune gare specifiche come quella nostra con­tro l’Inghilterra. Chi temo di più degli avversa­ri? L’Uruguay che considero molto più forte  della nazionale inglese, anche se l’anno scor­so l’abbiamo battuto nella finale del 3°-4° po­sto della Confederations». Ma il timore più grande di Abete è rappresentato dal tabellone: «La parte bassa è meno competitiva di quella alta in cui siamo finiti per uno scherzo del ranking. Con tutto il rispetto per Colombia e Svizzera, ma essere scesi al 9° posto ci ha pe­nalizzati... ». Per oggi, sua positività Abete si è sbilanciato anche troppo, perciò per rientrare nei ranghi tradizionali conclude statistico e tassionomi­co con il pronostico: «Quante possibilità ab­biamo di vincere il Mondiale? Partiamo dal 100% di speranze... In 19 edizioni abbiamo vin­to 4 volte, quindi siamo nell’ordine del 22-23%». Antognoni è d’accordo, Collovati alza l’asticel­la fino al 40%, ma per il responso c’è sempre di mezzo il Brasile.
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