venerdì 14 gennaio 2022
La città di Joyce, a cento anni dal capolavoro, è molto cambiata sul piano sociale, culturale e urbanistico. Ma in alcuni luoghi la memoria resiste
I murales che ritraggono i 18 episodi di "Ulisse"

I murales che ritraggono i 18 episodi di "Ulisse" - Riccardo Michelucci

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Mai una città è stata raccontata nella letteratura in modo più dettagliato di quanto ha fatto James Joyce con Dublino. «Sempre e comunque è lì che io cammino», scrisse in una lettera del 1937, e anche quando decise di diventare un esule volontario la sua città sarebbe sempre rimasta la sua dimora spirituale. «Ne scrivo sempre perché se riesco a raggiungere il cuore di Dublino, riesco a raggiungere il cuore di tutte le città del mondo. Il particolare contiene l’universale ». E con Ulysses ci riuscì davvero, disegnando una grandiosa mappa della modernità in cui esplorò i piccoli orrori borghesi dei dublinesi del nuovo secolo, la mediocrità, l’accidia, la religiosità farisaica e priva di slanci dell’anima. Ma raffigurando la paralisi della capitale irlandese ritrasse anche l’abulia e lo svuotamento dell’intera modernità. «Il mio ritratto di Dublino è così accurato che, se un giorno dovesse venir cancellata dalla faccia della Terra, potrebbe essere ricostruita esattamente come prima partendo dal mio libro», disse. In realtà, nei cento anni che sono trascorsi dalla prima pubblicazione del libro (2 febbraio 2022) la capitale irlandese è cambiata profondamente, non soltanto sul piano sociale e culturale, ma anche - forse soprattutto - sul piano urbanistico. Ce ne siamo accorti ripercorrendo alcune delle vie e dei luoghi che Joyce non ha mai potuto dimenticare, trascorrendo un’intera giornata in cammino, in totale oltre 20 chilometri di viandanza. Non rispettando necessariamente la sequenza del libro ma vagabondando e ripensando ai suoni e alle azioni, agli odori e ai deliri, ai dialoghi e ai monologhi contenuti nei diciotto capitoli che compongono quel monumentale formicolio di idee, stili, personaggi e flussi di coscienza. Non è stato possibile partire da Sandycove, poco fuori città, perché la torre Martello affacciata sulla baia di Dublino, in cui si svolge la scena iniziale del romanzo, è chiusa a causa della pandemia.

Il museo Joyce

Il museo Joyce - Riccardo Michelucci

Allora ci siamo concentrati sul centro cittadino, partendo da uno degli indirizzi più famosi della letteratura contemporanea: il numero 7 di Eccles street, la casa della famiglia Bloom. Lì, alle 8 del mattino di quel 16 giugno 1904, Leopold Bloom, piazzista pubblicitario di 38 anni, ebreo di origine ungherese, inizia la giornata con una colazione a base di «rognoni di castrato alla griglia che gli lasciarono nel palato un fine gusto d’urina leggermente aromatica». Sempre lì il romanzo si conclude, alcune centinaia di pagine dopo, con il famoso monologo interiore della moglie Molly. Quella casa che nella realtà Joyce conosceva bene perché ci viveva un amico - John Francis Byrne - non esiste più. Negli anni ’60 il famoso civico 7 venne infatti abbattuto insieme a un intero isolato per consentire l’ampliamento di un ospedale. Joyce era morto da tempo e toccò a due grandi scrittori irlandesi dell’epoca, Patrick Kavanagh e Flann O’Brien, mobilitarsi per salvare la memoria del luogo facendo rimuovere la porta originale dell’edificio che ora si trova in perfetto stato nel James Joyce Center, il museo cittadino dedicato allo scrittore. A mostrarcela con orgoglio è Darina Gallagher, direttrice del museo che ha sede in Great George’s Street, nel palazzo a tre piani di fine ’700 dove un tempo si trovava la scuola di danza di Denis Maginni, citato in ben tre capitoli di Ulysses. Gallagher ci spiega che Joyce trascorse proprio in cima a questa strada parte della sua gioventù, tra gli 11 e i 22 anni, studiando dai gesuiti dell’antico e tuttora aperto Belvedere College, la cui imponente facciata in mattoni rossi spicca ancora in Great Denmark Street. «L’area è molto simile ad allora, anche i palazzi dell’epoca sono rimasti tali e quali, senza alcun accenno della grandeururbanistica che in altre zone ha modificato il volto di Dublino a partire dagli anni ’90», prosegue la direttrice. Ma scendendo le vie che conducono al cuore del centro forse lo scrittore stenterebbe a riconoscere la sua città. Il celeberrimo capitolo 'Circe' si svolge nel Monto, uno dei quartieri a luci rosse più grandi d’Europa prima di essere chiuso nel 1925. Tra gli anni ’30 e ’40 nell’area sono stati costruiti nuovi edifici di edilizia popolare, che sono stati riqualificati in tempi recenti, cambiando completamente il volto del quartiere. Piange un po’ il cuore, percorrendo Little Britain Street, a imbattersi in uno dei pub descritti da Joyce, il Barney Kiernan, che, pur conservando la tipica facciata in legno, è chiuso da tempo e privo di insegna, a parte quella dell’agenzia che cerca di venderlo. Alcuni isolati verso est, anche la zona intorno a O’Connell Street - arteria principale del centro, dove si trovavano le sedi di molti giornali, tra cui il Freeman’s Journalper il quale lavora Leopold Bloom - appare completamente rimodellata. L’area subì pesanti bombardamenti durante la rivolta della Pasqua 1916. Davanti al palazzo neoclassico delle poste centrali si ergeva la grande colonna di marmo dedicata all’ammiraglio Horatio Nelson (impietosamente definito da Joyce «l’adultero dall’unico braccio»), sulla quale nel settimo episodio di Ulysses viene raccontata la storia di due donne che vi salgono per ammirare la città dall’alto e poi iniziano a bersagliare i passanti con i noccioli delle susine. Considerata un simbolo della presenza inglese in Irlanda, molti anni fa l’Ira la fece saltare in aria.

Il bancone della farmacia Sweny’s

Il bancone della farmacia Sweny’s - Riccardo Michelucci

Al suo posto oggi si trova lo Spire, una luccicante guglia d’acciaio alta 120 metri che di notte s’illumina come un faro. Attraversato il ponte sul fiume Liffey, dal quale Bloom lanciò le briciole di un dolce ai gabbiani, in breve si raggiunge la «facciata aggrondata » del Trinity College - la più antica università cittadina - ma non ci si imbatte più negli studenti della élite protestante dei tempi di Joyce, bensì in schiere di passanti e turisti. A non essere cambiata affatto, rispetto alla descrizione contenuta in Ulysses, è invece la sala di lettura a cupola della vicina Biblioteca Nazionale, dove Stephen Dedalus ha un’animata discussione su Shakespeare con il poeta George Russell e due bibliotecari. Oggi contiene numerosi manoscritti di Joyce, digitalizzati e disponibili alla consultazione. In Duke Street, nascosto tra gli affollati negozi del centro, c’è un altro dei luoghi di culto del libro: il pub Davy Byrne, in cui Leopold Bloom a pranzo ordina un panino al gorgonzola e un bicchiere di Borgogna. Oggi ha perso l’aspetto di un comune pub ed è un locale elegante, con una sala interna dedicata a Molly Bloom e un menù che non poteva non comprendere Borgogna e panino al gorgonzola. Due isolati più in là, a due passi dalla casa natale di Oscar Wilde in Merrion Square, ecco la farmacia Sweny’s, dove nel capitolo cinque Bloom compra la famosa saponetta al limone per Molly. D’altra parte - profetizzò Joyce - «raramente le farmacie si trasferiscono». Dentro si respira ancora l’atmosfera di inizio ’900, anche se da anni è una libreria e un circolo letterario. Nel 2009 la farmacia stava per chiudere, ma un gruppo di volontari decise di affittare il locale per farla rivivere, trasformandola in luogo di culto per i joyciani e punto di riferimento per il mondo letterario irlandese. Ci accoglie PJ Murphy, eclettico dublinese poliglotta che lavora qui di giorno e insegna inglese e gaelico la sera. «Tutte le settimane teniamo reading su Joyce in sette lingue, anche in italiano – ci spiega –. Nel negozio abbiamo edizioni di Ulysses in 36 lingue. Anche coreano, farsi, giapponese e cinese. Tra gli idiomi principali manca solo l’arabo, perché non è stato ancora tradotto». Sul bancone fa bella mostra di sé la copia della saponetta che Bloom acquistò per 4 pence. Viene venduta a 5 euro e c’è da scommettere che per il centenario andrà a ruba.

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