martedì 28 gennaio 2020
Lo scrittore indiano: «Per troppo tempo abbiamo fatto un uso esclusivo della parola, ora dobbiamo tornare a valorizzare le immagini, come faceva il grande tipografo dell’età umanistica»
Lo scrittore indiano Amitav Ghosh: nato a Calcutta nel 1956, oggi vive tra Goa e New York

Lo scrittore indiano Amitav Ghosh: nato a Calcutta nel 1956, oggi vive tra Goa e New York - Ansa

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Amitav Ghosh ha ambientato una parte del suo ultimo romanzo in una Venezia profeticamente sommersa dall’acqua alta e, come se non bastasse, ha scelto per protagonista un libraio antiquario. Una duplice coincidenza che fa dell’autore di L’isola dei fucili (traduzione di Ada Nadotti e Norman Gobetti, Neri Pozza, pagine 320, euro 18,00) il relatore ideale per un incontro sulle librerie che si svolge in Laguna. Giustamente annoverato tra i maggiori scrittori indiani contemporanei di lingua inglese, Ghosh sarà infatti l’ospite d’onore del Seminario di perfezionamento della Scuola Umberto e Elisabetta Mauri, che si inaugura oggi presso la Fondazione Cini di Venezia. Nel suo intervento, in programma nella giornata di venerdì, Ghosh parlerà del futuro dei libri in un’epoca segnata dal timore della catastrofe: un tema, quest’ultimo, che lo scrittore ha esplorato in numerosi romanzi, oltre che nel saggio narrativo La grande cecità, uscito nel 2016 e subito considerato un classico della letteratura sui cambiamenti climatici. «Oggi la paura sembra spesso il sentimento dominante – dice ad Avvenire –. Ed è proprio per questo che, se vogliamo ritrovare la speranza, dobbiamo sforzarci di guardare al passato».
Non è un atteggiamento nostalgico?
Niente affatto. Dalla storia che ci ha preceduto possiamo trarre spunti straordinari di creatività e innovazione. Prenda il caso di Aldo Manuzio, il grande tipografoeditore dell’età umanistica. Per affrontare la crisi del libro, è a lui che dobbiamo rivolgerci.
Perché?
Perché da troppo tempo la nostra concezione del libro è affetta da un eccesso di logocentrismo: facendo affidamento solo sulla parola, abbiamo finito per estromettere quasi del tutto le immagini. In questo modo ci siamo privati di una dimensione dell’immaginazione e della conoscenza che, al contrario, svolgeva un ruolo fondamentale nella produzione di Manuzio e di tanti suoi contemporanei. Nella sua prima stagione, infatti, la stampa aveva recepito pienamente la tradizione medievale del codice miniato. È questa la lezione che dovremmo riscoprire, adattandola alle nuove tecnologie di cui disponiamo.
Il digitale come i caratteri mobili, dunque?
In un certo senso sì, ma non si tratta soltanto di soluzioni tecniche. Quando si sfoglia uno dei capolavori di Manuzio, la famosa Hypnerotomachia Poliphili, si resta colpiti anzitutto dal legame strettissimo fra parole e immagini, che si interpretano reciprocamente in un sistema molto più complesso di quello attuale, basato esclusivamente sul testo. Più in profondità, però, c’è un altro aspetto che dovrebbe farci riflettere: Polifilo, l’eroe di questa “battaglia d’amore in sogno”, interagisce con estrema naturalezza con tutti gli esseri viventi, i quali a loro volta hanno la capacità di parlare con gli uomini. Del resto, è quello che faceva anche Fran- cesco d’Assisi, il santo che predicava agli uccelli e ragionava con i lupi. Il suo era un sistema di comunicazione molto raffinato, nel quale le parole erano sì importanti, ma non prevalevano sugli altri elementi.
Si può fare anche oggi?
Abbiamo il dovere di sperimentare nuove modalità di espressione. Il mio prossimo libro, per esempio, sarà la traduzione in versi di una leggenda delle Sundarban, la regione delle mangrovie oggi messa in pericolo dagli sconvolgimenti climatici. Ne usciranno due versioni, una illustrata e l’altra in forma di graphic novel. Parole e immagini, insomma.
Sta per nascere anche un nuovo stile di lettura?
Il mio auspicio è che la lettura torni a essere ciò che per molti secoli è stata, e cioè un formidabile strumento per i rapporti fra le persone. L’abitudine alla lettura silenziosa si diffonde abbastanza tardi nella storia, sostanzialmente con l’Illuminismo. In precedenza non era così. Il libro veniva letto a voce alta, in un processo di condivisione e confronto che rimanda, in definitiva, al bisogno di relazione. Vede, il fenomeno che Walter Benjamin aveva individuato quasi un secolo fa è ormai giunto a compimento. La riproducibilità dell’opera d’arte è un fatto assodato, abbiamo a disposizione tutti i libri che vogliamo, pochi secondi sono sufficienti per scaricare una copia digitale del titolo che più ci interessa in quel momento. Ma questo non significa che il libro non abbia più valore. Semmai, il valore si è spostato altrove, non risiede più nell’oggetto fisico o, peggio ancora, nel prodotto, ma si rivela nella rete di relazioni che il libro stesso è in grado di suscitare.
Con quali conseguenze?
Una riguarda direttamente le librerie, che non possono più essere concepite come negozi, sia pure specializzati. Il modello al quale tendere è invece quello delle gallerie d’arte, luoghi che le persone frequentano per incon-trarsi, confrontarsi, essere informati su quello che accade in un determinato contesto, nell’intera società, nel mondo. Noi scrittori ce ne siamo resi conto da tempo. Negli anni Ottanta, quando ho cominciato a pubblicare, non avrei immaginato che buona parte del mio tempo sarebbe stata investita in conferenze e presentazioni durante le quali, il più delle volte, mi viene richiesto di leggere a voce alta qualche pagina dei miei romanzi. Anche il successo riscosso in tempi recenti dagli audiolibri mi sembra una conferma di questa tendenza.
Quale può essere il ruolo delle giovani generazioni?
Ragazzi e ragazze si stanno già dimostrando fondamentali per quanto riguarda l’emergenza ambientale, ma hanno molto da dirci anche per quanto riguarda la lettura. Non è un mistero, tra l’altro che Greta Thunberg sia una lettrice appassionata. Ma per lei, come i suoi coetanei, non sempre le informazioni passano dal libro di carta. Ci sono altri canali, altre modalità di comunicazione che le stesse librerie, ancora una volta, sono chiamate a esplorare. Sappiamo già che un libro è molto più di un testo stampato su una pagine. Ora dobbiamo fare in modo che il valore più profondo dell’esperienza di lettura possa essere condiviso e rafforzato. Viviamo nell’età dell’ansia: incontrarsi con gli altri permette di stringere vincoli di solidarietà, di uscire dalla solitudine. Le librerie possono diventare il posto in cui le nostre paure vengono finalmente sconfitte.

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