«Non so spiegare il perché, ma l’Italia del calcio il meglio lo dà sempre e soltanto se c’è la polemica. Perciò faccio un appello a voi in “studio” - lapsus ripetuto più volte - ai media: vi prego sbizzarritevi con le polemiche...». È l’invito ironico ed accorato di un campione del mondo di Spagna ’82, Fulvio Collovati. Al suo fianco nella sala di Palazzo Cusani, dove i Giornalisti sportivi dell’Ussi Lombardia hanno promosso il convegno “La Nazionale di calcio e i mondiali: fra passato e futuro è sempre Brasile”, siede il compagno di quell’impresa
Mundial Giancarlo Antognoni che, prima di rievocare quel mitico 3-2 del Sarrià rifilato al Brasile di Zico e Falcao, si presenta così: «Con Matteo Renzi Premier, io ormai sono il sindaco di Firenze...». Battuta regolare, palla al centro e parola a un Giancarlo Abete mai visto e sentito così sul pezzo nel settennale al vertice della Federcalcio. Per il suo ruolo il numero 1 del calcio italiano è votato a «infondere positività», ma a tre settimane dall’inizio dell’avventura della Nazionale ai Mondiali del Brasile manda segnali chiari e forti a tutto il movimento. «Le favorite sì sa sono “quelle quattro”: il Brasile che ha vinto più di tutti (5 volte iridato, ndr), la Spagna che è bicampione d’Europa e campione del mondo in carica, l’Argentina che ha Messi che fa la differenza e la Germaania che statisticamente arriva sempre sul podio. L’Italia? Fa bene Prandelli a mettere al centro il “Noi”, rispetto all’egoistico “Io”. Dobbiamo puntare sul gruppo, anche perché in Brasile ci presentiamo con due giocatori di alto livello, Buffon e Pirlo...». La sala sospira e sussurra alla battuta un po’ carente di positività e soprattutto di un terzo elemento che va citato per non scontentare la stampa e la piazza romana: Daniele De Rossi. «Stiamo parlando di un grande giocatore che ha vinto anche il Mondiale del 2006 - ribatte Abete - . Però De Rossi con la Roma da un po’ di tempo non gioca le Coppe, così come i pur bravi Cerci e Immobile del Torino non hanno esperienza in campo europeo. La Spagna arriva al Mondiale con tre club finalisti nelle competizioni continentali (Siviglia ha vinto l’Europa League, e in Champions sabato c’è il derby di Madrid, Real-Atletico, ndr), mentre i nostri pagano ancora il gap sul piano competitività. Come si recupera il terreno perduto? La Juventus è tornata ad alti livelli, ma per quanti miracoli possano fare i bianconeri, il Napoli, la Fiorentina e la Roma che hanno chiuso delle stagioni straordinarie per le loro potenzialità, serve recuperare il più in fretta possibile le due milanesi. Non sarà mica un caso che Inter e Milan sono le ultime italiane ad aver conquistato il titolo mondiale per club?». Non è un caso neppure che «il materiale umano a disposizione di Prandelli è assai più povero di quando giocavo io e c’era uno straniero, poi massimo tre, per ogni squadra», sottolinea Antognoni. «Eppure spiega Abete - dal 2006 al 2014 la il minutaggio dei calciatori italiani, potenziali convocabili dalle varie selezioni azzurre, si è alzato dal 28% al 55%%. Ma questo non ha portato i risultati sperati sul campo, anzi... Il che non vuol dire che non bisogna continuare a lavorare bene e meglio sulla base, incentivando ancor di più i vivai. Le società devono tenere presente che il calcio non è un’industria come spesso si vuol far credere. Tutto il nostro professionismo non fattura quanto una Ferrero o una Luxottica messe assieme (la Ferrero circa 8 miliardi di euro l’anno, ndr). Il calcio è prima di tutto uno sport, poi è un fenomeno sociale e infine un gioco che deve dare soddisfazione ai tifosi». Già, ma uno dei mali del nostro calcio è che la maggioranza dei tifosi civili vengono sovrastati dalla minoranza violenta e rumorosa degli ultrà. «È importante per le società mantenere un buon rapporto con i tifosi, purché non abbiano logiche di scambio. Averlo con le componenti negative, quindi con gli ultrà, è inaccettabile», taglia corto Abete. Meglio tornare al campo, e alle immaggininostalgia della tripletta di Paolo Rossi al Brasile. «E pensare che fino a quella partita “Pablito” sembrava un cadavere, lo tenevamo in piedi con le flebo - ricorda Collovati - . Ora c’è un altro Rossi, Giuseppe e io in Prandelli lo porterei anche se fosse solo al 70%, come riconoscimento anche per il gran recupero fisico che ha fatto. E poi perché se Balotelli azzecca il mese giusto, con Cerci e Rossi potrebbero formare il tridente delle sorprese». La memoria storica di Abete ricorda che anche «Paolo Rossi fu la sorpresa dell’82 e Schillaci quella di Italia ’90». Ora per la Nazionale di Prandelli conta evitare le sorprese negative, tipo uscire al primo turno come in Sudafrica nel 2010. Le insidie non mancano, a cominciare dal clima proibitivo della prima partita con l’Inghilterra («gara fondamentale » dicono in coro dal clan azzurro), nella torrida e amazzonica Manaus. «La Fifa spiega Abete - , ha previsto anche i time out per alcune gare specifiche come quella nostra contro l’Inghilterra. Chi temo di più degli avversari? L’Uruguay che considero molto più forte della nazionale inglese, anche se l’anno scorso l’abbiamo battuto nella finale del 3°-4° posto della Confederations». Ma il timore più grande di Abete è rappresentato dal tabellone: «La parte bassa è meno competitiva di quella alta in cui siamo finiti per uno scherzo del ranking. Con tutto il rispetto per Colombia e Svizzera, ma essere scesi al 9° posto ci ha penalizzati... ». Per oggi, sua positività Abete si è sbilanciato anche troppo, perciò per rientrare nei ranghi tradizionali conclude statistico e tassionomico con il pronostico: «Quante possibilità abbiamo di vincere il Mondiale? Partiamo dal 100% di speranze... In 19 edizioni abbiamo vinto 4 volte, quindi siamo nell’ordine del 22-23%». Antognoni è d’accordo, Collovati alza l’asticella fino al 40%, ma per il responso c’è sempre di mezzo il Brasile.