lunedì 19 gennaio 2015
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​Un anno dopo la sua morte, nessuno è ancora riuscito a raccoglierne l’eredità. Forse perché un anno è un tempo troppo breve. E il ricordo è ancora vivo. O forse perché raccogliere l’eredità musicale di Claudio Abbado è impresa quasi impossibile. Il 20 gennaio del 2014 moriva a Bologna a ottant’anni il grande direttore d’orchestra. Era nato a Milano il 26 giugno 1933. Il diploma al Conservatorio e poi i corsi di Hans Swarowsky a Vienna. Nel 1959 il debutto a Trieste, un anno dopo l’arrivo alla Scala, teatro di cui sarà direttore musicale dal 1968 al 1986. L’addio polemico a Milano e il ritorno nella capitale austriaca, alla Staatsoper, poi, dal 1989 al 2002 i Berliner philharmoniker. E nel 2004 l’ultima creatura, la Mozart di Bologna, orchestra giovanile che ha chiuso i battenti giusto qualche settimana prima che Abbado morisse.Oggi, un anno dopo il saluto al maestro che da tutti si faceva chiamare semplicemente Claudio, resta la sua musica. Resta il suo modo di intendere l’impegno sul podio: un impegno culturale, ma anche politico. Perché il mondo musicale non è stato più lo stesso dopo i suoi concerti nelle fabbriche negli anni Settanta o dopo le sue prese di posizione ambientaliste. Ma anche dopo il suo grande impegno per far decollare in Italia il Sistema delle orchestre giovanili, importato dal Venezuela del controverso Chavez. Un impegno culturale e civile che aveva spinto l’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano a nominare Abbado, il 30 agosto del 2013, senatore a vita.Di Claudio resta il ricordo. In questo anno si sono moltiplicate gli appuntamenti “in memoria di Claudio Abbado”: concerti, festival, incontri organizzati anche da chi Abbado non lo aveva mai incontrato, ma aveva tratto qualche insegnamento dal suo modo di fare musica. Ferrara, che gli ha intitolato il Teatro Comunale, per anni la casa musicale italiana del maestro, ricorda Abbado con una serie di appuntamenti: martedì un incontro dal titolo Un giardiniere prestato alle note, domenica la proiezione dell’esecuzione a Lucerna della Prima sinfonia di Bruckner e il 26 gennaio un concerto della Mahler chamber orchestra, altra formazione fondata dal musicista, diretto da Daniele Gatti. Anche Bologna, città dove Abbado viveva e dove ha chiuso gli occhi, rende omaggio al musicista coinvolgendo i più piccoli: martedì sera al cinema Jolly il film a cartoni animati La casa dei suoni che il figlio del maestro, Daniele, realizzò ispirandosi all’omonimo libro del padre. A seguire il concerto del 25 ottobre 2008 quando al PalaDozza Abbado e Roberto Benigni hanno riproposto la loro divertente versione del Pierino e il lupo di Prokof’ev.«Non ho mai inteso il mio lavoro come una carriera – ci aveva detto qualche anno fa –. Mi piace parlare di un viaggio a tappe iniziato quando avevo sette anni: ho ascoltato Debussy e ho sentito la magia della musica. Da allora ho voluto a provare a ricreare in continuazione quella magia». Una magia che resta grazie alle numerose incisioni di Abbado. Quelle storiche: le Nove sinfonie di Beethoven, quelle del 1994 con i Wiener e quelle del 2000 con i Berliner, il Simon Boccanegra della Scala e il Viaggio a Reims del Rof di Pesaro. E quelle inedite. Perché sono ben due i cd usciti postumi quest’anno. Un’incisione dal vivo del marzo 2013 effettuata al Festival di Lucerna: il direttore, la sua orchestra Mozart e l’amica Martha Argerich per due concerti per pianoforte e orchestra di Mozart, il K 503 n.25 in do maggiore e il K466 n.20 in re minore. Poi la Nona sinfonia di Bruckner con la Lucerne festival orchestra, anche questa registrata dal vivo a Lucerna nell’agosto 2013, pochi mesi prima della scomparsa del maestro.Una pagina intrisa di trascendente. «Se l’atteggiamento fondamentale della fede è quello della ricerca allora Claudio era un credente: quando pensiamo di aver trovato qualcosa ecco che non abbiamo raggiunto la verità, ma ci siamo costruiti un idolo. Il suo atteggiamento di fronte alla musica era quello di un uomo in continua ricerca» ci aveva raccontato un anno fa don Giovanni Nicolini, il sacerdote che ha ufficiato il rito funebre per l’amico musicista «conosciuto tanti anni fa quando ero direttore della Caritas e lui mi fece sapere che voleva bene ai poveri. E anche lui era povero di fronte alla grande passione della sua vita, la musica, perché non l’ha mai posseduta, ma si è messo sempre in ricerca».
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