giovedì 27 luglio 2023
L'antica abbazia è tornata a essere meta di pellegrinaggi e oggi è una tappa obbligata per chi voglia ripercorrere un itinerario particolare, quello dell’Inghilterra dei martiri
Le rovine dell’abbazia di Glastonbury

Le rovine dell’abbazia di Glastonbury - WikiCommons

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Glastonbury per l’inglese medio è il nome del più grande festival pop-rock del Regno Unito, l’evento che ogni anno a fine giugno, per tre giorni, attira centinaia di migliaia di giovani nelle campagne del Somerset, 200 chilometri a ovest di Londra. Per l’inglese che ha reminiscenze del ciclo letterario legato al mito di re Artù, Glastonbury è la leggendaria Avalon – localizzazione che risale agli scritti di Giraldo del Galles a cavallo tra XII e XIII secolo – dove sarebbe sepolto Artù stesso. Un po’ per tutti è un pezzo di countryside impregnato di folklore celtico e da qualche decennio di spiritualità neopagana: la via centrale di questa cittadina rurale di novemila anime è un emporio di libri e suppellettili New Age, con angoli riservati all’occultismo più profondo.

Ma Glastonbury per i cattolici è qualcosa d’altro altro e di antitetico al druidismo di ritorno. È il sito dove secondo la tradizione Giuseppe di Arimatea, portando con sé il Graal, fondò la prima chiesa dell’isola e su cui sorse l’abbazia che per secoli fu il più importante centro di irradiazione del cristianesimo in terra d’Albione. Una Montecassino britannica, magnete per cercatori di Dio, scrigno di arti e di sapere. Oggi di quello splendore medievale restano solo dei ruderi suggestivi, che sono lì a ricordare una storia che finì non per un lento declino ma per una morte violenta. Il grande complesso monastico fu infatti saccheggiato e soppresso nel 1539 per ordine di Enrico VIII, durante la campagna per sottomettere le realtà religiose rimaste fedeli al papato, e il suo ultimo abate, Richard Whiting, fu impiccato e squartato.

A partire dalla metà del secolo scorso, grazie anche alla costruzione di un piccolo santuario mariano, Glastonbury è tornata a essere meta di pellegrinaggi e oggi è una tappa obbligata per chi voglia ripercorrere, anche virtualmente, un itinerario particolare, quello dell’Inghilterra dei martiri. È un tour che viene in mente leggendo il libro Inghilterra di sangue. I quaranta martiri inglesi da Enrico VIII a Carlo II, scritto da Giuliana Vittoria Fantuz, autrice di saggi storici e di uno studio sulla mistica Giuliana di Norwich, e pubblicato dalle edizioni Ares (pagine 312, euro 20,00). Come suggerisce il titolo si tratta di una disamina delle vite dei quaranta testimoni che furono canonizzati da Paolo VI il 25 ottobre 1970, scelti tra un gruppo molto più ampio di cattolici che furono uccisi in odium fidei tra il 1535 e il 1681 e proclamati beati in diverse fasi, nel 1886, nel 1895 e nel 1929, a loro volta solo una piccola parte di coloro che pagarono con la vita il proprio credo.

Secondo una fonte autorevole, l’Enciclopedia Britannica, «circa seicento cattolici morirono nelle persecuzioni dei secoli XVI e XVII». Giuliana Vittoria Fantuz fa presente che «la cifra non include coloro che penarono e cessarono di vivere sotto il peso di stenti e torture, dentro e fuori dalle galere, o di fame e freddo durante le fughe». Un luogo simbolo di questa epopea è Tyburn, dove furono eseguite le pene capitali della città di Londra dal 1196 al 1783 e dove passarono 105 cattolici riconosciuti dalla Chiesa come martiri. I primi furono i certosini John Houghton, Robert Lawrence e Augustine Webster, il brigidino Richard Reynolds e il sacerdote secolare John Haile. Il 4 maggio 1535 furono impiccati, venne tagliata la corda prima del completo soffocamento e furono quindi sventrati mentre erano ancora vivi.

L’ultimo della serie fu l’arcivescovo Oliver Plunkett primate d’Irlanda, giustiziato il 1° luglio 1681. Oggi Tyburn, che si trovava vicino all’attuale Marble Arch, nei pressi di Hyde Park, non esiste più come toponimo, è stato cancellato dalla mappa forse per rimuovere memorie lugubri. I cattolici però non lo hanno dimenticato. Dal 1903 è il monastero delle Adoratrici del Sacro Cuore di Gesù di Montmartre, sorto in loco, a tenere vivo il ricordo, con l’adorazione eucaristica perpetua e anche con una riproduzione lignea del Tyburn Tree, la forca di Tyburn, trasformata in altare.

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