venerdì 12 maggio 2023
All’Orangerie il decennio chiave nell’opera del grande artista successiva agli anni '20: grazie al murale della Fondazione Barnes riparte con la ricerca che lo condurrà alla celebre cappella
Una vista della “Danse” di Matisse

Una vista della “Danse” di Matisse - Fondazione Barnes

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Gli anni Trenta sono per Matisse il momento della crisi e della imperiosa rinascita con un nuovo linguaggio. Sono anche l’epoca del successo dei “Cahiers d’art”, la rivista (poi diventata anche galleria) del greco emigrato Christian Zervos. Come scrivono i curatori della mostra all’Orangerie Matthew Affron, Cécile Debray e Claudine Grammont – che ne tirano le fila per il Philadelphia Museum Art, la stessa Orangerie e il Museo Matisse di Nizza (dove la mostra si sposterà dal 23 giugno) – il Capodanno del 1931 Matisse lo passa a Merion, in Philadelphia, e non a Nizza dove vive. È lì perché il magnate e collezionista americano Albert C. Barnes intende commissionargli un dipinto murale sul tema della danza. Gli anni Venti non saranno molto gratificanti per Matisse, gli ultimi lo hanno visto lavorare poco. Si sente vecchio, anche per motivi generazionali ed è messo ai margini dell’avanguardia. Raggiunti i sessant’anni, pensa di aver poco altro da dire. Ma, come osservano i curatori, l’incarico di Barnes gli consente di uscire dall’impasse. E lui ne darà addirittura due versioni – entrambe finite entro la metà degli anni Trenta, ma quella di Parigi installata soltanto dopo la guerra.

Poste le carte in tavola, la mostra vuole indagare un decennio meno discusso dalla critica. E lo fa attraverso la rivista di Zervos, che era arrivato a Parigi nel 1911 dall’isola di Cefalonia col proposito di studiare diritto e filosofia. Ben presto era entrato nel giro delle edizioni di Albert Morancé, che nel 1926 lo nominò caporedattore di tutte le ri viste. È in questo ambiente che vede la luce il primo numero dei “Cahiers d’art”: che nasce per occuparsi di pittura e litografia, “le grandi passioni” dell’editore, sottolinea Chara Kolokytha nello splendido catalogo della mostra. Zervos, che ha preso il controllo dei “Cahiers”e in quell’anno, scrive che «parlare delle litografie di Matisse, è parlare del suo disegno e spiegare il suo disegno, è analizzare la sua pittura, la quale è sempre costruita sui fondamenti solidi del disegno». In sostanza, anticipa con questa intuizione anche la svolta degli anni Trenta di Matisse. MA ecco qualche dato sulla rivista e il duo Picasso-Matisse: nei suoi 34 anni di vita su millecinquecento articoli ne dedicò 95 a Picasso, mentre i saggi su Matisse furono venticinque soltanto, oltre a vari riferimenti sparsi dentro la rivista.

La Danza della Fondazione Barnes inaugura dunque uno scenario inedito per Matisse, di essenziale e rarefatta costruzione architettonica, ma anche con un’idea nuova della decorazione. Sviluppando il tema, Matisse arriverà a definire i papiers découpés «scultura con le forbici». È questo che ci interessa in questa mostra? Senz’altro, ma poiché il tema delle “carte tagliate” è stato più volte toccato dalla critica, il vero nodo è il rapporto con Zervos, il quale oltre a dedicargli numeri singoli della rivista, all’inizio cercò di tirare fuori Matisse dal cul-de-sac in cui si trovava negli anni Venti (tuttavia, in q uel decennio, dipingerà alcune splendide odalische presenti in mostra, e vari disegni e incisioni che preparano i numeri quasi monografici dei “Cahiers”). Il punto è che Zervos seguirà una strada che a Matisse non piacerà, utilizzando un gergo tipico del surrealismo. La faccenda avrà strascichi lunghi che esploderanno nel 1952 col rifiuto dell’offerta di Zervos di realizzare il catalogo generale delle sue opere. Il critico-editore sta già realizzando da anni quello di Picasso, alla fine saranno 33 volumi, ma Matisse – a riprova della sua scontentezza – nel 1948 si è mosso con Albert Skira per realizzarlo, inoltre sta lavorando con Tériade che nel 1947 stamperà il libro d’arte più celebre del Novecento, Jazz, sintesi di decorazione e forza espressiva attraverso i papiers découpés.

Dopo il viaggio in America e a Tahiti Matisse esplora più frequentemente la scultura: in mostra il Dorso IV del 1930-31 e altre opere di quegli anni fanno capire che è probabilmente il più grande scultore francese moderno dopo Degas, ed è sintomatico che già sul numero 7 del 1928, Zervos pubblichi sui “Cahiers” un saggio sulla “Scultura dei pittori”, scelta per l’epoca davvero eccezionale. Matisse compone ormai una sorta di opera continua e totale il cui concetto nasce dalla Danza (numerosi studi da Nizza e dalla Fondazione Barnes documentano quel lavoro), fra nudi ed elementi floreali che, come scrivono i curatori, offrono l’immagine di un giardino d’inverno. Una fuga mundi non dissimile da quella di Monet a Giverny. Mentre Picasso già negli anni Trenta e Quaranta è all’apice della notorietà, Matisse la troverà in America col saggio di Alfred Barr del 1951, Matisse. La sua arte e il suo pubblico, e l’anno dopo con la grande antologica al MoMA. Che cos’è che aveva incrinato i rapporti con Zervos? Nel 1949 il critico pubblica un commento alla mostra di Matisse al Museo nazionale d’Arte moderna dove critica aspramente i papiers découpés sostenendo che sono poco più che passatempi, e rendono un brutto servizio ai suoi quadri. Non ha capito, e dice che hanno ben poco del dramma plastico dei papiers cubisti. Tutto il contrario pensa Tériade. E lo stesso Zervos, due anni dopo, farà autocritica. Mostra ricca di spunti e di opere che si alternano alle documentazioni fotografiche. Utile a comprendere come il crogiuolo di idee enerse negli anni Trenta con La Danse e i papiers découpés portino alla rarefazione e alla sintesi assoluta dell’arte matissiana: la cappella di Vence.

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