venerdì 14 luglio 2023
Al museo dedicato alla battaglia del 52 a.C., dove Vercingetorige arrestò per un momento l’avanzata dei Romani, una mostra sull’ambivalente rapporto dei transalpini con la figura di Cesare
Visitatori al Museo della Battaglia di Gergovia presso Clermont-Ferrand

Visitatori al Museo della Battaglia di Gergovia presso Clermont-Ferrand - Henri Derus/Museo della Battaglia di Gergovia

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Nell’Ottocento, un autore interpretò come nessun altro la voglia della Francia di proiettarsi nel futuro: Jules Verne, ovvero lo scrittore transalpino più tradotto d’ogni tempo. Ma si dimentica spesso che, alla stessa epoca, la figura di un altro “Giulio” imperava invece nell’immaginario francese rivolto al passato: un gigante dell’era romana, ovvero Caio Giulio Cesare. Che si trattasse di esaltare per analogia il destino di Napoleone Bonaparte o d’interessarsi ai primordi del destino francese, come fece l’imperatore Napoleone III, Cesare era un modello frequente di confronto e ispirazione. Tanto che persino Victor Hugo intitolò Veni, vidi, vixi un poema del 1856, parafrasando l’icastica e celebre espressione militare cesariana Veni, vidi, vici. Per risalire all’origine di quest’infatuazione paradossale verso uno straniero dal quale in fin dei conti le contrade galliche furono sottomesse, conviene recarsi nel cuore del Massiccio Centrale. Più precisamente, sull’acrocoro di Gergovia, che domina oggi il capoluogo di Clermont-Ferrand: proprio la città natia di quel Blaise Pascal a cui papa Francesco ha appena dedicato, a 400 anni dalla nascita, la lettera apostolica Sublimitas et miseria hominis. Luoghi che tanto raccontano del senso di filiazione culturale dei francesi verso la latinità. È a Gergovia che, nella primavera del 52 a.C., i Galli agli ordini di Vercingetorige (letteralmente, “il grande re dei guerrieri”) riuscirono in un’impresa che sembrava impossibile. Costringere il grande Cesare alla fuga. Farlo, addirittura, ribaltando un assedio, forse la più temuta specialità a cui si doveva la fama militare del futuro signore supremo di Roma. Dopo aver perduto a Gergovia circa 700 legionari e ben 46 centurioni, secondo quanto racconta nel VII libro del De bello gallico, Cesare si rifece definitivamente quello stesso anno ad Alesia, in autunno, proprio grazie a un assedio fatale. In pochi mesi, per i Galli, la gloria e la capitolazione. Quanto a Gergovia, sarà poi abbandonata verso il 15 d.C., cedendo il posto alla nuova capitale gallo- romana Augustonemetum, letteralmente luogo sacro di Augusto, ovvero la futura Clermont. Sull’acrocoro, area archeologica fra le più interessanti di Francia, sorge oggi un monumento commemorativo alto 26 metri, eretto nel 1900, proprio al termine di un secolo in cui i francesi, come altri popoli europei, si cimentarono non poco nella ricerca delle origini nazionali. Sotto le tre imponenti colonne che culminano in un elmo celtico, un’iscrizione ben in vista spiega: «Gergovia. In questo luogo, il capo arverno, Vercingetorige, ha vinto l’invasore Cesare». Sembrerebbe un concentrato di sciovinismo, se non fosse che l’iscrizione non è in francese, ma in latino. Ovvero, la lingua del De bello gallico. Pur a distanza di tanti secoli, dunque, ancora lo stesso idioma da entrambe le parti. In proposito, fino al 17 settembre, presso il Museo archeologico della Battaglia di Gergovia, è possibile assaporare la stessa ambivalenza in una mostra intitolata sobriamente “Cesare a Gergovia”. Fra ricostruzioni del volto del condottiero, citazioni, filmati dedicati alle tecniche militari, pezzi archeologici provenienti pure dagli accampamenti romani, si tratta di un nuovo omaggio all’uomo che ha definitivamente dirottato il destino francese, trascinando le contrade galliche fuori dall’universo celtico per immergerle nella latinità. Un invasore tutt’altro che tenero, sul piano militare. Ma che a livello politico si pure da grande seduttore, fra accordi e compromessi. In un primo tempo, del resto, Cesare superò le Alpi rispondendo pure a una richiesta degli Edui, alleati di Roma stanziati fra la Loira e la Saona, in conflitto con altri popoli gallici e già sconfitti in particolare dai Suebi. In seguito, il carisma di Vercingetorige riuscì a portare gli Edui dalla parte degli “insorti”, il che influenzò non poco l’esito dello scontro a Gergovia. Ma va notato che lo stesso leader gallico, nobile inviato in gioventù a formarsi proprio a Roma, nutriva una profonda ammirazione per Cesare.

Una ricostruzione della battaglia del 52 a.C.

Una ricostruzione della battaglia del 52 a.C. - Museo della Battaglia di Gergovia

Dotato di ampie vetrate, il museo è in simbiosi con il parco archeologico circostante e con le stesse scarpate panoramiche che Cesare non riuscì ad espugnare in quello sfortunato giugno. Dall’alto, è possibile ammirare pure i campi dove sono stati rinvenuti i solchi perimetrali dei due accampamenti romani. Tutt’attorno, brillano le vallate cinte dall’impressionante catena verdeggiante dei circa 80 vulcani spenti d’Alvernia, regione che ancor oggi, con il suo nome, tramanda il ricordo proprio degli Arverni. Cinto da ciò che resta degli antichi contrafforti, il sito, sul piano della riscoperta archeologica, è figlio tanto della fierezza per l’impresa di Vercingetorige, quanto dell’ammirazione verso «l’invasore ». Nella Francia ottocentesca, in cui il De bello gallico spopolacomportò va fra storici e militari, l’ammirazione per Cesare conquistò il vertice supremo del Paese. Come ricorda la mostra, Luigi-Napoleone Bonaparte, al potere fra il 1848 e il 1870, divenendo in particolare dal 1852 l’ultimo sovrano della storia francese con il titolo imperiale di Napoleone III, «s’appassiona per la vita del generale romano e lo svolgimento delle sue diverse campagne». Non solo: «L’imperatore crea nel 1858 la Commissione di topografia delle Gallie (Ctg), il cui obiettivo è in particolare di documentare e cartografare i luoghi di battaglia della Guerra in Gallia, per illustrare la sua opera in preparazione dedicata a Giulio Cesare», pubblicata nel 1866. Lo stesso anno, a ben guardare, in cui l’intervento diplomatico di Parigi contribuì alla fine in Italia della Terza guerra d’indipendenza, con la definitiva annessione italiana del Lombardo- Veneto, ceduto dagli austriaci in prima battuta, formalmente, ai francesi. Sul piano personale, nello stesso periodo, Luigi-Napoleone Bonaparte non disdegnava l’epiteto di «nuovo Cesare». Nel bene e nel male, dietro alla perpetua “attenzione” francese per il destino del Bel Paese, rispuntano non di rado le sedimentazioni storiche di suggestioni che nella figura gloriosa di Giulio Cesare hanno trovato un perno inscalfibile. Recarsi a Gergovia significa dunque assaporare le prime scintille di quest’intrico di rivalità e ammirazione fra i due versanti delle Alpi tramandato fino ad oggi. Lo stesso simbolizzato dal gioco di sguardi in una celebre tela del 1899, spesso riprodotta nei manuali scolastici francesi e conservata proprio in Alvernia, ma a Le Puy-en-Velay: Vercingetorige davanti a Cesare, di Lionel Royer. Sul piano della cultura popolare, poi, è stata non a caso la matita di un geniale disegnatore figlio d’italiani emigrati in Francia, Albert Uderzo (1927-2020), a tradurre tutti questi paradossi intriganti nel fumetto bestseller per eccellenza del Dopoguerra francese. Resistere a ogni costo a un “campionissimo” schiacciasassi della guerra chiamato Giulio Cesare: ecco l’ossessione di Asterix, Obelix e compagni, premiati da centinaia di milioni d’albi venduti, spesso ben in vista nelle case dei francesi. Senza dimenticare che il nome d’arte César ha portato tanta fortuna pure a un altro artista francese con genitori italiani, lo scultore César Baldaccini (1921-1998). Oltralpe, insomma, si pensa a Cesare e torna subito in mente un eterno odi et amo su cui tanto resta ancora da scavare. Proprio come presso il glorioso e ventoso acrocoro dei paradossi fra i bei vulcani spenti d’Alvernia.

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